I migranti del basket. Sparsi per l’Europa 150 serbi, 67 lituani e solo 3 italiani
Un'analisi sul nostro basket dopo il risultato degli Europei e a margine delle discussioni sull'eleggibilità degli atleti italiani
Quando a parlare sono il più importante procuratore italiano, il presidente della finalista scudetto della passata stagione, il miglior dirigente 2017 secondo Legabasket, per non parlare dei decani Tanjevic e Bianchini, non si può che ascoltare, qualsiasi altra opinione sarebbe sbiadita a prescindere. Per questo motivo, ci limiteremo a portare qualche numero e qualche considerazione al tavolo, per completare il quadro.
Volendo stilizzare i concetti espressi dagli illustri partecipanti alla discussione, chiedendo perdono se banalizziamo discorsi ben più articolati, Sbezzi e Tanjevic ritengono che nel nostro massimo campionato ci siano troppi stranieri e guardano a regole più restrittive, mentre Longhi e Sindoni dicono che le regole sugli italiani sono dannose, in quanto gli atleti tricolore essendo protetti dalle regole non hanno necessità a migliorarsi. Bianchini infine sostiene che si stia mancando il problema: si dovrebbe agire alla base della piramide, non al vertice.
La domanda di Sbezzi "Cosa succede in Serbia e Slovenia?" ci ha incuriosito a tal punto che è ha fatto partire la nostra analisi sulle sedici nazioni arrivate alla TOP-16 dell'ultimo Europeo. Il dubbio di fondo era che la differenza fosse non tanto su cosa succedesse in questi paesi, le regole di eleggibilità degli atleti di casa, ma cosa accadesse fuori, ovvero la facilità con cui all’estero, più facilmente che in Italia, si sia disposti a riempire una valigia di cartone e andare a cercare fortuna, obbligati a migliorare il proprio gioco per sopravvivere.
Per verificare se la nostra sensazione fosse vera, abbiamo misurato il numero di giocatori che nella scorsa stagione (roster a dicembre 2016) hanno giocato in un paese europeo diverso da quello di appartenenza. Per farlo abbiamo tolto tutti i giocatori di doppia nazionalità per depurare il conteggio dai passaportati “alla Randolph” e abbiamo preso a riferimento le principali leghe europee (prime tre serie di Italia, Francia, Germania, Spagna, Grecia, Turchia, delle rimanenti la prima e/o seconda) **.
I risultati non hanno bisogno di molti commenti: i serbi staccano tutti, ce ne sono ben 150 in giro per l’Europa alla ricerca di fortuna. Certo, c’è anche Bogdan Bogdanović che come il nostro Gigi Datome, è stato costretto ad emigrare in Turchia per trovare un livello che solo il miglior club d’europa poteva offrire. Ma in Serbia, per ogni Bodganovic, ce ne sono altri dieci sparsi nelle leghe minori italiane o spagnole, per i quali il Fenerbahce è solo un miraggio. Dall’analisi abbiamo volutamente tolto l’NBA proprio perchè il nostro fine è capire il comportamento di chi sta provando a diventare un giocatore di altissimo livello, non di chi lo è già.
Dietro agli inarrivabili serbi, ci sono una serie di nazioni che piazzano diverse decine di propri atleti e impressiona vedere questi numeri anche in considerazione della numerosità della popolazione, come i 47 montenegrini e i 35 sloveni. Dietro queste nazioni ci sono un gruppo di paesi che parte dagli 11 della Russia e va ai 7 della Germania, che per caratteristiche sono meno soliti all’esportazione di talenti. Turchia e Italia hanno una gruppo a parte, in questi paesi giocare fuori dai propri confini è una rarità.
Dopo avere visto questi numeri, torniamo alla domanda principale, che tutti indirettamente si fanno: come si vince un Eurobasket? Per semplicità facciamo il percorso inverso: chi sono quelli che ce l’hanno fatta? Che storia hanno, che percorso hanno fatto?
Lo sloveno Prepelic, dopo qualche anno in patria, ha cercato fortuna in squadre di Eurocup / Fiba Champions in Turchia, Germania e Francia. Il compagno Nikolic è un prospetto, è stato preso dal Bamberg che lo fa giocare in legadue tedesca nella sua affiliata. Zagorac la valigia di cartone ce l’ha davvero, ha giocato dappertutto e a tutti i livelli, con molti anni in legadue spagnola e italiana. Era anche lui sopra il gradino più alto d’Europa. Guardando la finalista Serbia, Kuzmic ha visto impennare la propria carriera dal 2013, ma per arrivare a questi livelli ha fatto diversi anni in Finandia, poi legadue in Spagna. Stimac già da giovanissimo ha lasciato la madrepatria per la Lituania, poi il vento lo ha portato ovunque contratti e progetti tecnici offrissero la migliore combinazione possibile.
Sono solo esempi che descrivono una tendenza. La domanda che ci viene osservandoli è questa: siamo sicuri che le attuali regole non mettano indirettamente delle catene ai nostri giocatori, che non sono incentivati a trovare la migliore soluzione tecnica, di ambiente, di spazi nella squadra, per diventare dei giocatori più forti? Siamo sicuri che una concorrenza limitata ai soli colleghi italiani non metta davanti ai nostri talenti un senso di urgenza che li spinga più in là di dove credono di poter arrivare?
La carriera di Prepelic è alla portata di tutti i nostri ragazzi sotto i 26 anni che sono nel giro della nazionale: ha giocato in squadre che se militassero nel campionato italiano verrebbero definite di seconda fascia. Eppure Eurobasket l'ha vinto lui, con Dragic seduto in panchina e Doncic di fianco agli addetti alla sicurezza.
Sia chiaro, con le regole attuali Milano ha fatto benissimo ad offrire un contratto importante ad Abass e Fontecchio e loro hanno fatto benissimo ad accettarlo. Ma è la scelta che li porterà ad elevare al massimo livello possibile la loro pallacanestro? Sembra una domanda tendenziosa ma non vuole esserlo: è davvero impossibile dirlo. Quel che è certo è che i Prepelic, gli Stimac e i Zagorac si sono trovati nelle loro carriere a giocare senza certezze e garanzie, sempre consapevoli che per trovare ogni anno il miglior contratto potevano fare esclusivamente due cose: da una parte migliorare costantemente il proprio gioco, dall’altra cercare ogni singolo anno la migliore soluzione tecnica per loro, in modo da performare bene e quindi trovare l'anno successivo un contratto ancora migliore: è chiaro che la scelta potrà portare a migliori risultati se come menù hai tutte le squadre europee e non un elenco ristretto a un paio di soluzioni.
All'inverso in Italia, se le squadre hanno un’alta domanda di giocatori italiani, forzati dalle regole, il primo effetto sarà che per i giocatori l'obbligo di migliorarsi non sarà più così urgente, si starà solo attenti a non farsi superare dai colleghi italiani, perché la competizione non è globale come quella sulle spalle dei Prepelic. Il secondo effetto sarà che il progetto tecnico non sarà più così importante, dato che magari la situazione non è ideale, ma si riesce ad ottenere un buon contratto. Infine ci sfugge perché le regole sull’eleggibilità non siano limitate a una determinata età, come se avere 5 italiani over 30 in campo serva a far crescere il movimento: ma se sono a fine carriera, che senso ha? Ma forse stiamo aprendo troppe parentesi.
Rimanendo sulla questione, è pacifico che il giocatore italiano più migliorato degli ultimi anni sia Nicolò Melli, che era un buon giocatore ed ora è diventato una stella europea. Come ha fatto? Osservando da fuori, sembra che ci sia riuscito da una parte lavorando sul suo gioco, dall’altra tagliando le radici da un bellissima città che distava 40 minuti di TAV da dove è nato, ma che forse non lo faceva rendere al meglio. Semplicemente ha scelto quella che per lui era la migliore combinazione tecnica possibile, il posto dove il suo talento potesse schiudersi piuttosto che venir soffocato. Forse non è stata una scelta semplice, di certo non una scelta scontata, ma siamo sicuri che Klemen Prepelič, da Maribor, Slovenia, avrebbe preso la stessa strada.
** Fonte dati RealGM. Fotografia a dicembre 2016. Gli italiani all’estero erano Datome, Melli, Bargnani. Gentile ancora a Milano, Hackett ha doppia nazionalità. In questa stagione saranno due.