Mr. Silver, abbatta quel muro: è ora che le migliori 16 squadre giochino i playoff
L'articolo di oggi è ripreso dal pezzo di Kirk Goldsberry del 28 gennaio dal titolo: "Mr. Silver, Tear Down That Wall: It’s Time to Let the 16 Best Teams Into the NBA Playoffs"
Proseguono gli appuntamenti con le traduzioni di Giacomo Sauro di alcuni pezzo del sito Grantland. L'articolo di oggi è ripreso dal pezzo di Kirk Goldsberry del 28 gennaio dal titolo: "Mr. Silver, Tear Down That Wall: It’s Time to Let the 16 Best Teams Into the NBA Playoffs"
Siamo ormai oltre la metà della stagione regolare e i Golden State Warriors hanno la assurda percentuale di vittorie dell’83,7. Nonostante la sconfitta dell’altro giorno contro Chicago, sono in media per ottenere 68,6 vittorie finali. A proposito di Chicago, proprio i Bulls e i Lakers del 1972 sono le uniche due franchigie ad aver mai raggiunto tale numero di vittorie in regular season. In altre parole, la stagione dei Warriors è semplicemente storica, e il mondo delle scommesse se ne è accorto: i Dubs sono meritatamente i favoriti al titolo.
Tuttavia la loro quota è più bassa di quello che normalmente sarebbe. Purtroppo per i tifosi dei Warriors, questa loro storica stagione coincide con un divario, anch’esso altrettanto storico, tra le due conference. Chiunque la spunterà a Ovest avrà superato uno dei più estenuanti percorsi verso le finali che la NBA abbia mai visto.
La formula dei playoff NBA è abbastanza semplice, ma grazie al connubio con la divisione in conference è anche estremamente suscettibile a questo tipo di dislivelli. La qualità generale delle serie dei playoff è tecnicamente più un riflesso della corrispondenza tra le conference che del livello di gioco medio della Lega. E questo è un problema.
Se la stagione regolare terminasse martedì mattina (27 gennaio, NdT) gli accoppiamenti sarebbero questi:
Neanche tanto male, no? Voglio dire, starei comunque attaccato al televisore per due mesi di fila, ma la questione è un’altra. Si sa che 16 delle 30 squadre NBA disputano i playoff, otto dell’Est e otto dell’Ovest. Tuttavia, secondo l’NBA Basketball Power Index di ESPN, che tiene in conto la difficoltà del calendario e la frequenza delle partite, le migliori otto squadre della Lega si trovano tutte a Ovest. Si potrà obiettare con ragione che gli Hawks, i Cavs, i Wizards e i Bulls non sono degli scarsoni (e siamo d’accordo), ma resta che la differenza di qualità tra i playoff che avremo e quelli che meriteremmo non è mai stata così accentuata. Qua bisogna cambiare qualcosa.
Con l’attuale struttura a conference si ha la paradossale circostanza in cui quattro fra le superpotenze a Ovest si troveranno già sui campi da golf dopo una sola serie playoff. Forse si può intuire meglio cosa intendo dire guardando quale sarebbe il tabellone se si applicasse un sistema di posizionamento in griglia alternativo (e più logico), basato sul solo record generale (aggiornato a martedì 27 gennaio). Data l’eterogeneità del calendario NBA, anche questo sistema avrebbe qualche imperfezione, tutte in ogni caso a favore del già favorito Est. Quindi, al netto dei differenti calendari, ecco come sarebbe il tabellone playoff se esistesse una sorta di girone unico.
Come si vede, sei delle migliori otto vengono dall’Ovest, così come 10 su 16 squadre totali. Sostanzialmente questo sistema lascerebbe a casa Charlotte e Miami in favore di New Orleans e Oklahoma City. In altre parole, spazio per Anthony Davis, Kevin Durant, e Russell Westbrook.
Veramente preferiamo questo qui?
A questo qui?
I playoff senza Westbrook sono come Gwyneth Paltrow senza Chris Martin: mi si spezza il cuore. I Thunder sono una delle squadre più divertenti della NBA, ma per gli infortuni e l’iniqua struttura a conference, c’è la possibilità che non approdino alla postseason. Se però ai playoff arrivassero le 16 squadre che più li hanno meritati, Oklahoma City si troverebbe oltre la soglia di sbarramento, come una pericolosissima 15esima qualificata. È ora che la NBA abbandoni queste benedette conference.
A dire il vero Adam Silver ha affermato pubblicamente di avere intenzione di affrontare il problema, ma mai come quest’anno le ragioni che indurrebbero alle doverose modifiche sono davanti agli occhi di tutti. Commissioner Silver, se intende perseguire l’equità, se intende perseguire il bene per Russell Westbrook e per la National Basketball Association, se intende perseguire la liberalizzazione del meglio che può accadere su un campo da basket, venga da questa parte. Mr. Silver, apra quella porta. Mr. Silver, abbatta quel muro!
Si potrebbe sostenere, con buoni argomenti, che quest’anno è piuttosto eccezionale in quanto a divario tra le conference e che di solito il tabellone dei playoff NBA va più che bene. Con l’attuale sistema però si è in balia di eccezioni come quest’anno; perché non cambiare allora, peraltro verso un sistema comunque più giusto? Nonostante un calendario squilibrato, in cui le squadre della Eastern Conference giocano più partite contro le colleghe di conference, 10 dei migliori 16 record appartengono comunque a formazioni dell’Ovest.
Il girone unico, e la vera disposizione dei valori che ne deriverebbe, non è rivoluzionario, ma una svolta logica per la più grande lega professionistica di basket al mondo. Una squadra come Golden State dovrebbe essere premiata, per il dominio che sta mostrando in stagione regolare, con un accoppiamento che le metta di fronte la peggiore tra le qualificate, e non Oklahoma City, San Antonio o Phoenix, come accadrebbe con l’attuale sistema. Se il girone unico premierebbe Golden State per i suoi successi nel corso delle 82 partite, con serie da primo turno come Portland-Cleveland, Washington-Chicago e OKC-Atlanta sarebbero premiati anche tutti quelli che vogliono guardare la pallacanestro migliore che questo pianeta può offrire.
Lo squilibrio tra le conference non può resistere alla verità. L’idea degli Hornets che vanno ai playoff non può resistere alla libertà.
Articolo/Traduzione di Giacomo Sauro
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