NBA Draft: le peggiori scelte dal 2000 ad oggi
Celebriamo il meglio delle perle messe insieme dai GM delle Franchigie Nba negli ultimi 13 anni
Parliamo di Draft: questa volta per celebrare il meglio delle perle messe insieme dai GM delle Franchigie Nba negli ultimi 13 anni. Non vi annoieremo però con le solite storie che ormai avrete letto una ventina di volte, tipo l’errore a prendere Milicic prima di Anthony, Wade e Bosh nel 2003, oppure Kwame Brown preso da Jordan alla numero 1 nel 2001. Abbiamo setacciato un po’ di archivi di draft andati, e anche un po’ di database con le statistiche dei campionati esotici, per fornirvi un po’ di succose storie in parte dimenticate a proposito di presunte stelle rivelatesi fiaschi colossali.
1. Yaroslav Korolev: Iniziamo il nostro viaggio con uno dei bidoni più clamorosi degli anni recenti, in parte dimenticato a causa delle pochissime tracce lasciate nella lega (o forse per l’eccellente lavoro di insabbiamento svolto dallo staff dei Clippers?). Yaroslav nel 2005 aveva strabiliato tutti gli scout giocando molto bene il campionato europeo u18 e il torneo giovanile di contorno alle Final Four di Eurolega. Classe ’87, 18 anni non ancora compiuti, con un torneo di una settimana giocato su buoni livelli aveva convinto tutti, lui in primis, a passare dai 2 minuti 2 di media al CSKA Mosca direttamente all’Nba. I Clippers vedono che tira bene, che schiaccia bene, corre bene il campo, sa palleggiare, insomma sono convinti di prendere la big guard del futuro, e ci spendono la chiamata numero 12. Il Nostro, per sua stessa ammissione, non guardava una partita Nba dal 2003 ed era un filo indietro fisicamente, in compenso estasiato dai carichi di dollari e dalla nuova esperienza, decide di trasferirsi immediatamente a Los Angeles. Immaginate voi un ragazzino che ha fatto poco più che i tornei giovanili, cresciuto in Russia e in Costa Rica, dove aveva seguito il padre che giocava lì, divenuto improvvisamente ricco, e per di più a Los Angeles. Nella Summer League di Las Vegas non chiude nemmeno malissimo, con 10 punti e 5 rimbalzi di media. Poi il nulla cosmico, in due anni gioca 34 partite, con 39 punti totali. Scaduti questi due anni, ritorna in Russia, dove incomincia a scaldare panchine alla Dinamo Mosca. Ogni anno gioca poco o niente, addirittura nel 2008-2009 è un titolare della Dinamo Mosca U23! Pensate un po’voi trovarvi in un campionato GIOVANILE un giocatore scelto al 12 dall’Nba, tre anni prima. Disputa altre due Summer League, una con Dallas e l’altra con i Knicks, forse perché i Gm Nba tra di loro sono solidali, e finchè rimane una minima possibilità, non vogliono giudicare una chiamata alta al draft “buttata nel cesso”. Il resto è storia recente, il buon Yaroslav, peraltro ancora giovanissimo, rincorre contratti in giro per l’Europa. Quest’anno ha iniziato la stagione allo Spartak San Pietroburgo, peraltro giocando minuti in singola cifra(caso strano per lui in effetti), terminando l’annata in Spagna, dove ha messo insieme 3,9 punti e 2,9 rimbalzi in ben 15 minuti di media circa. Dopo tanti anni, oggi Korolev gioca (quando non guarda gli altri giocare, cioè spesso) da ala grande, tira più da oltre l’arco che da 2, nonostante sia un super atleta. Questions?
2. Rafael Araujo: questo, tra i bidoni, a detta di chi vi scrive è uno dei più inspiegabili. Il suddetto Rafael, centrone enorme bianco grasso e oltremodo grosso (attualmente 2.11 per 127 kg) aveva terminato due anni di college a Bringham Young a 19 punti e 9 rimbalzi di media, facendo presentire un ottimo potenziale anche tra i pro, tanto da farsi scegliere al numero 8 nel draft 2004. Poi qualcosa è andato storto, francamente non si capisce bene cosa, così il nostro brasiliano è tornato a giocare campionati Fiba, spesso mettendo insieme ottimi numeri, come il 15+9 dell’anno scorso nel torneo brasiliano, per di più condito da un 83% dalla lunetta, che se non altro ci notifica che non staremmo parlando proprio di un maniscalco. Purtroppo per i Raptors (il cui ambiente invero, dopo l’altissimo indice di fallimento delle prime scelte accasatesi in Canada, comincia ad essere piuttosto sospetto), dopo Rafael sono stati scelti Josh Smith, JR Smith, Al Jefferson, Kevin Martin, Jameer Nelson, Anderson Varejao (pure brasiliano)...
3. Joe Alexander: clamoroso errore dei Bucks, che nel 2008 hanno scelto con il numero 8 questo atletone da West Virginia, pure dotato di ottimo jump dalla media, tralasciando futuri mestieranti Nba quali Brook Lopez, Roy Hibbert, Nikola Pekovic, Mario Chalmers ecc. Gli scout erano tutti concordi: se va bene è uno Shawn Marion con più tiro, se proprio proprio non si integra nel gioco Nba potrà assomigliare ad un Tom Gugliotta. Qualcosa è andato storto, se il nostro Joe ha passato le ultime annate tra Russia (al Krasnie Krilya, Super League, faticando a trovare spazio) e Cina, dove nel 2012 abbiamo perso le sue tracce. Aspettiamo di vederlo rispuntare in qualche campionato esotico.
4. Nikoloz Tskitishvili: di lui si sa già di più, forse perché giocatore della Benetton sotto Mike D’Antoni prima di essere scelto in Nba. Preso diciannovenne dai Denver Nuggets al numero 4 assoluto, il povero Nikoloz era (o forse è) totalmente convinto di essere una guardia tiratrice, nel corpo però di un giocatore di 2.11. Non ha mai inciso nell’Nba, non essendosi mai ritagliato uno spazio accettabile in 4 stagioni di tentativi. L’abbiamo incluso in questa rassegna di “brocchi dimenticati” per due sostanziali ed eccellenti motivi. Il primo è: quanti di voi sapevano che uno dei direttori delle operazioni di scouting dei Nuggets fin dal 97 si chiamava D’Antoni (peraltro anche coach delle pepite d’oro nel 99)? Quando si parla di Mike, addebitategli anche questo mostruoso bidone. L’altro motivo è: quanti di voi sapevano che Nikoloz, non si sa assolutamente il perché, ha speso le sue ultime tre stagioni tra Iran e Libano andando spesso in tripla doppia ai 20 tra punti, rimbalzi e tiri da 3 punti tentati? non è per nulla a fine carriera tra l’altro, è un 83! Non sarebbe il caso di recuperarlo in qualche modo?
5. Robert Swift: Ed eccoci al piatto forte, ora iniziamo la rassegna di quelli scarsi, ma scarsi tanto. Gente che se la incontrate al campetto la domenica pomeriggio gli chiedete con quale squadra di promozione si sono accordati il prossimo anno. Allora, in questo e nei prossimi due profili, faremo un viaggetto negli scheletri nell’armadio dei Seattle Supersonics, e siamo sicuri che di errori sportivi simili, non ne avete sentiti molti. Cominciamo da Robert, un fragolone rosso di capelli e molto, molto lentigginoso. Questo enorme mozzarellone di 2.14, grazie alla stazza, all’altezza e ai discreti movimenti mostrati da centro puro al liceo, viene scelto al numero 12 nel Draft 2004 dai Seattle Supersonics, disperatamente alla ricerca di un centrone dominante. Dopo svariate stagioni da sventola asciugamani tra Seattle e Oklahoma, improvvisamente nel 2010 a Robert torna la voglia di giocare, e decide, non si sa in preda a quale attimo di follia, di firmare un contratto nel campionato giapponese. Si, avete capito bene, un marcantonio di 214 per 130 kg, grosso, grasso, tatuato in un modo “birdmanneggiante” e veramente brutto, che decide di concedersi un intera stagione in mezzo ad avversari con occhi a mandorla e che gli arrivano si e no alla clavicola. Lo shock deve essere stato notevole. Sicchè, dopo un anno a discrete cifre (14+9, ma il campionato giapponese vale una serie B … iraniana), il buon Robert ritorna in America e finisce nei guai con la legge, poiché si rifiuta di liberare una proprietà nei sobborghi di Seattle, dove la nuova inquilina, che volle mantenere l’anonimato, raccontò, giunta per la prima volta nel suo nuovo appartamento, di essersi trovata davanti uno spettacolo incredibile. Milioni di lattine di birra vuote, casse e casse di cibo avariato, spazzatura in ogni dove, buchi nel muro, ma non basta. C’erano anche svariate macchine rotte nel parcheggio pieno di fango, e addirittura alcuni fori di proiettile sulla porta del garage. Beh dai ragazzi di cosa stiamo a parlare? Sulla porta d’accesso capeggiava il cartello: “Danger men drinking”
6. Johan Petro: dicevamo dunque delle scelte di Seattle? Bene, dovete sapere che nel 2005, non contenti dell’impatto di Swift, selezionato l’anno prima, i Sonics tentano di pescare la stessa tipologia di giocatore, ovvero il centrone fisicamente dominante. La scelta ricade su Petro, marcantonio francese di 2.14 per 115 kg. Anni? Diciannove. Tecnica/fondamentali ? Sembravano quelli di uno che aveva iniziato a giocare il martedì prima. Pregi? Un giaguaro alto, grosso, sinuoso, stavolta almeno nero, non come quella mozzarella di Swift. Dicevano: questo porta rimbalzi, stoppate, sberle in quantità, a giocare a basket si impara. Anche a voi sembra di averla già sentita? Questa volta però, perlomeno i Sonics spazio glielo danno: parte infatti titolare in 81 delle sue prime 220 partite, con 18 minuti di media. Qualche rimbalzo lo porta giù, qualche stoppata qua e là la distribuisce, ma per talento e comprensione del gioco siamo all’abc. Dopo qualche annetto, si sposta con la franchigia a Oklahoma, e viene trattato come un gioco vecchio, inutile. 22 Partite soltanto. Trade immediata per Denver, dove gioca un paio di stagioni senza impressionare. Nel 2010 i Nets hanno la brillante idea di allungargli un contratto da 10 milioni per 3 anni, che si rivela quasi subito un peso morto sul cap della franchigia del New Jersey. L’ultimo stagione l’ha trascorsa ad Atlanta, dove da buon pensionato Nba ha fatto registrare un anonimo 3,7+3,6 in ben 12 minuti di impiego. Nella bacheca personale dei trofei di Johan, che crediamo sia abbastanza scarna, trova posto però un incredibile record: il suddetto francese (tra l’altro eliminato a vita dalla nazionale transalpina per episodi spiacevoli) era in campo nell’ultima partita di Seattle prima del cambio di città ad Oklahoma city e, nel 2012, è l’ultimo giocatore dei New Jersey Nets a realizzare un canestro, prima del trasferimento della società a Brooklyn. Che dire, porta anche fortuna alla sua franchigia!
7. Mouhamed Sene: ed eccoci al capolavoro. Niente da fare. Non contenti dei sucessoni dei due draft precedenti, lo staff di Seattle ci riprova. Hanno la decima chiamata assoluta nel draft 2006, e la spendono per un giocatore classificato intorno alla venticinquesima posizione dai siti specializzati. Niente paura, Mouhamed è diverso dagli altri due, questa volta funzionerà. Il centrone nativo del Senegal, ovviamente enorme, ovviamente sinuoso, alto ecc ecc, aveva iniziato a giocare a basket nel 2003. Tre anni prima. Ci siamo finalmente, il tris è servito. Immaginatevi una partita a carte, magari sull’aereo per qualche trasferta, tra il bevitore di birra lentigginoso, il francese e il puma del Senegal, che a giudicare dalle prime interviste post draft, era in grado di comprendere poco più del classico wot’s-yor-neim. Le tre grazie insomma. Nella stagione 2007-2008, sono stati inclusi anche tutti e tre insieme nella lista inattivi, ma più spesso si alternavano, due in tribuna e uno a portare le borracce ai compagni. Dopo 260 minuti totali in due stagioni, in cui aveva fatto registrare numeri importanti, tra cui spiccava l’unico assist della sua carriera Nba, per il buon Sene si spalancano le porte della D-League, poi si spalancano(sennò Mouhamed non ci entrava) anche le porte dell’Europa. Lo abbiamo ritrovato quest’anno in Spagna, dove in 15 minuti tirava giù dei buoni rimbalzi, mettendo insieme anche qualche puntarello. Quanto sarebbe bello organizzare un rendez-vous tra i tre centri a loro modo più leggendari degli ultimi 10 anni Nba? Chi di voi non vorrebbe vedere un tutti contro tutti tra Robert Swift, Johan Petro e Mouhamed Sene al campetto? Ah, se per caso incontrate il Gm dei Seattle Supersonics di quegli anni, tale Rick Sund, cambiate strada: non si sa mai.
Pagina di 2