Judas Shuttlesworth, perchè Ray Allen è passato agli odiati Miami Heat
Il trasferimento più chiacchierato dell'estate NBA raccontato da Edoardo Tamalio
E quindi ecco che Ray Allen, il miglior tiratore della storia della NBA alla veneranda età di 37 anni ha voltato le spalle alla franchigia che per lui ha significato anello e Hall of Fame per passare ai rivali, quei Miami Heat che solo pochi mesi fa si sono frapposti fra i Celtics e quella che sarebbe stata una finale NBA storica.
Ma perché Allen, unanimemente riconosciuto come uno dei gentleman della Lega, ha scelto di rischiare di macchiarsi una carriera ai limiti del leggendario che come detto, già annovera fra i suoi successi anche un titolo?
La verità, come sempre in questi casi, sta solo ed unicamente nella testa di Ray, ma forse un piccolo sguardo all’ultima stagione dei C’s ci può aiutare a dare almeno un senso a questa mossa che ha etichettato il 20 con uno degli aggettivi peggiori in ambito sportivo e non: traditore.
La vita e la carriera di Pat Riley sono probabilmente destinate ad essere inchiostrate in un best seller, ma quello che a molti sfugge è la capacità dell’ex Kentucky di far sentire i suoi giocatori davvero desiderati, fortemente voluti in quella che è la famiglia Heat. E’ successo così per LBJ, per Rashard Lewis, ma anche per Zo Morning qualche anno fa. Ultimo in ordine di tempo Allen che ha ceduto volentieri alle lusinghe e non solo dell’ex Coach of the Year. Ma c’è dell’altro.
La stagione 2011-2012 è stata speciale per tutte le franchige NBA, ma ancor di più per i Boston Celtics. Speciale perché dopo un inizio di stagione in cui sembrava chiaro al mondo come la corsa fosse finita da un pezzo, KG e Rondo hanno trascinato i loro compagni ai playoffs e ad un’inaspettata quanto stupefacente finale di conference.
In tutto questo però He Got Game è sembrato sempre il più sacrificabile se non addirittura l’anello debole.
Ogni volta che il sole sorgeva sopra la città di Boston il suo nome veniva inserito in rumors di mercato che lo volevano pedina di scambio per una trade.
Poi il boom.
L’ultimo giorno utile concesso alle squadre per fare operazioni di mercato, il 12 Marzo di quest’anno, Ray ha ricevuto una chiamata dal suo, ormai ex, GM Danny Ainge: “Ray sei stato ceduto a Memphis.” Le parole sospese nel vuoto e la secca risposta di Allen: “Ok”.
Poche ore più tardi è il coach Doc Rivers a contattarlo. Gli annuncia che la trade è morta e che resterà un Celtic per il resto della stagione.
Ray è felice, ma la ferita è ormai aperta ed il sangue sgorga.
A complicare l’assunto ci pensa quell’artista che risponde al nome di Rondo Rajon. Il tempo e i numeri hanno consacrato il 9 come la vera stella in Massachusetts e in spogliatoio non fa niente per nasconderlo. Partita dopo partita, allenamento dopo allenamento, Rondo parla sempre meno con Allen, lo tratta con il massimo rispetto, ma anche come uno i cui giorni migliori sono più che passati. Alcune indiscrezioni raccontano di un litigio durante uno shoot around fra i 2, occorso proprio in Marzo, dove solo le sagge parole di Pierce hanno salvato la situazione che da calda rischiava di diventare completamente incandescente.
Poi l’infortunio alla caviglia sul finire della regular season, quello che tiene fuori Allen fuori anche per alcune partite di playoffs e che soprattutto lo espone ancora di più alle critiche. Al ritorno il suo posto in quintetto appartiene ad Avery Bradley, neanche un terzo del giocatore che è Ray, ma dotato di quell’atletismo che ai Celtics serve disperatamente. Ray non dice niente a Rivers, sa che i playoffs non concedono distrazioni e sa che Garnett non permetterebbe mai una polemica di quel genere durante la post season. Il cuore e ancor di più l’ego del 10 volte All Star a quel punto più che feriti sono smembrati.
Finita la stagione Ainge e Rivers hanno deciso di mostrare alla loro guardia un rispetto quanto meno economico: 12 milioni per due anni. Un’offerta del genere ad un 37enne reduce da un infortunio alla caviglia non è poi così male.
Ma la decisione di lasciare Beantown Ray l’aveva già presa al suono della sirena finale di Gara 7.
Poi Riley, gli Heattles e South Beach, la possibilità di aggiungere almeno un anello alla collezione e voglia di vendicarsi dei torti subiti, nonostante l’offerta dei campioni in carica fosse di molto inferiore ai quella dei Celtics.
Chissà se in una NBA che ormai non c’è più, quella delle vere rivalità, Ray Allen avrebbe preso la stessa decisione. La decisione che lo priverà, molto probabilmente, di vedere il suo numero 20 ritirato dalla franchigia più blasonata della storia, la decisione che macchierà per sempre la sua, finora immacolata, carriera degna di uno dei più rispettabili e rispettati atleti d’America. Things have changed avrebbe cantato uno bravino e noi tutti non possiamo che adattarci ai cambiamenti, ma permetteteci di dire che al momento della notizia che titolava “Ray Allen signs with the Miami Heat” un po’ di rammarico l’abbiamo provato.
E se a qualcuno per sbaglio sfuggisse un Judas Shuttlesworth al posto di Jesus, beh magari non saremo noi i primi a correggerlo.