Done in the dark
Vi proponiamo la traduzione del pezzo scritto da Lamar Odom per il The Players' Tribune
Vi proponiamo la traduzione del pezzo scritto da Lamar Odom sul The Players' Tribune. L'ex giocatore dei Lakers parla dei problemi avuti con la droga e la sua battaglia quotidiana per uscirne. Eccola di
Quando mi sono sono svegliato nella stanza d'ospedale in Nevada non potevo muovermi. Non potevo parlare. Ero intrappolato nel mio stesso corpo. La gola mi faceva un male cane. Guardai in basso e vidi dei tubi che mi uscivano dalla bocca.
Mi prese il panico.
Provai a strapparli via ma le mie mani erano troppo deboli. Le infermiere corsero a fermarmi. Avete mai fatto un sogno veramente brutto, in cui provate a scappare da un mostro o qualcosa del genere e non riuscite a correre? Le gambe non funzionano come dovrebbero e il mostro vi arriva dietro ed è come se tu stia avanzando al rallentatore. Ecco come mi sentivo.
Ero disteso nel letto a guardare il soffitto e i dottori continuavano ad entrare nella stanza, dicevano qualcosa e poi uscivano. Poi tornavano, poi riuscivano, avanti e indietro continuamente. O forse ero io che continuavo ad addormentarmi e svegliarmi.
La mia ex-moglie era nella stanza con me. Dopo tutte le cose che ho fatto ero sorpreso di vederla. In tutta onestà è così che ho capito di essere in una brutta condizione.
Ad un certo punto arrivò il primario e mi disse cos'era successo: "Sig. Odom, è stato in come per quattro giorni. Capisce quello che le sto dicendo?"
Non potevo parlare quindi feci un cenno.
E continuò: "E' un miracolo che sia qui, non credevamo che ce l'avrebbe fatta".
La traduzione è stata realizzata da Michele Da Campo
Ero in totale stato di shock. Non sapevo che rispondere, non potevo fare domande. Per la prima volta in vita mia mi sono sentito indifeso. Mi sembrava di essere alto cinque centimetri. E stava accadendo veramente.
In quel punto della mia vita mi facevo di coca tutti i giorni. Diciamo che ogni momento libero della mia giornata era il momento buono, non riuscivo a controllarmi.
Non volevo controllarmi.
Ricordo di essermi seduto sul letto e per la prima volta in vita mia non potevo a cavarmela a parole. Ero intrappolato tutto il giorno insieme ai miei pensieri. E continuavo a ricordare una cosa che mia nonna continuava a ripetermi quando ero un bimbo.
Potevo vedere il suo volto, come se fosse veramente nella stanza con me.
"Ciò che è fatto nel buio", diceva, "verrà fuori alla luce".
Penso a tutti ii modi subdoli in cui ho provato a cavarmela, a tutte le volte che ho sbagliato, a tutte le cose che ho provato a nascondere. Se non è alla luce "pubblica" è alla luce di Dio.
Ero sdraiato il quel letto, collegato a tutte quelle macchine, le persone attorno a me piangevano e non si poteva più scappare. Era come se Dio mi stesse dicendo: "Qualsiasi cosa tu stia facendo è ora di rallentare o sarà ancora peggio".
E di peggio c'è solo una cosa.
Dice bene Rick James, "la cocaina è una droga da panico" (‘hell of a drug’ - ndr)
Una droga da panico.
Ti fa fare delle cose impensabili, ti rende una persona diversa. Ti mette in situazioni in cui ti chiedi "Come diavolo ho fatto a finire qui?"
Quando ero nel letto d'ospedale continuavo a farmi questa domanda. E pensavo a quelle persone che non sono più nella mia vita. Principalmente pensavo a mia madre. Mio padre non c'era quando ero piccolo, aveva i suoi problemi con la dipendenza. Ma mia madre era la mia migliore amica, era così amorevole. Il mio primo ricordo in assoluto è il sentire la sua voce. Aveva degli occhi grandi e una voce molto pacata.
Se fossimo stati una famiglia come le altre tutti mi avrebbero chiesto "Lamar dov'è tua mamma? Dov'è Cathy? Dov'è Cathy?"
Era il centro di tutto a Jamaica, Queens.
Mi ricordo di quando iniziai a giocare a pee wee football (l'equivalente dei nostri "pulcini" - ndr), ero già parecchio grosso. Sapevo già badare a me stesso. Una volta però presi un colpo e rimasi a terra per 6, 7 secondi e mentre stavo per alzarmi sentii la voce di mia madre. Stava correndo dalle tribune in campo. Correva e urlava "Mookah! Mookah! Parlami bambino mio!"
Era il soprannome che mi aveva dato.
Arrivò da me e le dissi "mamma che stai facendo? Sei matta?"
Voglio dire, è New York City. Mi guardavano tutti come per dire Yo, andiamo ragazzo.
"Mookah, Mookah stai bene? Cosa ti fa male?"
"Mamma sto bene, esci dal campo!"
"Ok ok sto andando! Volevo assicurarmi che stessi bene"
E tornò in tribuna come se nulla fosse successo. Questa era mia madre, Mi guardava sempre le spalle.
Quando avevo 12 anni si ammalò. Sapevo che aveva il cancro al colon ma non avevo idea di quanto fosse grave. Provava a nascondermelo per proteggermi. Mi ricordo solo che fu ricoverata per un certo periodo in ospedale e ogni volta che andavo a visitarla mi sembrava sempre più piccola... come se stesse scomparendo, capite che intendo?
Un giorno mia nonna, mentre mi stava riaccompagnando a casa in macchina, mi disse: "Sai, tua madre potrebbe andarsene a giorni, voglio che tu sia pronto".
Il giorno in cui morì andai a trovarla e mi ricordo solo di come il cancro avesse devastato il suo corpo. Se potessi viaggiare nel tempo e tornare in quella stanza probabilmente non sarei nemmeno in grado di riconoscerla. Il suo viso era così piccolo, sanguinava dalla bocca. E continuava a dire "Mookah, Mookah..."
Ero seduto di fianco al suo letto e una delle ultime cose che mi disse la ricordo ancora oggi.
"Sii buono con tutti, Mook".
Credo che nulla possa preparare un dodicenne alla morte della madre. Ti lascia un segno, non importa quanto tu pensi di essere forte.
Sono riuscito a superare quegli anni solo grazie a mia nonna e alla pallacanestro. Sono loro ad avermi protetto. Il giorno in cui mia madre morì andai al campo a giocare. Era la sola cosa che volevo. Era la mia via di fuga.
Ricordo che la notizia della morte di mia madre cominciava a farsi strada nel quartiere e le persone cominciavano ad arrivare al campo. Poi ne arrivarono altre. Dopo poco il quartiere era tutto lì con me.
Pensai che sarebbe andato tutto bene. Avevo mia nonna, avevo la gente del quartiere, avevo Dio. Quindi forza e coraggio e si va avanti, fino a quando non bisognerà indossare l'abito buono per stringere la mano alla Vecchia Signora.
Dall'età di dieci anni avevo in testa la perfetta visione di David Stern sul podio mentre chiamava il mio nome, dicendo la squadra che mi stava scegliendo mentre io baciavo la mia famiglia. Potevo davvero vederlo.
Potreste pensare che essendo un ragazzo di New York, con droga da tutte le parti, che il mio problema abbia origine lontana. O che sia iniziato una volta draftato da Los Angeles. Ma non è andata così. Non toccai mai nulla di più forte della marijuana. E di certo non toccai mai la cocaina, anzi la guardavo con disprezzo.
Non l'ho mai provata fino a quando ebbi 24 anni, mentre ero in vacanza a Miami. E... vorrei dirvi che c'era una ragione per averlo fatto, ma non c'è. E' solo una stupida decisione che ho preso. Se avessi saputo che avrebbe avuto questi effetti sulla mia vita non ci avrei neanche lontanamente pensato. Ma l'ho fatto e si è rivelata una decisione che mi ha alterato la vita.
Nello stesso periodo, mia nonna morì. Ho perso un sacco di famigliari in un breve lasso di tempo. Quando mi facevo mi sentivo bene per un minuto. Non ero più ansioso, non pensavo al dolore, non pensavo alla morte. Quindi continuai a farmi, ancora e ancora, ma ne avevo ancora il controllo. Non era una cosa quotidiana.
E poi, circa due anni dopo, ho ricevuto una telefonata che mi ha cambiato la vita. Era l'estate del 2006. Era notte e stavo festeggiando, non sono tornato a casa.
Mio figlio Jayden aveva sei mesi. Era a casa in camera sua, e io avrei dovuto essere lì con lui. Ma ero fuori, a fare altro.
La mattina presto mi chiama sua madre. Era terrorizzata, le dissi di "Calmati, che succede?"
Lei disse: "Jayden... non si sveglia."
"Non si sveglia?"
"Sì, l'ambulanza è qui, lo stanno portando via".
Ero a Manhattan, guidai fino su a Long Island. Quando arrivai in ospedale i dottori mi potevano dire solo "non risponde".
Dissero "Ci ha lasciati".
"Ci ha lasciati? Che diavolo significa? L'ho appena visto."
Ragazzi, mio figlio era veramente vivace. Ogni volta che entravo in stanza girava la testa e mi fissava. Certo, non poteva parlare ma mi guardava. Usava molto i suoi occhi quasi a indicarmi che stava capendo. Tipo Hey c'è papà, come stai papà?
L'ho appena visto. Come diavolo è possibile?
Entrai nella stanza d'ospedale... e il dolore sul volto di sua madre, non lo dimeticherò mai. Non poteva crederci.
Sei mesi. Morto.
Oggi avrebbe 11 anni.
Mi capitava di pensare a come sarebbe stato se fosse ancora qui. In realtà ci penso ancora tutti i giorni.
I dottori ci dissero che la causa fu la Sindrome Della Morte Improvvisa Del Lattante. Sembra quasi un nome inventato. Nessuna spiegazione, nessuna risposta. E sei obbligato ad accettarlo.
Credo che in quel periodo tutto si sia amplificato, riguardo le droghe. Anche nel subconscio. Non sai nemmeno più perchè lo fai a quel punto. Senza volerlo ne diventi dipendente per il trauma che stai attraversando.
Specialmente con la cocaina, ci sono gli alti e i bassi emozionali. E' come sulle montagne russe, vai su e poi scendi. Su, giù, su, giù. Dopo che lo hai fatto provi vergogna, pensi a tutte le ragioni per cui non avresti dovuto. Poi riparte il ciclo.
Questo è ciò che la gente non capisce. Chiunque abbia vissuto una vita complicata e toccata dalle droghe come me conosce il ciclo e le sue derive: donne, tradimenti e cose così.. Notti che avrei dovuto passare dormendo, notti in cui
invece ero alzato a sniffare coca. Molte notti così. Quando il tuo cuore va a mille. Quando dovresti essere più consapevole. Quando sei solo su quelle montagne russe per godertela.
Pensate che non provassi vergogna? Credete che non mi rendessi conto di cosa stessi facendo?
Non ero cieco. Vergogna... dolore. Fa tutto parte del ciclo. Il mio cervello era andato. Col passare degli anni, entrando nei miei trenta, la mia carriera si andava chiudendo e le cose andarono fuori controllo.
Quando avevo 32, 33 anni... volevo solo farmi, tutto il tempo. Solo questo, solo drogarmi. E le cose si fecero davvero buie.
Uno dei posti più brutti in cui sono stato era una stanza di un motel, assieme a una ragazza con cui volevo strafarmi e mia moglie (all'epoca) entrò. Quello fu probabilmente il fondo del fondo per me.
Innanzitutto ero in un motel.
Un motel.
Sono un miliardario, Sono uscito da Jamaica, Queens e ho vinto due titoli NBA. E sono in un motel, con una sconosciuta a sniffare coca. Ma volevo solo divertirmi con questa ragazza e non c'era un posto in cui potessi andare. Non potevo certo portarla a casa. Mi stavo comportando da idiota e nulla di buono mi è accaduto per questo, nessuna scusa, nessuna ca**ata. Solo la verità.
La mia voglia ('My d*ck' - ndr) e le mie abitudini mi hanno portato a prendere strade da cui si vuole restare realmente alla larga. Un sacco di grandi uomini ci sono cascati. Molto probabilmente ci sono un sacco di giovani la fuori che sentono la mia storia e pensano che a loro non potrebbe mai accadere. Pensano di essere intoccabili.
Ragazzi... NESSUNO è intoccabile. Nessuna vita è immune dal dolore.
Sapete, una cosa strana è che mio zio era un secondino su a Ricker's Island. Era uno tosto. Era quello zio che quando ero alle medie tirava su la maglietta e mi sfidava tipo "Pensi di essere forte? Avanti allora, Mostrami il tuo colpo migliore. Più forte che puoi".
Wham, lo colpivo con tutta la mia forza e lui nemmeno batteva ciglio.
Quelli del carcere usavano trovarsi per una serata con le famiglie una volta al mese e lui mi portava con se. Ero sempre affascinato dai carcerati, alcuni erano dei veri geni. Zio Mike mi portava in questa stanza dove tenevano tutte le armi fatte in carcere una volta sequestrate. Se aveste dato a questi tizi uno stuzzicadenti avrebbero trovato il modo di farlo diventare un'arma. Potevano fare un coltello con dei pezzi di gabinetto e una sveglia.
Ricordo di aver avuto questo pensiero da giovane guardando tutti quegli oggetti: questi ragazzi sono veramente scltri. Alcuni avrebbero potuto diventare ingegneri. Come diavolo sono finiti lì dentro?
Mi dissi che non sarei mai finito in prigione. Che non mi sarei mai incasinato così.
Ma sapete, la vita è molto più dura di quel che credi che sarà.
Quando hai una dipendenza nulla può scalfirti. Non ho mai pensato di poter morire, non ho mai pensato di poter entrare in coma, non ho mai pensato di avere un problema. Ma poi mi sono svegliato in un letto pieno di tubi e all'improvviso era reale.
I dottori mi dissero che la notte prima di svegliarmi dal coma, i miei ragazzi venirono a trovarmi. Mi si spezzò il cuore perchè io pure avevo visto mia madre sul suo letto di morte piena di tubicini che uscivano dalla bocca.
I miei figli sono la sola cosa che mi fa tirare avanti. Sono stato un tipo grande e forte per tutta la vita quindi non appena i miei figli vedono una mia debolezza per me è difficilissimo anche solo parlarne.
Mio figlio Lamar Jr. ha 16 anni. E' timido e ama la pallacanestro. Come me, reincarnato, solo in una versione migliore.
Mia figlia Destiny ha 18 anni. E' bellissima, intelligente e nessuno gliela da a bere. Appena fui in grado di parlare di nuovo mi disse "Papà, o trovi il modo di farti aiutare o non ti parlerò mai più".
Iniziai la riabilitazione e lì impari a lasciar perdere. Sono stato una persona ansiosa per tutta la vita, mi preoccupavo per tutto. Ma sto imparando a inquadrare le cose e lasciarle. O perlomeno sto imparando come fare.
I miei figli mi hanno addirittura accompagnato ad alcune sessioni di terapia ed è stato molto importante perchè si sono aperti e mi hanno detto in che modo la mia dipendenza ha avuto effetto anche sulle loro vite.
E dopo uno di questi appuntamenti mia figlia mi ha detto: "E' stato bello ma non voglio più rivederti qui dentro".
Sono sobrio, ora. Ma è una battaglia quotidiana. Ho una dipendenza. Avrò sempre una dipendenza, non andrà mai via. Voglio dire, vorrei farmi qui e adesso. Ma so di non potere se voglio stare accanto ai miei figli.
In ospedale era pazzesco: quando ancora non potevo camminare moltissime persone venivano in visita. I miei vecchi compagni. Anche Kobe. Ho ricevuto messaggi sulla riga di "Dannazione ragazzo, i giornali dicevano che eri morto, sono contento di sapere che sei ancora qui".
Mi ha ricordato chi ero e cosa significavo per alcune persone.
Ho stretto le mani alla morte. Ma sapete cosa? Sono riuscito a tornare indietro. Anche se il mio funerale sarà probabilmente un bel funerale con tanta gente che si ritrova dopo tempo, non è ancora tempo per questo.
Ho ancora i miei figli, sono ancora qui e, diciamolo, sono ancora un bel tipo.
Mi sono successe talmente tante cose che la sola cosa che voglio ora è quel piccolissimo pezzo di mondo, quel piccolissimo pezzo in cui non devo preoccuparmi di nulla.
Tutti i giorni quando mi alzo guardo le stesse foto.
Foto di persone che ci hanno lasciato, Mia madre, mia nonna, mio figlio Jayden, il mio migliore amico Jamie.
Persone che sono ancora qui, i miei due bellissimi figli.
Guardo le loro facce per qualche minuto ed è come una sveglia che ti ricorda come dovrebbe essere la vita. Mi sento al caldo, sento energia e sento amore. E' ciò che mi da forza durante la giornata.
E' come prendere le mie vitamine.