La fine del 'The Process' e il fallimento della ownership dei Sixers
Con le dimissioni di Sam Hinkie, si chiude un'esperienza triennale difficile ma che aveva dato la speranza di un cambiamento concreto. Josh Harris e la ownership hanno fatto marcia indietro, tradendo quelle speranze
"We're still committed to the process, I don't expect radical changes to what we're doing. We're committed to Sam. We're committed to the process", queste erano state le parole di Josh Harris, owner di maggioranza dei Philadelphia 76ers, lo scorso Dicembre, durante la conferenza stampa di presentazione di Jerry Colangelo, che entrava ufficialmente nella franchigia come chairman of basketball operations. Harris lasciava intendere che l'arrivo di una figura di spessore come Colangelo non significava un cambiamento del piano intrapreso dalla franchigia due anni prima ma solo la necessità di introdurre un personaggio di esperienza all'interno del front-office. Josh Harris mentiva. Jerry Colangelo non è un personaggio che arriva in una franchigia per essere il numero 2, soprattutto a questo punto della sua vita e della sua carriera, e certamente non rimane a prendere ordini da qualcuno che non conosce e di cui non si fida. Ecco perchè l'introduzione di Jerry Colangelo è stato l'inizio della fine per Sam Hinkie, nonostante i tentativi di collaborazione degli ultimi mesi. Fin dal giorno 1 il piano di Colangelo è stato quello di portare dentro una persona che potesse rimpiazzare Hinkie, possibilmente suo figlio Bryan, senza lavoro dal 2013. Da quella conferenza stampa sono successe diverse cose: l'arrivo via trade di Ish Smith, l'ingaggio di Mike D'Antoni come vice di Brett Brown, il rinnovo biennale dello stesso Brown, la firma di un veterano come Elton Brand per dare maggiore esperienza allo spogliatoio. Nessuna di queste mosse ha davvero reso migliore la squadra nell'immediato e del resto sarebbe stato sciocco pensare il contrario ma sono state comunque delle operazioni che hanno lasciato intravedere il futuro a breve-medio termine della franchigia.
Nella notte tra il 6 e il 7 Aprile, a pochi giorni dalla fine della regular-season, Sam Hinkie ha rassegnato le sue dimissioni da GM e presidente esecutivo della franchigia, mettendo sostanzialmente fine al tanto decantato e criticato 'The Process'. Hinkie era a New York per un incontro con la ownership dei Sixers e in quell'incontro gli è stato fatto sapere che c'erano delle trattative avanzate per portare dentro la franchigia un altro top executive da mettergli vicino, uno tra Bryan Colangelo e Danny Ferry. A quel punto Hinkie ha detto basta, consapevole che l'arrivo di un altro top executive lo avrebbe delegittimato ulteriormente, andando a limitare sempre di più il suo ruolo decisionale nel front-office. La proprietà dei Sixers è rimasta sorpresa dalle dimissioni di Hinkie, come più volte specificato anche da Adrian Wojnarowski nel suo articolo di approfondimento sulla vicenda, volevano trattenerlo ma non si sono resi conti che l'arrivo di Jerry Colangelo a Dicembre aveva messo Hinkie in una posizione molto difficile, spalla a spalla contro un dirigente molto più esperto di lui e che poteva contare su un rapporto con la stampa decisamente migliore di quello dell'ex assistente GM dei Rockets. Dall'arrivo di Colangelo il numero di informazioni che hanno iniziato a trapelare dal front-office dei Sixers è stato sempre maggiore, la classica impronta di Colangelo, che ha sempre vissuto su cose del genere, passando informazioni di prima mano ai media e utilizzandole a suo vantaggio. Il tutto doveva raggiungere un culmine, ovviamente, ed è puntualmente successo con le dimissioni di Hinkie. A sostituire Hinkie come GM sarà Bryan Colangelo, figlio di Jerry ed ex executive di Suns e Raptors, probabilmente affiancato anche da Marc Eversley, attuale vice-presidente del settore scouting degli Washington Wizards.
Quella che si sta per avvicinare è probabilmente l'estate più importante nella storia recente dei 76ers, un draft cruciale con la possibilità di avere fino a 4 scelte al primo giro, il probabile arrivo di Dario Saric dall'Europa e il più che probabile rientro di Joel Embiid, i cui infortuni hanno allungato ulteriormente un progetto di ricostruzione già estenuante di suo. In un momento del genere la proprietà dei Sixers aveva un dovere nei confronti dei fans, fare una ricerca attenta e accorta per trovare il sostituto di Hinkie. La proprietà non ha fatto nulla di questo e ha lasciato in mano la situazione a Jerry Colangelo, permettendogli di portare dentro suo figlio Bryan senza fare colloqui con nessun altro candidato (fatta eccezione per alcuni contatti esploratori con Danny Ferry). La proprietà dei Sixers ha tradito i tifosi dei Sixers e gli ha mostrato ancora una volta perchè questa franchigia naviga da anni nelle acque della mediocrità NBA. Assumere Bryan Colangelo in questo momento è semplicemente una mossa senza senso, nè tecnico nè logico. A poche settimane da lottery e draft cambi il potere decisionale all'interno del front-office, lasciando però l'intero di team scouting messo su da Sam Hinkie e dai suoi collaboratori, creando inevitabilmente una confusione che porterà ad errori e incomprensioni.
Se c'era una cosa che Sam Hinkie era riuscito a restituire ai tifosi dei Sixers in questi quasi 3 anni di lavoro, quella era la speranza in qualcosa di diverso. Per anni i 76ers hanno navigato a vista, senza avere uno straccio di progetto a lungo termine e ottenendo risultati che definire mediocri sarebbe un insulto verso la mediocrità stessa. Scelte tecniche senza senso, ricchi contratti assegnati a giocatori che non avevano la benchè minima speranza di trasformarsi in giocatori franchigia. Un contesto talmente deludente e negativo che quando capitava di fare una capatina al primo turno dei playoffs, sembrava quasi fosse festa nazionale. L'arrivo di Hinkie e la decisione della proprietà di dargli fiducia e tempo, avevano finalmente dato l'impressione ai tifosi dei Sixers che ci potesse essere un progetto a lungo termine in corso. Niente più scorciatoie a stretto giro di posta, niente più squadre spacciate da contender con Bynum, Kwame Brown e Nick Young, niente più Ed Stefanski e Tony Di Leo a gestire le operazioni, insomma basta mediocrità.
Buona parte del tifo dei Sixers ha abbracciato il progetto della proprietà e di Hinkie, ha capito che le sconfitte avrebbero potuto portare a qualcosa di davvero luminoso in futuro, che ci sarebbe voluto tempo, forse anche tanto tempo, ma che alla fine qualcosa di diverso sarebbe emerso. Tutto è durato fin quando la proprietà non ha deciso di fare marcia indietro e lasciarsi influenzare dalla pressione mediatica esterna, dallo 'storico' numero di sconfitte, come se nella NBA ci fosse una reale differenza tra vincere 15 partite o vincerne 25-30. Hanno deciso di fare marcia indietro proprio nel momento in cui il progetto, iniziato quasi 3 anni fa, stava iniziando a produrre i suoi frutti, con un'estate cruciale alle porte. Tutto avrebbe potuto avere un minimo di senso se a rimpiazzare Hinkie fosse stato chiunque altro ma non Bryan Colangelo. La scelta dell'ex GM dei Raptors puzza di nepotismo lontano un miglio e non ci sono ragioni nè tecniche nè logiche per avallare una decisione del genere. Tutti quelli che si sono lamentati dei 3 anni di 'tanking estremo' di Hinkie, forse dimenticano gli straordinari record di Colangelo a Toronto, ecco un piccolo reminder
Senza contare che durante quel periodo Colangelo ha fatto una serie di mosse che si sono rivelate letali per i Raptors. La scelta di Bargnani alla 1 e la successiva estensione da 50 mln di dollari, le ridicole quantità di soldi date a giocatori come Hedo Turkoglu e Jason Kapono durante la free-agency, la trade per T.J. Ford, quella per Rudy Gay, l'aver sprecato il prime di un giocatore come Chris Bosh, poi scappato da Toronto per andare a vincere due anelli a Miami.for those who thought 3 years is too long to wait for a winner, here are Bryan Colangelo's years as Raptors GM pic.twitter.com/uZU05VoX4o
— Spike Eskin (@SpikeEskin) 7 aprile 2016
I Sixers stanno mettendo la franchigia in mano ad un uomo di 76 anni, Jerry Colangelo, che vive a 2.000 miglia da Philadelphia e che da quando ha avuto il lavoro è stato a Philadelphia 4 volte, solo ed esclusivamente per vedere delle partite e fare qualche intervista di rito, e al figlio Bryan, che in maniera ben poco sorprendente dopo le sue dimissioni dai Raptors non è stato sommerso di richieste di lavoro dal resto della lega e che neanche i Brooklyn Nets, attualmente non proprio la migliore franchigia della NBA, hanno voluto per il posto di GM. E intendiamoci, i Sixers sono destinati solo ed esclusivamente a migliorare, anche perchè sarebbe molto difficile fare peggio, a livello di record, di quanto fatto nelle ultime 3 stagioni, ma questi 3 anni avevano l'obiettivo di preparare la franchigia, finalmente, per qualcosa di davvero grande, qualcosa che potesse andare oltre l'essere soddisfatti di una stagione da 30 vittorie o di un primo turno dei playoffs. Quando Josh Harris si renderà conto che Jerry e Bryan Colangelo non sono gli uomini giusti per fare quel grande salto che aveva cercato di preparare in questi ultimi 3 anni di gestione Hinkie e vorrà cercare dei responsabili per l'ennesimo fallimento della storia dei 76ers non dovrà fare altro che guardarsi allo specchio, perchè le responsabilità sono tutte sue.
Harris ha sostenuto il piano di Hinkie fin dal giorno 1, il GM dei Sixers non avrebbe potuto fare neanche mezza delle mosse compiute in questi anni se non avesse avuto il supporto totale della proprietà. Quando Hinkie venne assunto, i 76ers erano senza futuro. La trade per Bynum si era completamente ritorta contro la franchigia, il lungo ex Lakers non era riuscito a giocare neanche una partita e Jason Richardson, l'altro pezzo pregiato acquisito nella trade, era stato più tempo fuori che sul campo. Sostanzialmente dalla cessione di Iguodala, Harkless, Vucevic e due prime scelte future, senza contare alla rinuncia di Lou Williams in free-agency, che fino a quel momento era stato il miglior realizzatore della squadra, i Sixers non avevano ricevuto niente in cambio. Quella trade avrebbe dovuto trasformare la squadra in una contender della Eastern Conference ma le cose andarono diversamente, per quanto poi si possa discutere sul fatto che una contender potesse essere formata da gente come Kwame Brown, Nick Young, Royal Ivey e Spencer Hawes. Dalle macerie di quella trade, Hinkie mostrò alla proprietà diverse strade possibili, inclusa quella di ripartire dal nucleo originario della squadra. La proprietà scelse la strada più estrema, la ricostruzione totale per sfruttare al meglio i draft degli anni seguenti e trovare almeno una stella. Hinkie ha eseguito quel piano seguendo la volontà della proprietà, cercando di aumentare il più possibile le chances di ottenere quella superstar via draft. Ovviamente quando ci si basa così tanto sul draft, ci sono buone possibilità che le cose non vadano come previsto, per sfortuna o semplicemente perchè qualcuno arriva prima di te a scegliere il giocatore che desideravi. I Sixers in questi anni non hanno mai potuto scegliere alla 1, perdendo dei talenti che probabilmente adesso li metterebbero in una posizione completamente diversa. A questo si è aggiunta la sfortuna di Embiid che è stato fermo 2 anni e che continua ad essere la principale speranza del tifo dei Sixers, quel giocatore in grado di cambiare il volto della franchigia.
Aumentare le possibilità di arrivare ad una stella, questo è stato l'obiettivo del lavoro di Hinkie fin dal primo giorno e l'estate che sta per arrivare è l'apoteosi di quel progetto, con la possibilità di avere quattro scelte al primo giro. Già in passato i Sixers avevano avuto l'opportunità di ribaltare tutto ma avevano deciso di non farlo. Quando Iverson era stato ceduto nel 2006, la squadra era 5-18, sarebbe stato facile 'tankare' e sfruttare l'opportunità di scegliere in alto in un draft che vedeva giocatori del calibro di Kevin Durant, Greg Oden, Al Horford e Mike Conley. I Sixers, però, presero un'altra strada, vincendo 13 delle ultime partite della regular season e finendo per scegliere Thad Young, buon giocatore ma non in grado di cambiare da solo il destino di una franchigia. E' per lo stesso motivo che gli Hornets decisero di tankare senza alcun tipo di ritegno nell'anno in cui Anthony Davis usciva dal college, per arrivare ad un talento in grado di cambiare le cose. Per gli Hornets non andò come previsto ma non è che vincere 25-30 partite li avrebbe aiutati di più quell'anno. E sebbene ci siano sicuramente alcune cose che Hinkie avrebbe potuto fare meglio nel corso di questi 3 anni, non c'è dubbio che i Sixers si trovino in una posizione migliore di quando lui è arrivato. Asset futuri in quantità, una serie di giocatori di buona prospettiva già a roster (Noel, Okafor, Embiid, i diritti su Saric), altri giocatori pescati praticamente nel nulla e diventati buoni pezzi di rotazione (Covington, Grant, Thompson, McConnell), tutta una serie di trade realizzate sfruttando le debolezze delle altre squadre e usando il cap space a dispozione per ottenere scelte future. Ma non c'è solamente il lato tecnico, la nuova practice facility in arrivo, la franchigia di D-League, dove lavora anche Andrea Mazzon e che quest'anno è stata quella con il maggior numero di call-ups dalla NBA (ben 3 giocatori hanno firmato contratti pluriennali in NBA, Kilpatrick, McRae e Wood), un reparto di medicina dello sport tra i più avanzati di tutta la lega, per non parlare del comparto delle analytics. Questa è tutta l'eredità che lascia Sam Hinkie, un'eredità che sarebbe davvero criminale sfruttare nel modo sbagliato.
Con la scelta di Bryan Colangelo come nuovo GM, la proprietà dei Sixers si è messa nelle condizioni di sprecare 3 anni di lavoro, oltre a dare un sonoro schiaffo in faccia a tutti quei tifosi che avevano abbracciato il progetto e hanno accettato il gran numero di sconfitte nella speranza che le cose potessero veramente cambiare. Con il motto 'Trust the process' i tifosi hanno sostenuto un cambiamento di mentalità a 360 gradi nel lavoro della franchigia e speravano che il tempo delle scelte e delle decisioni mediocri fosse finito. Si sbagliavano. Il Process è finito e il risveglio è traumatico, l'unica speranza che rimane è che gli asset acquisiti non vengano sprecati per mosse prive di ottica future. Ma con Bryan non si sa mai....back to mediocrity!
Is it too late for Colangelo to trade for Rudy Gay this season?
— Haralabos Voulgaris (@haralabob) 7 aprile 2016
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