I'm still figuring it out': la scelta di Larry Sanders
L'ex giocatore dei Bucks ha lasciato la NBA e non sembra intenzionato a tornarci. Adesso libero di esprimere la sua creatività, Sanders ha aperto un problema del mondo NBA: l'attenzione verso la sanità mentale
Lo scorso 22 Febbraio i Milwaukee Bucks e Larry Sanders si sono accordati per il buyout sul contratto del lungo. Solo un anno prima Sanders aveva firmato un'estensione quadriennale da 44 mln di dollari e sembrava essere uno dei punti fermi del processo di crescita dei Bucks ma qualcosa si è presto rotto. Poco dopo il rinnovo, Sanders venne coinvolto in una rissa in un bar, fratturandosi un dito e facendo infuriare non poco la dirigenza. Poi le rivelazioni sulle denunce per maltrattamento di animali. Nella scorsa stagione, poi, la sospensione per 5 partite per l'uso di marijiuana e infine l'assenza del campo per motivi apparentemente 'misteriosi', che poi, in realtà, si sono rivelati in modo piuttosto chiaro. Sanders era entrato da qualche tempo in ospedale per cercare di risolvere i suoi problemi di depressione. E quando entra in gioco quella parola, la depressione, tutto diventa estremamente più difficile e complicato. In molti, cinicamente, avevano immediatamente bollato Sanders come un fannullone, uno che aveva la fortuna di giocare in NBA e stava sprecando tutto il suo talento. Qualcuno che pur di non fare niente, ha rinunciato a più di 27 mln di dollari sul suo contratto. Insomma, un ragazzo senza speranze. Ma, come detto in precedenza, la situazione è ben più complessa di come possa apparire superficialmente.
In un'intervista rilasciata lo scorso Maggio a Complex Sports, Sanders ha cercato di spiegare i motivi che lo hanno portato alla decisione di lasciare il basket. E le sue parole non sembrano affatto appartenere ad un ragazzo stupido o disinteressato, tutt'altro.
"Troppe persone sono insoddisfatte della loro vita," ha dichiarato Sanders nell'intervista. "Cerchi in tutti i modi di avere successo, lo fai per la gran parte della tua vita e poi, ad un certo punto, qualcosa esplode....boom! L'evoluzione umana negli ultimi 300 anni è stata impressionante, è come se fossero successe troppe cose insieme. La gente ha cercato di rimuovere le paure, le ansie, il loro bisogno di creare. E' quella la nostra essenza, abbiamo vissuto in maniera creativa per 15 milioni di anni. Adesso, nel giro di 300 anni, tutto è cambiato e le persone non fanno altro che lavorare, tutto il tempo, annullando ogni tipo di creatività"
Sanders nel tempo libero è sempre stato un appassionato d'arte, un creativo. Disegna tanto, cerca di ideare oggetti di design e ascolta tantissima musica. Ma nella vita di tutti i giorni in NBA questa cosa non veniva fuori, anzi. Veniva repressa dallo stress e dalla necessità di dover far bene a tutti i costi. A volte ci si dimentica troppo facilmente del tipo di pressione mediatica che viene messa sulle spalle di ragazzi che spesso non sono affatto pronti a sostenere un peso del genere. Ragazzi che, magari, hanno vissuto gran parte della vita in povertà e improvvisamente si ritrovano a disposizione enorme somme di denaro, che non sanno come gestire. Il giocatore viene messo su un piedistallo e viene idolatrato, trattato come un essere superiore, che non ha niente a che vedere con problemi come paure, ansie e quant'altro. Ma, ovviamente, non è così. Nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di ragazzi estremamente fragili, che se non vengono gestiti nel modo giusto, iniziano a rompersi pian piano.
"Quando giocavo avevo sempre la sensazione di essere messo su un piedistallo. Vedevo il modo in cui venivo trattato e cercavo di ribellarmi in tutti i modi," ha detto Sanders. "La gente pensa che tu sia più di un essere umano, che tu abbia qualche sorta di potere speciale ma non è così, neanche un po'. Odiavo il modo in cui venivo dipinto, per 20 minuti a partita ero questo ragazzo arrabbiato, che prendeva falli tecnici e che non sapeva controllarsi. Ma l'analisi su di me si fermava a quel punto. Nessuno aveva idea di come ero davvero o di come andava la mia giornata . Non ci si rende conto che la gente attraversa un sacco di esperienze difficili ma a chi ti guarda non interessa. Sei solo un giocatore di basket, sei un intrattenitore, tutto qui"
Anche in questo caso Sanders riesce a sollevare una questione molto interessante, quella relativo all'atteggiamento della NBA nei confronti dei problemi di carattere comportamentale ed emotivo dei giocatori. Nell'intervista Sanders afferma che, molto spesso, la NBA è interessata semplicemente a punire il comportamento sbagliato e non a capire cosa c'è dietro questo tipo di comportamento. Sanders è stato sospeso diverse volte per l'uso di marijiuana e ovviamente, seguendo quelle che sono le regole attuali sull'uso di sostanze stupefacenti, l'atteggiamento della NBA è comprensibile. Ma la domanda sorge abbastanza spontanea: all'interno della NBA o degli stessi Bucks, qualcuno si è mai chiesto perchè Sanders facesse uso di marijiuana? Perchè l'equazione fuma erba= è un perdigiorno e non gli interessa giocare a basket è fin troppo semplicistica.
Inoltre quando le sospensioni diventano pubbliche, scatenano le reazioni dei tifosi medi, che non sono certo interessati ad andare in profondità alla faccenda ma si fermano alla superficie. Vedono la sospensione, vedono la sostanza utilizzata e immediatamente il giocatore viene bollato come senza speranza. La punizione, dunque, non porta una soluzione ma, per certi versi, non fa altro che amplificare il problema. Ed è proprio per questo motivo che nel prossimo contratto collettivo i giocatori spingeranno molto affinchè la marijiuana venga tolta dall'elenco delle sostanze stupefacenti e che si possono trovare dei metodi alternativi alla sospensione in quei casi.
Sul campo un giocatore viene valutato in base alla sua capacità di decision making, alle sue letture e a come approccia mentalmente le partite. Ma tutti questi aspetti, così importanti in campo e sui quali viene posta grande enfasi, non vengono neanche lontanamente presi in considerazione per quanto riguarda la valutazione del ragazzo a livello umano. E a confermare questo aspetto sono anche gli addetti ai lavori NBA. Un GM della Western Conference ha dichiarato che riguardo al problema della 'sanità mentaleì e dei 'disturbi comportamentali' la lega e le squadre non riescono a fare un lavoro efficace:
"Non abbiamo nessuna risposta a questi tipi di problemi e non stiamo facendo un buon lavoro nel cercare le risposte"
E visto che la natura NBA è quella, comunque, di un business, quando c'è un giocatore che non funziona del tutto, lo si scarta e si passa avanti. Come confermato dallo stesso Sanders nell'intervista a Complex Sports:
"E' un business e tu sei materiale danneggiato. Se prendo una sedia o un tavolo e la sedia ha un buco nella fodera o una rotella che non funziona come si deve, allora non voglio più quella sedia. Mi devi dare una sedia nuova, questo perchè là fuori ci sono milioni di sedie dello stesso tipo. E' questo il business. Non ho tempo di riparare questa sedia ma ho il tempo per uscire fuori e comprarne altre 10".
Scoprire che a 26 anni non si vuol fare più una cosa che ha rappresentato gran parte della propria vita, non dovrebbe essere considerato così anormale. Ci sono persone che dopo una vita di lavoro, si rendono conto che non era quello che volevano e decidono di prendere altre strade. Sanders, dal canto suo, ci è arrivato prima e ha avuto la fortuna di poter guadagnare delle belle cifre che gli permetteranno di poter dare vita ai suoi nuovi progetti, di qualunque natura essi siano. Perchè è proprio nell'incertezza della vita che si sviluppa la decisione di Sanders. L'ormai ex giocatore dei Bucks non ha ancora preso una strada precisa, non ha ancora idea di come si svilupperà il resto della sua vita ma è arrivato ad un punto in cui ha capito che il basket NBA non gli stava facendo bene e non lo stava aiutando a superare i problemi che già aveva. La cosa, forse, più bella è che molti dei suoi compagni di squadra hanno perfettamente compreso la sua decisione, a differenza di tanti osservatori esterni che lo hanno immediatamente bollato come testa calda o perdigiorno.
"Loro hanno capito quello che ho scelto di fare," ha detto Sanders. "Loro lo capiscono, perchè tutti sanno che c'è una vita anche dopo il basket. C'è molto di più. Diversi giocatori non vogliono pensare alla fine della loro carriera, cercano di rilassarsi e non pensarci. Ma in fin dei conti sanno che dopo ogni anno e dopo ogni infortunio c'è sempre meno tempo prima che finisca tutto. Una delle cose che mi piacerebbe fare è creare un sistema per i giocatori che smettono, che li possa aiutare ad essere felici anche dopo il basket. Perchè quando la tua carriera finisce non c'è più nessuno, nessuna chiamata, nessun messaggio. Nessuno che ti dica 'come va, amico? Come sta la tua famiglia?'
Tutte queste idee nella testa di Sanders non nascono dopo la decisione di lasciare il basket, c'erano già prima. In un'intervista del 2013 con Sports Illustrated, Sanders dichiarò che non amava passare il tempo con persone che mettevano il basket al centro della loro vita: 'Un giorno il pallone smette di rimbalzare e se hai costruito tutta la tua identità attorno a quel pallone, chi diventerai?"
Ancora una volta, non sono parole banali, non sono le idee di un ragazzo senza cervello. Sono riflessioni molto sensate di un giocatore che, forse, non ha mai amato essere un giocatore ed è stato trascinato in quel tipo di vita. Per Sanders, probabilmente, smettere con il basket è stata la decisione più sensata della sua vita. Trascinare avanti qualcosa che non si ama fare non può funzionare, non tutti hanno la mentalità e la forza di giocatori come Kobe Bryant e Kevin Garnett, delle macchine da basket dalla mattina alla sera. Alcuni hanno semplicemente tanto talento e quindi iniziano a giocare e vengono portati all'interno di questa carriera ma senza averne la reale volontà. Non voler diventare un giocatore di basket non è un crimine. Si tratta di una carriera, che ha i suoi aspetti peculiari, ovvio, ma che non è poi così lontana dal "lavoro normale", che ti porta a fare le stesse cose per tutti i giorni. Molte persone non riescono ad avere questo tipo di routine, si sentono intrappolate, hanno bisogno di maggiori spazi e di poter essere maggiormente creativi.
"Non sono poi così diverso da qualunque ragazzo che non sogna un lavoro standard, dalle 9 di mattina alle 6 del pomeriggio tutti i giorni," dice Sanders.
Sanders, come detto in precedenza, ha la fortuna di poter guadagnare quasi 2 mln di dollari per i prossimi anni, visto che i Bucks gli continueranno a pagare lo stipendio per i prossimi 6 anni. Questa è una possibilità che molti ragazzi non hanno ma i soldi non sono il centro di tutto e la decisione dell'ex giocatore dei Bucks è un esempio lampante di questo. Ci si aspetta che siano i soldi a risolvere i problemi e i disturbi di questi giocatori così fragili ma non è assolutamente così. Nella stragrande maggioranza dei casi i soldi non fanno altro che amplificare dei problemi che ci sono già. Il denaro può garantire sicurezza ma non garantisce stabilità nei rapporti nè può guarire disturbi di questo tipo. Ci sono giocatori che perdono milioni di dollari nel giro di un anno, che sperperano interi patrimoni nel giro di pochi anni. I soldi non sono la salvezza, sopratutto se non vengono gestiti nel modo giusto. E questo per Sanders è sempre stato molto chiaro. Per lui è sempre stato molto più importante capire perchè doveva andare avanti a fare qualcosa che non amava fare, svegliarsi ogni mattina e chiedersi: 'perchè?'
La storia di Sanders dovrebbe servire da esempio per moltissimi ragazzi che hanno dubbi sul loro futuro o che semplicemente non sono innamorati del lavoro che fanno. La vita è spesso un percorso molto intricato e la risposta definitiva la si trova solamente dopo tanti anni, in alcuni casi non si riesce proprio a trovarla. L'incertezza è una costante, nella vita di chiunque, che si tratti di un giocatore di basket NBA o di un 'semplice' impiegato. Le leghe professionistiche americane faranno bene ad iniziare ad affrontare questo tipo di problemi con maggiore serietà ed attenzione, perchè basta veramente poco per rovinare definitivamente la vita di un ragazzo che già di base ha i suoi problemi. Ho usato il plurale perchè non si tratta solamente di un problema della NBA. La NFL, la lega del football americano, ha gestito diverse di queste situazioni in maniera ridicola, arrivando a colpevolizzare l'onestà di alcuni ragazzi che in sede di draft avevano ammesso di avere problemi di ansia (vedi il caso di Randy Gregory).
Per quanto riguarda Sanders, che adesso sembra sicuramente più sereno, si sta per aprire un nuovo capitolo della sua vita. Sarà sicuramente diverso da quello della NBA e forse il percorso non è neanche delineato alla perfezione, per il momento. Trovare una strada, individuare la propria vocazione è una cosa estremamente difficile, a volte ci si mette tanto tempo a realizzarlo, come conferma lo stesso Sanders:
" I can’t say who I am. I’m still figuring it out. I’m still coming to me.”
Non posso dire con certezza chi sono, sto ancora cercando di capirlo. Una risposta che racchiude l'essenza e la vicenda di Larry Sanders, l'ormai ex giocatore NBA. In un momento estremamente difficile, Sanders ha trovato la forza di dire basta e chiedere aiuto, cercando di risolvere i suoi problemi, anzichè continuare a nascondersi e reprimere i suoi reali interessi. Una scelta che dovrebbe essere normale ma che in un contesto così pieno di pressioni e potenziali rischi, risulta coraggiosa e quasi senza precedenti.
Da persona che ha vissuto all'interno di casa sua gli effetti della depressione, non posso che augurare buona fortuna a Sanders per il prossimo capitolo della sua vita. Le risposte arriveranno, prima o poi.
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