Il titolo sportivo? Nel mondo del basket non è in alcun modo vendibile
Al momento attuale ci sono due modalità previste dal regolamento Fip attraverso cui un club professionistico di serie A può cedere il titolo sportivo ad altra società già esistente, senza però sgravarsi delle obbligazioni pendenti
Il titolo sportivo? Nel mondo del basket non è in alcun modo vendibile. E comunque, in base ai regolamenti Fip non esiste alcun mdoo per sfuggire ai debiti accumulati tramite gli istituti previsti dal Regolamento Organico.
Per usare le parole proprio del Regolamento Organico della Fip (http://www.fip.it/public/statuto/ro_as_2013_2014.pdf) che disciplina la materia del diritto societario. “Il titolo sportivo non può essere in alcun caso oggetto di cessione o valutazione economica”: lapidario il disposto del comma 2 dell’articolo 128. Anche se in realtà al capitolo terzo “Atti modificativi delle società” esistono strumenti atti a superare questo vincolo regolamentare, pure però attraverso passaggi alquanto stretti e legati a norme regolamentari ben precise.
Al momento attuale ci sono due modalità previste dal regolamento Fip attraverso cui un club professionistico di serie A può cedere il titolo sportivo ad altra società già esistente, senza però sgravarsi delle obbligazioni pendenti (dunque mantenendo debiti e crediti sia verso la federazione che verso i tesserati).
Il primo è l’istituto della fusione ex articolo 135 del Regolamento Organico: si tratta di unire le forze tra due club, anche di categorie differenti, che indicheranno la sede tra le due piazze oggetto dell’accordo mantenendo il titolo sportivo di livello più elevato. Di fatto dalle società A e B uscirà una nuova società C, che però come dispone il comma 4 “subentra in tutti i rapporti obbligatori e sportivi risultanti dalle società che si sono fuse”. Tant’è che nella documentazione obbligatoria richiesta per la domanda, da presentare entro il 9 luglio per la stagione 2013 e comunque soggetta ad approvazione del consiglio federale, serve anche una “delibera di assunzione in carica da parte della nuova associazione di tutti i debiti e crediti facenti capo alle due associazioni che hanno deliberato la fusione”. Dunque se un ipotetico club B di categoria inferiore alla serie A vuole acquistare un titolo sportivo attraverso questo istituto, deve farlo accollandosi tutte le eventuali passività pregresse. Si tratta comunque di pratica ormai rarissima a livello di serie A, che nei quasi 20 anni di basket professionistico è stata impiegata solo una volta (nel 1999 quando Pesaro rilevò il titolo sportivo di Gorizia per “sterilizzare” la retrocessione sul campo in serie A2).
L’alternativa è quella del trasferimento di sede (articolo 136 R.O.) che per le società professionistiche è comunque regolamentato in maniera diversa rispetto a quelle non professionistiche.
E’ l’istituto che nel corso dell’estate 2013 ha permesso lo spostamento di Bologna sponda Biancoblù a Napoli e di Scafati a Trapani; ma per per la serie A - secondo le DOA del Settore Professionistico (http://www.fip.it/public/statuto/doaok_.pdf) - “solo una società ammessa alla Lega Basket e partecipante alla serie A può ottenere il trasferimento di sede” attraverso una istanza al presidente di Lega Basket “per mancanza di un campo di gioco o poter svolgere attività promozionale” (riservata ai capoluoghi di provincia o regione). E’ la procedura che utilizzò Rieti per lo spostamento a Napoli nell’estate del 2009, soggetta comunque alla ratifica della Fip ed al verdetto inappellabile dell’assemblea delle associate in caso di diniego in prima istanza.
In nessun altro modo è possibile muovere un titolo sportivo professionistico, mentre per l’attività al di sotto della serie A il trasferimento di sede è soggetto all’approvazione del consiglio federale con una serie di vincoli (impossibile trasferire la sede in un comune dove esiste già una squadra iscritta allo stesso campionato - comma 4 - e trasferire la sede in un comune dove esiste la sede di un club dove è stata dichiarata la morosità dal consiglio federale o vi sia stata la sede di una società non riaffiliata per morosità negli ultimi tre anni, commi 8 e 9).
Il regolamento Fip non prevede invece la modalità della cosiddetta “cessione del ramo di azienda” disposto dal codice civile: l’istituto della scissione tra attività senior e giovanile di società (ex articolo 135 comma Ter), possibile comunque solo per società non professonistiche, è stato abrogato dal consiglio federale del settembre 2012 (tra le ultime ad averne approfittato nell’estate dello scorso anno fu l’Affrico Firenze per l’acquisto del titolo di DNB da Fossombrone). L’unico invervento consentito, lasciato nella facoltà del Consiglio Federale nel disposto del regolamento esecutivo gare (http://www.fip.it/public/statuto/regare_2013_2014_.pdf) è quello disposto all’articolo 5 comma 2 (“Il Consiglio federale ha la facoltà di ammettere una Società sportiva ad un Campionato non professionistico anche in aggiunta all’organico deliberato nell’ordinamento e rispetto ad eventuali squadre riserva” e 3 (Il Consiglio federale delibera, sentita la Lega di competenza, su un’eventuale istanza di ammissione ad un Campionato nazionale non professionistico, di Società a cui siano state riconosciute particolari finalità, per la promozione e lo sviluppo della pallacanestro e per la realizzazione di significativi scopi sociali”).
Sostanzialmente quanto accaduto nel corso dell’estate per assegnare a tavolino un titolo di DNB al Treviso Basket ed alla rinata Fortitudo Bologna, società comunque già affiliate da almeno un anno alla Fip.