Anna Cremascoli: 'Scudetto? Vinciamo noi'
La presidentessa della Bennet Cantù lancia la sfida in una intervista rilasciata a Stefano Valenti
La lotta con Milano per il secondo posto resta accesa. Prenderlo fortificherebbe anche la decisione di giocare i playoff a Desio?
"Ci sono ancora dei tasselli da mettere assieme. Intanto la disponibilità dell'impianto da parte del Comune di Desio, che attendiamo a breve. E poi la nostra scelta, che non è ancora fatta. Vediamo chi troviamo nei quarti".
Potrebbe anche esserci una soluzione mista?
"Vogliamo valutare il potenziale di spettatori che possono essere attratti dal primo turno. Se il Pianella è sufficiente, non ha senso giocare a Desio. Mentre lo avrebbe dalle semifinali in poi. Pure se la nostra richiesta per Desio è per tutte le date dei playoff".
Dal febbraio 2011 siete ininterrottamente gli sfidanti di Siena. Come ci siete arrivati?
"Non posso dire sia stato faticoso, perché tutte le persone che lavorano per questa società hanno una passione pazzesca, ci mettono l'anima, giorno e pure la notte se c'è bisogno".
Qual è la fotografia della Pallacanestro Cantù, oggi?
"Una società che ha raggiunto alti livelli. Ma nessun traguardo".
Azienda di famiglia ed azienda sportiva. C'è un abisso, nel mezzo?
"Io sono un ingegnere meccanico e nel mio percorso non ho trovato mai nulla di così difficile che fare il presidente di una società di basket. La nostra azienda si poggia su mio padre, mio fratello e me, ci sono obiettivi, analisi di budget, strategie. Ma se si conosce il mondo nel quale operi, e lavori bene, i risultati arrivano. Nello sport nulla ti può garantire questo. Ci sono troppe variabili, compresi gli avversari".
Cosa fa la differenza tra l'imprenditoria tradizionale e quella sportiva?
"La componente emozionale, che può farti perdere la strada. L'azienda non decide mai sotto stress e per questo, nello sport, le grandi decisioni non vanno mai prese dopo una vittoria che esalta o una sconfitta che mortifica".
C'è la componente del pubblico, dei tifosi, che crea pressione ed attesa. Di certo i vostri clienti non sono fuori dell'azienda ad applaudire o contestare.
"Il nostro pubblico non ci crea pressioni. Perché è sempre con la squadra, anche quando qualche siamo andati sotto di brutto in Eurolega, giocando in casa. Mai un fischio. E sapere questo ci aiuta nelle scelte".
Come state progettando la conferma ad alto livello?
"Puntando a migliorarci. Altrimenti ciò che facciamo non avrebbe senso. Non posso avere un obiettivo peggiore di quello dell'anno precedente. Pure se stiamo vivendo una fase di transizione, perché ci siamo trovati ad essere considerati tra i grandi quando ancora non lo eravamo".
La stagione di Eurolega ha aggiunto qualcosa, o lo ha tolto?
"Lo saprò alla fine. Per ora ci ha tolto qualcosa che abbiamo scontato in campionato. Pure se siamo secondi. Resto a ciò che sento dire dagli addetti ai lavori e cioè che l'Eurolega ti rende più duro. Lo capiremo nei playoff".
Siete dovuti andare parecchio sul mercato: Shermadini, Gianella, Brunner, Perkins.
"C'è costato un extrabudget, ma limitato. Abbiamo semmai pagato qualche scelta estiva, ma ci tengo a dire che Shermadini, a luglio, non potevano prenderlo".
Oggi, in un fondino, Tuttosport dice "Se la Lega è inutile, chiudetela". C'è una provocazione, di base, ma non del tutto. Lei cosa ne pensa?
"Il basket è in un momento di bassa. Ma la Lega siamo noi. Ed io, per un diciassettesimo, sono responsabile di questo momento".
La sua ricetta?
"A breve ci ritroveremo in assemblea e dobbiamo uscirne con l'idea di cosa vogliamo fare della Lega. Che siamo noi. Certamente qualcosa di meglio, a partire dal marketing che deve rafforzare l'immagine del basket".
Lei è proprietario e presidente. Magari la sua è voce più forte di altre.
"Certo, ma a me piacerebbe ritrovarmi in un'assemblea fatta solo da proprietari e presidenti. Si devono prendere decisioni cruciali e definire le strategie. Che poi possono portare avanti i nostri uomini di fiducia".
I problemi di Avellino, la lettera dei giocatori di Teramo. Ma sono solo i due casi emersi. A suo giudizio, cioè di un presidente, i controlli in atto sulle società sono adeguati per garantire la sostenibilità del sistema?
"Evidentemente no, altrimenti questi problemi non ci sarebbero. Ogni tre mesi dobbiamo rispettare quel che ci viene imposto dai parametri. Noi lo facciamo".
Che differenza passa tra un'azienda che fallisce ed una società che fallisce?
"Che se un'azienda del tuo settore fallisce è una rivale in meno. Ma in Lega non siamo rivali, ma partner. Con gli altri club siamo antagonisti sul campo, ma quante volte in un anno? Due, cinque, otto? E tutti gli altri giorni siamo partner. La rivalità lasciamola alle tifoserie".
Torniamo ai vostri impianti di gioco. Cos'è per lei il Pianella?
"Un contenitore unico di ricordi ed emozioni pazzesche, il luogo dove mi sono innamorata di questo sport e di questa squadra. Al di là che sia bello o brutto, freddo o caldo, sta diventando piccolo. Oggi vivo la sensazione di un'epopea che si sta chiudendo".
Il palasport di Desio.
"Una soluzione forzata dalla necessità, il limite minimo di capienza per l'Eurolega. Detto questo, Desio si è trasformata in un'opportunità. E' un impianto nato per il basket, bellissimo, si vede bene da tutti i seggiolini. Per convincere me a giocare Cantù-Siena lì dentro vuol dire che poteva darci qualcosa in più. Dentro quel palazzo la nostra curva somiglia a quella di una squadra di calcio".
Il nuovo palasport di Cantù.
"Per ora ho solo perplessità, stando a ciò che mi fu detto dovevamo essere lì dentro da sei mesi. Ma la prima pietra l'hanno messa pochi giorni fa. Ne abbiamo bisogno, chiaro".
Il main sponsor Bennet vi ha appena lasciati. A sorpresa. Perché?
"Al momento non abbiamo ricevuto spiegazioni. Sono entrati nel 2010, il contratto era un 2+1, ma è sempre stato considerato un triennale. Di solito si esce se ci sono problemi, di certo la squadra non ne ha prodotti visto i risultati. La Pallacanestro Cantù vale 5-6 volte ciò che valeva nel 2010".
Ora cercate un nuovo main sponsor. O in ultima ipotesi potreste tornare voi?
"Avremmo gradito da Bennet notizie un po' più tempestive. Siamo a caccia, il tempo non è molto. Tra le ipotesi c'è pure quella di un nostro ritorno sulle maglie ma con al fianco un altro marchio, un po' come avviene a Pesaro".
Il vostro fatturato è attorno ai 60 milioni di euro. L'impegno della vostra famiglia nel basket è proporzionato?
"E' sostenibile con al fianco un main sponsor. Oppure 2-3 aziende che vanno a sostituire quel che andiamo a perdere. Senza main sponsor diventa più difficile sostenere questo livello di competitività. La squadra può costare anche di meno".
Cioè riducendo gli obiettivi.
"Non è argomento buono per oggi. Il nostro obiettivo è raggiungere la finale. Ciò che mi preoccupa non è lo sponsor, ma la condizione fisica della squadra".
Le vostre rivali: Siena.
"La più forte e la più brava. Non è una squadra che vince, è una squadra vincente. Che è diverso".
Le vostre rivali: Milano.
"Cantù è un'isola felice, Milano una metropoli con le sue problematiche. E' una squadra che ha faticato ad avere una sua identità, ma ora la sta trovando. Ed allora sarà bellissima e tostissima rivale".
Chi lo vince lo scudetto?
"Non posso pensare che non lo vinca Cantù. Farlo è lecito".
Dopo quattro anni di trincea, è ancora un'entusiasta del basket?
"Ogni giorno di più".