Allen Iverson, storia di un antieroe
Raccontiamo la storia di The Answer
Nasce il 7 giugno 1975 ad Hampton, Virginia. Sua madre Ann lo partorisce all’età di 15 anni, per via di un rapporto occasionale con un ragazzo del suo quartiere, che non sarà mai presente nella sua infanzia. Ann ebbe poi altri due figli da un altro uomo, che però aveva più di qualche problema con la legge, si paga da vivere spacciando crack, e infatti entra e esce di galera, per poi essere condannato definitivamente per omicidio. Vive in una famiglia poverissima, in cui la madre deve spesso scegliere se pagare la bolletta della luce oppure comprare da mangiare ai figli. Allen durante il periodo dell’infanzia coltiva la sua grande passione, il football. Passione talmente grande che quando, all’età di 8 anni, la madre decide di avviarlo al basket, “il gioco più bello del mondo”, lui risponde: “Sono un giocatore di football, il basket è per le signorine”. Malgrado ciò è un talento naturale per la pallacanestro. E’ un ragazzo problematico, va male a scuola, salta lezioni ed allenamenti, la sua vita si svolge per strada. Riesce a mostrare il suo talento anche nel football, e infatti al liceo va a Bethel, che gli permette di praticare entrambi gli sport, vincendo per due anni di fila il titolo statale in entrambi gli sport, ma quando arriva il momento di scegliere, per nostra fortuna, sceglie il basket. A 16 anni però viene coinvolto in una rissa a sfondo razziale, e viene condannato a 5 anni di reclusione. Ma il governatore della Virginia, su pressione della comunità nera, gli concede la grazia. Allen infatti sconta appena 5 mesi di reclusione. E’ in questo periodo che nasce in suo celebre soprannome: The Answer. All’università sceglie Georgetown, dove resterà due anni, dal 94 al 96. Stringe un solidissimo legame con coach John Thompson, che diventa il suo primo mentore. Nella sua prima stagione è il freshman dell’anno della Big East e raggiunge le Sweet 16 nel torneo NCAA. Durante l’annata da sophomore il livello della squadra migliora, vincendo la Big East e arrivando alle Elite 8. Lascia l’università come il migliore di sempre in maglia Hoyas per punti a partita (22.9).
Viene scelto dai Philadelphia 76ers con la prima scelta assoluta nel draft del 1996, uno dei più ricchi di sempre, davanti a futuri hall of famer come Kobe Bryant, Ray Allen e Steve Nash, ma anche all-star come Stephon Marbury, Shareef Abdul-Rahim, Antoine Walker, Predrag Stojakovic, Jermaine O’Neal e Zydrunas Ilgauskas.
La sua stagione da rookie è sensazionale, segna 23.5 punti, distribuisce 7.5 assist conditi da 4.1 rimbalzi e 2.1 recuperi. Vince facilmente il premio di rookie dell’anno, ma non basta per portare una squadra disastrata come i 76ers ai playoff, infatti il loro record con l’arrivo di The Answer cresce di appena 4 vittorie, dalle 18-62 del 95/96 alle 22-60 dell’anno successivo. Nell’estate 1997 arriva sulla panchina dei Sixers coach Larry Brown, con cui Allen instaurerà un rapporto particolare, d’amore e odio al tempo stesso. Durante il secondo anno il record migliora ulteriormente (31-51), ma non è sufficiente per arrivare ai playoff. Nella terza stagione Allen esplode, diventando miglior marcatore NBA con 26.8 punti a partita portando i 76ers ad un record di 28 vittorie e 22 sconfitte nell’anno del lockout. Durante i playoff 1999 guida i suoi 76ers al secondo turno sconfiggendo per 3-1 gli Orlando Magic di Penny Hardaway, ma venendo eliminato dagli Indiana Pacers con un sonoro 4-0. Durante la off-season firma un’estensione contrattuale di 6 anni da 70 milioni di dollari. La stagione successiva conquista la prima di undici chiamate consecutive all’All Star Game. Nel 2000 i Sixers vengono ancora eliminati al secondo turno dagli Indiana Pacers, futuri finalisti, questa volta per 4-2. Viene nominato MVP dell’ASG di Washington con 25 punti, guidando l’Est alla vittoria 110-100 sull’Ovest. Poco dopo la partita delle stelle arriva alla corte di The Answer Dikembe Mutombo, considerato uno dei migliori centri difensivi di sempre. Allen è capocannoniere ed MVP della lega, porta i Sixers al primo posto ad est con un record di 56-36 e guida la squadra fino alla finale NBA contro i Los Angeles Lakers di Shaq e Kobe, dopo aver sconfitto Pacers, Raptors e Bucks. Alla vigilia della serie finale i Lakers sono favoritissimi e molti prevedono uno sweep. Ma Allen non è d’accordo e i Sixers vincono gara 1 allo Staples Center grazie ad una sublime prova di The Answer da 48 punti, con tanto di canestro decisivo in faccia a Tyronn Lue. Instantanea della partita, Iverson dopo averlo mandato a terra con un suo crossover e gli passa letteralmente sopra. Al rientro negli spogliatori dice “Mettete via le scope!”. Ma purtroppo la fantastica gara 1 non basta ad evitare la sconfitta nella serie, che arriverà in appena 5 partite, malgrado i suoi 35.6 punti di media. Nonostante il bis come capocannoniere la stagione 2001/02 è molto deludente per colpa di problemi di infortuni e di aspettative altissime, infatti i Sixers vincono appena 43 partite ed escono al primo turno contro i Boston Celtics. Dopo l’eliminazione coach Brown si lamenta della poca dedizione che Allen mette in allenamento, e poco dopo nasce una delle più celebri conferenze stampa di sempre in cui Iverson ripete per più di 20 volte la parola “practice”. Ribadisce più volte che lui in partita, quando conta, dà il massimo, ma in quel caso si sta parlando soltanto di allenamenti. Nel 2003 le vittorie sono 48 punti, ma dopo la vittoria al primo turno contro New Orleans Philly uscirà 4-2 contro i Detroit Pistons. La stagione 2003/04 è molto deludente, e sarà l’inizio del declino per i Sixers di The Answer, con tanto di abbandono di Larry Brown. I Sixers infatti riusciranno a qualificarsi ai playoff solo nel 2005 in cui Allen è MVP dell’All Star Game e vince il suo ultimo titolo di miglior marcatore, realizzando anche il suo career high per una singola partita, segnando 60 punti in un match di regular season contro i Magic. Nel corso della stagione 2006/07 viene ceduto a Denver in cambio di Andre Miller, Joe Smith e due prime scelte, in maglia Nuggets con Carmelo Anthony formano la miglior coppia di realizzatori della NBA, ma i risultati di squadra non sono quelli sperati e Denver esce al primo turno di playoff sia nel 2007 sia nel 2008, rispettivamente contro Spurs e Lakers. Viene ceduto nel novembre 2008 ai Detroit Pistons in cambio di Billups e McDyess. La stagione 2008/09 è per lui la prima sotto i 20 punti di media, e nel finale di stagione ha diversi problemi di infortuni, per cui la sua annata termina in anticipo. Nell’estate 2009 firma con i Memphis Grizzlies da cui viene però tagliato dopo appena 3 partite, perché non disposto a partire dalla panchina. Pensa al ritiro, ma durante il mese di dicembre si realizza un clamoroso ritorno a Philadelphia, che dura però solamente 25 partite a 13 punti di media. Il 25 gennaio 2010 la sua ultima grande prestazione in NBA, in una sfida contro i Lakers in cui ingaggia un entusiasmante duello a colpi di canestri con Kobe Bryant. Abbandona la squadra prima della fine della stagione per via di problemi di salute della figlia. Per lui si registra una breve parentesi in Europa al Besiktas durante la stagione successiva, interrotta per problemi di infortuni. Negli ultimi due anni prova a rientrare in NBA con vani risultati dovuti alla scarsa forma fisica. Durante quest’estate decide di ritirarsi ufficialmente.
E’ la fine della carriera di un grandissimo giocatore, completamente unico. Dispiace a tutti i suoi fan di non averlo mai visto con un anello al dito, ma per un antieroe come lui forse non è così importante. Una sua celebre frase infatti è: “Io non voglio essere Michael Jordan, non voglio essere Magic, non voglio essere Bird o Isiah, non voglio essere nessuno di questi ragazzi. Quando la mia carriera sarà finita, mi guarderò allo specchio e dirò: ho fatto a modo mio”. Ha fatto a modo suo.
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