Nano Press
Facebook Twitter Instagram Google+ YouTube RSS Feed Italiano English Türkiye
NBA 08/05/2018, 23.20

La fine dell'era Van Gundy a Detroit

Dopo quattro stagioni, i Pistons hanno deciso di separarsi dal coach e presidente esecutivo della franchigia: i perchè della scelta e un riepilogo dell'esperienza di SVG a Detroit

NBA

Nella giornata di ieri, i Detroit Pistons hanno messo ufficialmente fine all'era Stan Van Gundy. Il coach e presidente esecutivo, infatti, è stato sollevato dal suo incarico dopo quattro stagioni. Nonostante la terminologia utilizzata, si è trattato di un licenziamento. Tom Gores, il proprietario di Detroit, aveva deciso già da qualche mese che Van Gundy non avrebbe avuto più poteri assoluti all'interno del front office e la prospettiva che Van Gundy ritornasse per il suo ultimo anno di contratto come 'mero' coach rasentava lo zero. Del resto, Van Gundy quattro anni fa aveva scelto i Pistons proprio perchè gli veniva garantito un tipo di autonomia e di potere operativo che nessun'altra franchigia era disposta a concedergli (Van Gundy, infatti, era anche nel mirino dei Golden State Warriors ma disse no alla proposta proprio perchè gli Warriors non avevano intenzione di mettergli le chiavi del front-office in mano).

 

In quattro stagioni, Van Gundy ha centrato i playoffs solo una volta, nella stagione 2015-2016, raggiungendo l'ottavo posto ad Est e venendo, poi, eliminato dai Cleveland Cavaliers con un secco 4-0. Guardando ai soli risultati, si potrebbe definire l'esperienza Van Gundy in quel di Detroit come fallimentare ma, come al solito, bisognerebbe analizzare la situazione un po' più in profondità, valutando anche quello che Van Gundy aveva ereditato dalla precedente gestione. 

 

Quando Van Gundy è arrivato sulla panchina di Detroit, infatti, i Pistons venivano da 5 stagioni consecutive senza playoffs e in una sola di queste stagioni erano riusciti a vincere almeno 30 partite. Il roster ereditato da Van Gundy era totalmente squilibrato, con tre giocatori come Drummond, Monroe e Smith che per rendere al meglio dovevano tutti giocare da centro, cosa ovviamente impossibile. Il mandato di Tom Gores era semplice, almeno nella sua visione: tornare a competere ad alti livelli e farlo, possibilmente, nel minor tempo possibile. Ogni ipotesi di ricostruzione del roster partendo dal draft era assolutamente fuori discussione. Niente tanking dunque, ma trovare giocatori complementari ad Andre Drummond, che a Detroit vedevano come la superstar attorno a cui costruire il resto del roster. E non si può certo dire che Van Gundy non ci abbia almeno provato, soprattutto portando a termine delle trades che puntavano a migliorare la squadra nell'immediato ma che avevano anche un minimo di prospettiva futura, puntando su giocatori che stavano per entare nel prime delle loro carriere, lampanti gli esempi di Reggie Jackson e Tobias Harris. Per arrivare a Jackson, Van Gundy ha oggettivamente sacrificato l'immediato per avere un playmaker più affidabile in prospettiva futura. I Pistons, infatti, persero 10 delle prime 11 partite giocate con Jackson a roster. Nel suo atteggiamento di costruzione del roster, Van Gundy non merita la critica del 'voleva vincere tutto e subito'. Ha preso, quasi sempre, decisioni ponderate e che hanno oggettivamente migliorato il livello complessivo della squadra. Ha blindato Andre Drummond ma ha anche deciso che non valeva la pena spendere una barca di soldi per trattenere Greg Monroe e Kentavious Caldwell-Pope. Nel draft, sicuramente, qualcuno continuerà a fargli pesare la decisione di aver scelto un giocatore come Luke Kennard prima di Donovan Mitchell quest'anno ma è altrettanto vero che si contano sulle dita di una mano gli addetti ai lavori che erano pronti a scommettere che Mitchell potesse avere l'impatto avuto già nella sua stagione da rookie. 

 

Se c'è una colpa che si può davvero imputare a Van Gundy durante la sua gestione, è quella relativa all'eccessiva spesa fatta su role players durante la free-agency. Contratti che non hanno davvero cambiato la squadra in meglio ma che hanno finito per ingolfare eccessivamente il salary cap, rendendo, dunque, la vita estremamente difficile a chiunque sarà il successore di Van Gundy. Avendo il totale controllo del front-office (anche il GM Jeff Bower, infatti, è un uomo scelto da Van Gundy), Van Gundy ha potuto spendere direttamente durante la off season, senza dover aspettare l'ok di qualcuno più in alto di lui. Questo, con ogni probabilità, lo ha portato a prendere delle decisioni affrettate e non sufficientemente consigliate. Ragionando da coach, Van Gundy ha speso soldi per coprire dei buchi all'interno del roster, senza pensare tanto al peso salariale che, alla lunga, questi contratti avrebbero portato. I contratti firmati da Jodie Meeks, Aaron Baynes, Ish Smith, Jon Leuer, Langston Galloway sono tutti il frutto di buchi all'interno del roster che Van Gundy vedeva e che decideva di risolvere a modo suo, senza aspettare più di tanto. Quando, forse, negoziando un po' di più e aspettando l'evolversi del mercato, si sarebbero potuti strappare dei prezzi migliori, rispetto a quelli concretamente pagati. Jon Leuer guadagna praticamente 10 milioni di dollari all'anno perchè Van Gundy ha visto in lui un quattro/cinque in grado di allargare il campo e dare quella dimensione perimetrale che a Detroit mancava. Il problema è che Leuer non ha neanche lontanamente tirato da 3 con le stesse percentuali che si erano viste a Phoenix (29% contro poco più del 38% della stagione a Phoenix). Langston Galloway veniva visto come una guardia in grado di tirare con più del 40% da 3 ma, arrivato a Detroit dopo aver firmato un triennale interamente garantito da 21 mln complessivi, è arrivato a malapena al 34%, al di sotto della media NBA, con i Pistons. Erano gli uomini di Van Gundy e li ha firmati, senza pensare più di tanto ai difetti intrinsechi in ognuno di loro. Per alcune di queste firme, alcuni hanno accusato Van Gundy di essere ancora affetto dalla 'sindrome di Rashard Lewis', cioè l'ipervalutare un giocatore per le sue capacità all'interno di un sistema, pensando che sia perfettamente in grado di riprodurle anche in un contesto diverso. 

 

La trade per Blake Griffin

 

Veniamo all'ultima mossa della gestione Van Gundy: l'arrivo di Blake Griffin dai Clippers in cambio di Avery Bradley, Tobias Harris e Boban Marjanovic. Anche in questo caso molti hanno descritto l'operazione come il canto del cigno di Van Gundy o il suo estremo tentativo di salvarsi il lavoro con una 'win-now move'. Ma come riportato da diversi reporter, incluso Zach Lowe di ESPN, la mossa Blake Griffin è stata voluta praticamente da ogni singolo componente dei Pistons, incluso Tom Gores.

 

 


© Riproduzione riservata
O. Cauchi

O. Cauchi

Potrebbero interessarti
Comments Occorre essere registrati per poter commentare 35 Commenti