Milicic: Arrivato in NBA mi sentivo un dio, mi ubriacavo e litigavo con tutti. Ora ho una fattoria
Darko Milicic si confessa in una lunga intervista ad un sito serbo: "Io sono differente dagli altri “bust”. Loro ci provavano ma non ci riuscivano. Io quando volevo, ci riuscivo"
Darko Milicic ha rilasciato una lunga intervista al sito serbo B92 parlando della sua fallimentare esperienza in NBA e del suo presente, nella sua fattoria.
“Adesso farei tutto diversamente” ha detto Milicic, riferendosi ai suoi anni ai Pistons. “E’ vero che finii in una squadra che aveva come obiettivo il titolo, cosa che raramente succede ad uno che viene scelto alla 2. Ma alla fine cerchiamo tutti delle scuse. Potrei dire di non aver mai avuto una chance vera. Ma sarebbe semplicemente una scusa. Sta ai giovani dimostrare il loro valore, lavorare duramente ed aspettare la propria chance” ha aggiunto Milicic. “Il mio approccio invece era completamente differente. Come seconda scelta arrivata dall’Europa mi sentivo un Dio. Quindi facevo risse, mi ubriacavo prima degli allenamenti e facevo dispetti a tutti. Ma alla fine il dispetto più grande lo facevo a me stesso” ha continuato il lungo serbo. “Avevo problemi con tutti e per questo iniziai a giocare per me stesso. Non ero pronto. Ed il problema ero io stesso. Le delusioni avute subito in NBA mi hanno portato ad odiare la pallacanestro. Non mi divertivo. In alcune partite magari avevo segnato 20 punti ma dentro di me pensavo “Ma quando finisce questa partita così torno a casa?”. Dovevo nutrire il mio ego e non me ne importava niente di quello che sarebbe successo la settimana successiva. Il mio approccio, dal mio arrivo in America, è sempre stato sbagliato. Non posso dire che fossi troppo giovane ma sicuro non ero pronto per quello che la NBA mi richiedeva”.
Sulla NBA. “La NBA è un sogno per tanti, tutti lavorano per arrivarci. Ma se non riesci ad abituarti al mondo della NBA vivi male sia come persona che come giocatore. Io sono una persona che ama stare tra la gente. Ed in NBA non è così. E’ semplicemente: allenamento o partita e poi a casa. Ci vediamo all’allenamento, all’aereo, al bus, alla palestra. E vivi partita dopo partita, hotel dopo hotel da solo. La mia esperienza in NBA è stata catastrofica perché io sono uno che vuole sempre vincere. Anche quando gioca a carte. Questo è il Darko che è arrivato negli USA. Ma dopo Detroit ho giocato solo per squadre che perdevano sempre. E quando perdi sempre ti abitui a perdere. Ai Timberwolves non eravamo male ma eravamo ultimi in classifica. E tranne qualche partita buona non c’era nulla di positivo. Boston? Non ne voglio parlare. Io non volevo proprio andarci e lo dissi al mio agente. In America la gente è ossessionata dalle statistiche. Quindi chi vedeva le mie pensava ad un role player con voglia di emergere ed avere la sua chance. Ma io non ero quel tipo di giocatore. Io sono differente dagli altri “bust”. Loro ci provavano ma non ci riuscivano. Io quando volevo, ci riuscivo. Questo era un problema che avevo nella mia testa. La gente guarda le mie statistiche e mi dice che non ho mai fatto niente.
Sulla vita di oggi. Da quando ho lasciato la NBA ho preso almeno 40kg. Ho smesso di giocare ed ora peso circa 160kg. Lavoro alla mia fattoria e mi diverto a vedere la mia produzione. Faccio passeggiate nei miei campi e osservo lo svolgersi dei processi. E la cosa rende davvero felice. Non sono tanto bravo e quindi sto imparando, vado ai seminari. Sono in pace con me stesso e sto bene. Ci sono sempre dei problemi come in tutti i lavori ma preferisco questo al magari costruire dei grattacieli perché finirei per spararmi. La produzione di cibo è il mio futuro.
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