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NBA 04/12/2015, 15.48

Moneyball II: Barkley, giornalismo sportivo e statistiche avanzate

Dal prossimo mercoledì il consueto appuntamento con le traduzioni settimanali sul basket NBA cambia sito di riferimento, passando da Grantland a un altro prodotto di ESPN, FiveThirtyEight

NBA

Come abbiamo visto poco più di un mese fa, Grantland ha improvvisamente chiuso i battenti. Dal prossimo mercoledì il consueto appuntamento con le traduzioni settimanali sul basket NBA cambia sito di riferimento, passando da Grantland a un altro prodotto di ESPN, FiveThirtyEight. Per accompagnare il passaggio, vi proponiamo la traduzione di un pezzo uscito su Grantland lo scorso 26 febbraio con il titolo Moneyball II: Charles Barkley, the Sports Media, and the Second Statistical War e firmato da Bryan Curtis. Questo articolo (che tocca temi centrali per la cifra  filosofica/operativa di FiveThirtyEight) è stato inserito dallo stesso FiveThirtyEight in una lista dei migliori pezzi usciti su Grantland.

 

Quando qualche giorno fa Charles Barkley ha detto la sua sulle statistiche avanzate a Inside the NBA, si è quasi sentito l’intero internet mormorare di disapprovazione. “Ho sempre pensato che gli analytics fossero una stronzata”, ha detto; per poi aggiungere: “Sono una stronzata inventata da persone molto intelligenti per avere voce in capitolo nello sport, data la loro mancanza di talento”.

Un copione già visto per Rob Neyer di Fox Sport: “Dieci, ma anche cinque anni fa se Barkley se ne fosse uscito così avremmo potuto dire ‘Charles Barkley si sbaglia. Anzi, è proprio ridicolo che qualcuno vada in televisione a dire certe sciocchezze’. Ora basta, quante volte dobbiamo ripetere le stesse cose?”.


Le stesse cose sono state ripetute comunque. Lo sfogo di Barkley è stato definito “incomprensibile” e “totalmente inutile” (SB Nation); i suoi nemici (evidentemente il GM dei Rockets Daryl Morey e i suoi apostoli fra i giornalisti) come dei “mulini a vento” (ProBasketballTalk); Barkley stesso è stato chiamato “sciocco” (Deadspin).


Barkley non aveva semplicemente torto sulle statistiche avanzate; lanciando le sue sparate qualche settimana prima della nona Sloan Sports Analytics Conference, è sembrato voler portare avanti una battaglia già persa. “La guerra è finita”, ha dichiarato Matt Moore di  CBSSports.com; “Le decisioni le prendono i nerd, che piaccia o meno a Barkley”. Poi Keith Olbermann ha aggiunto: “La maggior parte dei dinosauri come Chuck neanche si rende conto che la guerra è finita...”.


Mi viene allora da chiedere: di quale guerra stiamo parlando? Di quella che ha messo i giornalisti contro i giornalisti e i GM contro i GM per provare una volta per tutte che le statistiche avanzate sono uno strumento prezioso? Allora certo. Quella guerra, che chiamerei Moneyball I, è bella che finita.


Barkley però stava sparando le sue cartucce in una seconda guerra, quella che definirei Moneyball II. Questa volta non è un confronto tra un blogger e uno della carta stampata circa il valore del PER, ma una battaglia tra i media e gli atleti per chi deve raccontare la storia del basket. “Per me i commenti di Barkley si riferivano esclusivamente alle critiche dei giornalisti, non alla gestione delle squadre”, ha detto Craig Calcaterra, blogger di HardballTalk. “Se Barkley stesse ancora giocando e un allenatore andasse da lui e gli dicesse ‘Guarda che cosa abbiamo scoperto grazie ai nostri esperti di statistiche’, sono sicuro che ascolterebbe con attenzione. Il fatto è che non vuole che un giornalista metta in dubbio la sua autorità in tema di pallacanestro”.


Moneyball II è una guerra che viene da lontano. È una guerra per stabilire chi è il padrone dello sport. Sostanzialmente c’è un gruppo di persone il cui lavoro è naturalmente portato a minacciare un altro gruppo di persone. Potete anche chiamare questa guerra giornalismo sportivo.


* * *


Sebbene sia durata parecchi anni, Moneyball I si è conclusa con una vittoria schiacciante. Gli sconfitti, abili nel loro, erano però dei giullari. Negli anni sessanta il giornalista sportivo Leonard Koppett valutava idee allora rivoluzionarie, come per esempio considerare le varie ere della storia del baseball. “Mentre gli altri guardavano alle statistiche come bianco o nero”, ha detto una volta David Stern, “Leonard si addentrava nelle sfumature grigie che danno loro un senso e un contesto”. Un giorno Koppett stava trascinando la sua borsa piena di libri da consultare verso la tribuna stampa. Jimmy Cannon, il simpaticone del New York Post, con aria compiaciuta gli disse: “Che cosa hai lì dentro, Lennie? I numeri decimali?”.


La solfa andò più meno avanti per una quarantina d’anni. Il giornalista sabermetrico affermava: “Io cerco solo informazioni, per poi seguirle dove esse mi portino”. Al che lo scettico rispondeva: “Sei uno sfigato”. Oppure: “Non hai mai visto un atleta nudo”. La prima era una condizione permanente, mentre i giornalisti appassionati di statistiche alla fine sarebbero stati abbastanza fortunati da far avverare la seconda.

Alcuni cambiamenti strutturali fecero sì che le statistiche avanzate prendessero piede nei media: il progressivo sgretolarsi dei giornali che davano cibo e riparo ai vecchi e scettici giornalisti sportivi; l’arrivo di Baseball Prospectus, FanGraphs e Football Outsiders come incubatori di giovani talenti; i dati forniti da leghe come la NHL, una vera e propria manna dal cielo per i giornalisti che da tempo si servivano dei numeri per comprendere lo sport.


Ci fu anche un cambiamento di filosofia. “Io ho 41 anni”, ha detto Calcaterra, “e le persone della mia età o più giovani sono passate dal dire ‘Da grande voglio giocare negli Yankees’ a ‘Da grande voglio essere un general manager’. Non è stato per via di Moneyball, ma per lo sviluppo delle simulazioni al computer, di Strat-O-Matic e del Lance Haffner baseball e football. Chi non era capace a praticare questi sport si interessava comunque, e il modo in cui si pensava lo sport è cambiato”.


Il culto del general manager”, come lo ha definito Neal Pollack. I dirigenti diventarono mitici quasi quanto i giocatori stessi. Alcuni giornalisti sportivi divennero praticamente dei GM ombra (quando non dirigenti a tutti gli effetti, come John Hollinger). Secondo Calcaterra, la domanda alla base di buona parte del giornalismo odierno è: “Si può costruire questa squadra meglio di come sia effettivamente costruita?”.


* * *


Neil Greenberg del Washington Post è cresciuto proprio mentre Moneyball I si affermava definitivamente. All’inizio degli anni novanta usava le proiezioni di Bill James per dominare la Rotisserie League. Dopo aprì un Tumblr, scrisse dei pezzi come freelance, e ora fa parte della redazione del Post, dove gestisce il blog Fancy Stats (“Dove i numeri e le notizie si incontrano”).


“Negli anni ottanta e novanta”, dice Greenberg, “se qualcuno scriveva, dopo aver osservato tutte le partite, che un giocatore non era forte, equivaleva a dire che stava esprimendo solo la sua opinione. Del tipo ‘Ho guardato le partite e questo è quello che ho visto, le mie sensazioni’”.


“A me non interessa invece. Non importa neanche la posizione di un tale giocatore, importa solo quello che dicono i numeri. Non esistono preconcetti, sensazioni o emozioni. Se un certo giocatore somma X punti in un periodo di tempo Y allora fa parte di questo gruppo”.


Potrebbe essere lo slogan dei partigiani delle statistiche di tutti i continenti. Quando i giocatori hanno iniziato a leggere i pezzi di Greenberg, è successa una cosa divertente: non lo vedevano come un imparziale analizzatore di numeri ma come l’ennesimo giornalista impiccione. “Richard Sherman, dopo aver saputo che avevo scritto che non valeva 12 milioni di dollari, prima mi ha insultato su Twitter e poi mi ha bloccato”, dice Greenberg. “I giocatori di hockey mi dicono di mettermele nel culo le statistiche”.


Le vostre tipiche scene dal fronte di Moneyball II. Non più due critici che discutono sulla maniera migliore di recensire un film, ma registi e attori che sostengono che i critici non hanno il diritto, né il calibro artistico sufficiente per poter recensire il loro lavoro.


Ci sono però delle eccezioni: Andy McCullough, che segue i Royals per il Kansas City Star e seguiva i Mets per lo Star-Ledger, ricorda di una volta in cui R.A. Dickey gli chiese come mai non andasse a genio al FIP. Ancora più significativo fu lo scambio tra McCullough e l’esterno Jason Bay in uno dei dibattiti sul premio di MVP (Mike Trout vs Miguel Cabrera).


“Dissi ‘Non capisco perché discutiamo’”, ricorda McCullough.


“’Neanche io’, disse lui”


“‘Infatti, è chiaro che lo deve vincere Trout’, risposi”


“E proprio nel momento esatto in cui io avevo detto ‘Trout’ lui aveva detto ‘Cabrera’”


“‘Ma come? Che problema hai?’, mi disse”


“‘Che problema hai tu, scusa?’, risposi”.


I giornalisti sportivi di oggi sfruttano meglio i numeri rispetto alla generazione precedente, ma la natura del rapporto giornalista-giocatore è rimasta uguale. Ho posto ad Al Leiter, ex lanciatore oggi opinionista di MLB Network, una domanda ipotetica: “Immagina che due giornalisti scrivano due articoli su una tua pessima annata. Uno affidandosi a parametri datati come il numero di vittorie e la pura osservazione, mentre l’altro su strumenti come l’ERA+ e una pletora di altre statistiche avanzate. Per caso una delle due critiche ti farebbe sentire un po’ meglio rispetto all’altra?”.


“No”, ha detto Leiter. “Il vecchio cronista di New York che mi guarda scrive quello che vede. Se la persona in questione conosce quello di cui si occupa, non è assurdo dire ‘Non sta disputando una buona stagione/partita’. Così penserei anche se il fanatico della sabermetrica sostenesse la sua tesi con i dati. Sono piuttosto sicuro che i due articoli sarebbero correlati”.


Le vecchie leggi dello spogliatoio valgono ancora. Se dici a un giocatore che è scarso e che puoi dimostrarlo con i numeri, quel giocatore ti ignorerà. Se invece gli dici che è fantastico e che puoi dimostrarlo con i numeri, quel giocatore prima ti abbozzerà un sorriso e poi ti ignorerà. “Quest’anno al Super Bowl ho detto a Michael Irvin che, secondo le nostre statistiche, nel 1995 ha disputato la migliore stagione tra i ricevitori degli ultimi 25 anni”, ha detto Aaron Schatz di Football Outsiders. “Mi è sembrato piuttosto contento di saperlo”.


Una cosa che possono fare le statistiche avanzate è fornire ai giornalisti uno spazio sicuro per forzare collegamenti fra i vari atleti, come se confrontassero gli appunti di varie sessioni di studio dei filmati. L’anno scorso Tom Haberstroh di ESPN ha guardato i dati della camera speciale di SportsVU e si è accorto che sebbene Dwyane Wade non fosse molto propenso a tirare da tre, i difensori lo marcavano dietro l’arco come se fosse Klay Thompson.


“Sono andato da lui e gli ho parlato chiaramente”, ha detto Haberstroh. “‘Hey, mi puoi spiegare una cosa? Stavo guardando i dati e ho scoperto che gli avversari sul perimetro ti stanno addosso. Ci avevi fatto caso?’. Si è illuminato: ‘Sì, certo, e mi fa impazzire’”.


Il motivo per cui Wade era marcato così stretto è che gli avversari, anch’essi guidati dalle statistiche, avevano scoperto che Wade segnava un sacco di punti tagliando lontano dalla palla, per cui i difensori lo seguivano dovunque, anche in posti del campo in cui di solito non si prende il tiro. (Questo può essere misurato grazie ad alcuni parametri statistici chiamati “gravity score” e “distraction score”.) Mentre i due parlavano, Wade si è messo a correre da una parte all’altra del campo per far capire a Haberstroh cosa vedeva durante una partita. Da questo scambio Haberstroh ha tratto un pezzo affascinante.


Tuttavia se Haberstroh avesse detto a Wade che, secondo le statistiche, il suo tiro preferito stava distruggendo gli Heat, l’ex MVP delle Finali NBA non sarebbe stato meno toccato solo perché Haberstroh si stava servendo dell’occhio elettronico di SportVU. “Per me sarebbe strano andare da un meccanico e dirgli ‘Ho guardato una macchina che hai riparato; hai sbagliato tutto, sei un incapace’”, ha detto Haberstroh. “La natura umana ti porta a rifiutare chiunque ti dica che non sei bravo a fare qualcosa”.


Quello che conta è il messaggio, non i dati. Schatz ha notato che sebbene le statistiche avanzate non siano penetrate nel football così in profondità come nel baseball e nel basket, praticamente tutti sanno che oggi i running back non sono valutati come lo erano una ventina di anni fa. “Ora parliamo allo sfinimento dei running back, ma pensiamo che i centri e i right tackle siano più importanti”, ha detto. “Esiste la stessa dinamica che contrappone gli atleti ai mezzi di comunicazione, l’unica cosa che è cambiata è chi ce l’ha con noi”.


La vecchia tradizione di entrare in uno spogliatoio e vedere un giocatore che legge sul giornale il pezzo in cui lo critichi è stata rimpiazzata. Ora i giocatori trovano i tuoi articoli, critici ma statisticamente dettagliati, su Twitter. “Quando ho scritto qualcosa di negativo su un giocatore di baseball (e questo vale per tutta la mia carriera) ho sempre sperato che quel giocatore non lo leggesse”, ha detto Rob Neyer, “perché da ciò non viene mai niente di buono”.


Noi estimatori di Neyer potremmo sostenere che quando attacca qualcuno lo fa maneggiando una mole di dati impensabile per chiunque una quarantina di anni fa. Oggi il suo è un attacco migliore. D’altro canto la maggior parte dei giocatori affermerebbe che Neyer è esattamente come i suoi predecessori: sta facendo delle valutazioni che non può permettersi di fare. Questo perché Moneyball II non ha a che fare con il metodo. Ha a che fare con il potere.

* * *


A prima vista il caso Barkley sembrava una classica schermaglia da Moneyball I. Non solo Barkley fa parte dei media, ma è anche un esponente particolarmente divertente, un collega che vorresti abbracciare, come invece non vuoi fare con Phil Simms, per esempio. Barkley però è percepito come un ex giocatore, come uno che può trattare i media come ha trattato qualche anno fa un uomo in un bar di Orlando. “Prendevo sul personale tutto quello che veniva scritto su di me”, ha scritto Barkley nella sua autobiografia uscita nel 1993. “A casa avevo accessi d’ira e nutrivo rancore per qualsiasi giornalista che avvertissi come mio nemico”.


Barkley appartiene a una categoria umana interessante: quella dei giocatori che durante le loro carriere sono stati premiati da alcune statistiche, ma che hanno vissuto abbastanza a lungo per vedere l’arrivo (e parlarne in quanto opinionisti televisivi) di altre statistiche. È la generazione Jack Morris, quella testimone della propria rivalutazione. “Ho un sacco di esperienza con gente in questa situazione”, ha detto Brian Kenny di MLB Network. “Negli anni ottanta e novanta erano giocatori estremamente produttivi, avevano successo e capivano le dinamiche del proprio sport. Sia il campo sia i commentatori davano loro ragione”.


“Ora c’è quest’altra schiera di persone che dice loro di imparare una nuova lingua, è normale che ci sia della resistenza”.


Nella sua prima raffica Barkley non ha risparmiato la lingua. “Al liceo non avevano ragazze”, ha detto a proposito dei drogati di statistiche. “Vogliono entrare in qualche modo nello sport”; è una variante della vecchia storiella dell’eunuco in un harem.


“Questa cosa ha colpito, non è vero?”, ha detto Brian Kenny. “È stato un bel macigno”. Tuttavia si sono sentiti riferimenti simili dal lanciatore David Price, che nel 2003 ha liquidato due cronisti della TBS come “sfigati.” O nel malizioso titolo dell’autobiografia del 1985 di Howard Cosell, I Never Played the Game. O nella frecciata del 1970 al giornalista sportivo di Detroit Joe Falls; quando un tifoso gli disse che non aveva il diritto di parlare di baseball, Falls rispose: “La mia testata mi permette di scrivere i necrologi, eppure non sono mai morto”.


Il problema di Barkley con i cronisti non è che questi usano lo strumento sbagliato. Il problema è che sono cronisti. “Non credo sia una cosa legata agli analytics”, ha detto Andy McCullough. “È una cosa come la tesi di Kevin Durant che noi non sappiamo un cazzo”.


Prova ulteriore l’abbiamo avuta durante una tavola rotonda sulle statistiche avanzate tenutasi durante l’All-Star Weekend. Seduto accanto a Mark Cuban, Phil Jackson e altri, Barkley ha rincarato la dose contro gli odiati analytics. L’incontro però si è concluso con una sorpresa: il moderatore ha proiettato sullo schermo un articolo di Neil Paine di FiveThirtyEight. Il succo di Paine era che le statistiche avanzate adorano Barkley. Al vecchio Charles si è illuminato il viso; improvvisamente gli analytics erano accettabili, persino utili anzi a confermare qualcosa che Barkley sapeva già, cioè che era stato un grande.


* * *


Una cosa che i giornalisti sportivi faticano a capire è che scrivere un articolo è per sua natura un atto aggressivo. Ogni volta che scriviamo stiamo rivendicando per noi un pezzo di sport: Io questa cosa la capisco in un modo inaccessibile per voi atleti. E questo è vero per il fanatico della sabermetrica come lo era per il tizio che sedeva in una fredda tribuna stampa, tirava fuori le Camel dalla giacca e usava due dita per battere sulla sua Underwood.


È un lavoro onesto, anche nobile per certi versi, ma fa comunque parte di una lotta per il potere. Usare le cifre per affermare che qualcuno dovrebbe rimanere disoccupato non rende di certo la notizia più facile da digerire. “Al massimo diventa più indigesta se qualcuno usa i numeri, perché almeno c’è una patina di obiettività”, dice Neyer. Il giornalista insiste sul fatto che non ci sia niente di personale, ma l’atleta lo percepisce come una questione essenzialmente personale.


Un modo per capire come ci si sente a essere giudicati dall’esterno è eseguire questo esperimento mentale. Immaginiamo che i giocatori NBA tirino fuori un parametro statistico per misurare il vero valore del giornalismo sportivo. E ammettiamo anche che questa statistica sia veramente efficace (magari è stata creata da Larry Sanders durante il suo anno sabbatico dalla pallacanestro).


Aggiungiamo pure che questa statistica riduca al minimo o annulli del tutto il modo in cui i giornalisti sportivi si giudicano fra loro. ‘Quelli sono solo diversivi’, direbbero i giocatori. Quindi nessun bonus per avere un articolo nel Best American Sports Writing; né per i post e ripost di Richard Deitsch; né per altri fattori trascurabili (‘È stato grande su Twitter’).


Ora, siamo sinceri: davvero crederemmo che questi giocatori siano ricercatori sopraffini della verità? Oppure li considereremmo dei cretini che non hanno la minima idea di che cosa voglia dire scrivere con delle scadenze? O anche dei ragazzi che al liceo hanno avuto così tante ragazze da non aver mai capito come è fatto il mondo fuori dai loro piccoli circoli?


“Io probabilmente direi ‘Ho lavorato per ESPN’”, dice Tom Haberstroh. “’Mi dispiace ma per me è così, questo è quello che so’”. Ride. “Certo così sembro proprio Charles Barkley”.


* * *


Ripetiamolo ancora più forte: Barkley ha torto marcio sulle statistiche avanzate. Lo spettro della sua critica è così ampio da renderla irrilevante, e per di più probabilmente espressa in malafede.


Tuttavia Barkley è stato involontariamente utile per chiarire la portata della rivoluzione degli analytics nel giornalismo sportivo. Ora abbiamo divisioni di giornalisti migliori e più svegli (sempre secondo le stesse divisioni di giornalisti). Ma agli occhi di tutti (fatta eccezione per un nugolo di temerari giocatori) gli attacchi dei media sono gli stessi di sempre. Nessun giocatore ci sta conferendo il diritto di giudicarlo, eppure questo è quello che dobbiamo fare. Se faremo bene il nostro lavoro, Moneyball II sarà un pantano.

Traduzione di Giacomo Sauro
Da Moneyball II: Charles Barkley, the Sports Media, and the Second Statistical War
di Bryan Curtis 

© Riproduzione riservata
G. Sauro

G. Sauro

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Comments Occorre essere registrati per poter commentare 16 Commenti
  • HalGreer 08/12/2015, 15.46

    Ho letto con attenzione l'articolo (l'ho scritto altre volte e lo riscrivo ora, grazie, lavoro meraviglioso) e tutti i, purtroppo pochi, commenti.

    Rispetto a chi mi ha preceduto sono un tantino in disaccordo, anche se faccio parte di quelli che i numeri li utilizzano, per cui diciamo che ho un fortissimo conflitto di interessi.

    A mio parere occorre settorializzare e dare un nome e un cognome ai numeri, nonchè la loro giusta collocazione.
    Se parliamo di mero divertimento e romanticismo cestistico (cosa che mi è parsa di cogliere in alcuni dei vostri interventi), potrei pure essere d'accordo.
    Ma i numeri cui fa riferimento l'articolo e anche quelli cui va contro Sir B., andrebbero letti sotto un'ottica differente.
    Attaccare il nerdismo sabermetrico perchè "si snatura il bello dello sport" è giusto se si è semplici osservatori, ma io sono convinto che i discepoli della sabermetrica, oltre a voler occupare i ruoli di GM, o di consulente tecnico delle franchigie, abbiani capito che quei numeri servano a decine di altre "applicazioni".

    Personalmente faccio parte di quelli che cercano di leggere i numeri per averne un profitto personale, amo scommettere in modo professionale sulla NBA e la considero uno dei pochi sport sui quali i Books siano ancora abbastanza battibili e se non ci fossero chivi di lettura avanzate sui numeri, avrei smesso da tempo.

    Bisogna essere abbastanza freddi, me ne rendo conto. Ma questo non significa non godere del rilascio di Curry, o dei movimenti da Dio greco prestato al campo da basket di Griffin.

  • David 05/12/2015, 12.52

    Purtroppo i numeri son tutto. Lo stesso vale per il mio lavoro, e molti colleghi non lo accettano che la macchina e la matematica ci mette sotto.

  • andrebott 04/12/2015, 21.55

    Per una volta sto assolutamente dalla parte di Chuck! Si da troppo peso alle statistiche anche se negli ultimi anni chi ha vinto non è che sia molto legato a queste

  • dredg 04/12/2015, 19.12
    Citazione ( )

    *** Commento moderato da Sportando ***

    secondo me se incominci a dire un giocatore di tirare da una posizione anzichè da un'altra perchè lo dicono le statistiche vuol dire già condizionarlo e tarpargli le ali. Può essere sì tendenzialmente più efficace in una situazione rispetto ad un'altra, ma nel basket di quel livello le letture della singola azione sono fondamentali. Io paradossalmente userei di più le stats in un basket di livello più basso, dove le letture sono molto meno e si vive più di schemi fissi. O, per fare un esempio meno border line, se usassi le stats per allenare la mia squadra non lo direi esplicitamente ai miei giocatori per non fari sentire condizionati. Ma in ogni caso non le userei in maniera maniacale, le caratteristiche dei giocatori si riconoscono bene anche solo con la semplice osservazione, tant'è che gli scout li vanno a vedere i prospetti, non leggono solo dei fogli

  • laspadanellaroccia 04/12/2015, 18.43
    Citazione ( )

    *** Commento moderato da Sportando ***

    Capisco,
    in ogni paese ci dovrebbe essere almeno 1 campetto da basket.
    Questo secondo me è un altro dei motivi per cui il basket non si sviluppa...

  • dredg 04/12/2015, 18.34
    Citazione ( RyanKelly34 04/12/2015 @ 16:31 )

    Potreste darmi contro, ma per certi versi la penso come Barkley. Vedendo le partite dei Rockets, è lampante come abbiano indicazione abbastanza chiare su come giocare; e queste indicazioni vengono date in base alle statistiche avanzate (ridurre al ...

    quoto, basarsi maniacalmente sulle stats può andar bene se fosse un videogioco, ma nella realtà no, le variabili sono troppe e inoltre si rischia di bruciarsi a prescindere alcune situazioni solo perchè non contemplate dalle statistiche. Mi chiedo infatti come le stats possano descrivere le letture di gioco, fondamentali per il basket del maggiore livello. Ottimo intervento il tuo, bravo.

  • laspadanellaroccia 04/12/2015, 18.21
    Citazione ( )

    *** Commento moderato da Sportando ***

    Non ci sono campetti nella tua zona?

  • LamarcusRobi 04/12/2015, 16.56 Mobile
    Citazione ( RyanKelly34 04/12/2015 @ 16:31 )

    Potreste darmi contro, ma per certi versi la penso come Barkley. Vedendo le partite dei Rockets, è lampante come abbiano indicazione abbastanza chiare su come giocare; e queste indicazioni vengono date in base alle statistiche avanzate (ridurre al ...

    Bravo !

  • RyanKelly34 04/12/2015, 16.31

    Potreste darmi contro, ma per certi versi la penso come Barkley.

    Vedendo le partite dei Rockets, è lampante come abbiano indicazione abbastanza chiare su come giocare; e queste indicazioni vengono date in base alle statistiche avanzate (ridurre al minimo i long - two, ecc....).
    Però credo si stia esagerando perchè è il gioco che crea le statistiche, e non il contrario.
    Barkley nello show diceva che non è vero che i Rockets hanno una buona difesa perchè nella partita di cui parlavano avevano subito 118 punti, ed ha ragione.
    Le statistiche sono strumenti eccezionali per capire qual è la scelta migliore da fare (bellissimo l'esempio su Wade e il fatto che venga difeso forte sul perimetro) ma credo che alcuni GM o allenatori si stiano concentrando troppo su quello che viene creato e poco sul come viene creato. Una squadra NBA, se durante una azione legge bene il gioco e crea un buon tiro, fa canestro!

    Alla fine dei fatti la pallacanestro è magnifica perchè riconducibile a concetti semplici, ma talmente ricca di sfaccettature da diventare incomprensibile (penso al fatto che la testa valga più di gambe e polpastrelli)

  • Daca 04/12/2015, 16.14

    Ottima lettura