Come al draft i Sixers sono stati ripagati con la moneta di Hinkie
La traduzione del mercoledì da Grantland. Si parla di 76ers e Sam Hinkie
Mercoledì giornata di traduzione da Grantland ad opera di Giacomo Sauro. Oggi si parla di draft e di Philadelphia 76ers
Un uomo entra nel Fourth Ave Pub, a qualche isolato di distanza dal Barclays Center, con addosso la canotta dei Sixers nera di Matt Geiger. Non so che cosa hanno queste canotte di Matt Geiger, ma a quanto pare stimolano nelle persone uno stupore frivolo e un po’ infantile, come quando a sei anni scopri che a un tuo amichetto piacciono gli stessi cereali che mangi tu. Almeno questo è l’effetto che suscita in me e in altri tre avventori del locale. È la prima volta che vediamo una canotta di Matt Geiger dal vivo.
L’uomo con la canotta è Pete. È venuto qua da Hershey, in Pennsylvania, per assistere al prossimo passo dei suoi Sixers nel loro piano X-ennale. Gli chiedo come si sentirebbe se Philly scegliesse Kristaps Porzingis, classica mossa da Sam Hinkie. Non gli dispiacerebbe, sostiene, pur ammettendo che “si cagherebbe sotto”. Preferirebbe D’Angelo Russell o Jahlil Okafor.
“Sai, il figlio di Matt Geiger sta facendo il primo anno di liceo”, dice Pete. “Se potessimo aspettare altri quattro anni...”.
Rido e mi sento un po’ nerd. È l’umorismo da #TrustTheProcess. Sam Hinkie, il GM dei Sixers, vanta un personale esercito di sostenitori che può apparire settario ma almeno è cosciente della situazione.
Pete ha un amico, Darin, che indossa una maglietta con su scritto “DENVER NUGGETS 2011 NBA CHAMPIONS” e sotto il logo che i Milwaukee Bucks avevano negli anni novanta. Il nome dietro è “BIRD” e il numero il 33: si candida di diritto alla maglietta più ridicola che abbia mai visto. L’autore è Darin stesso; non si può dire che questi tizi non sappiano come rompere il ghiaccio in un bar. Manca più di un’ora all’inizio del draft. Mi dirigo verso un luogo in cui si avverano i sogni di una vita e dove i giornalisti e i familiari degli invitati alla greenroom si dividono una ciabatta per ricaricare gli smartphone.
Arrivo a piedi all’entrata principale del Barclays Center e accanto ho un ragazzino con il pigiama dei Celtics, una shirsey di Larry Bird e un elmetto di peluche a forma di pallone da basket. Vicino all’ingresso c’è un gruppetto di tifosi dei Sixers che intonano il tipico, e non isolato, “LET’S-GO-SIX-ERS!”. Cerco di trattenere il sorriso ma non ce la faccio, anzi mi viene in mente una cosa che Pete mi aveva detto qualche minuto prima.
“La parte migliore di Hinkie è che rende divertente la serata del draft”.
* * *
In questi anni Hinkie non è stato solo un agente al draft NBA, bensì un leviatano dai lunghi tentacoli che tutto possono setacciare. Insomma, per anni il draft è stato il suo parco giochi. Con le trattative che ha chiuso è riuscito a raggirare le altre squadre, lasciare perplesse le masse e sconvolgere il resto del mondo. È stato lui a dettare gli ordini del giorno degli ultimi due draft facendo mosse apparentemente contrarie al manuale del buon GM. Tuttavia col passare del tempo il rabbioso anticonformismo di Hinkie è diventato la regola. Non è più questione di che cosa Hinkie ha in mente di fare per sorprenderci ma di quando lo farà.
Dopo che per due anni di seguito ha selezionato prospetti di primissimo livello con degli infortuni che li avrebbero tenuti in infermeria per l’intera prima stagione e dopo che l’anno scorso ha scelto un misterioso prospetto europeo, forse la mossa più hinkiana che Hinkie avrebbe potuto fare quest’anno era prendere Jahlil Okafor di Duke. È stata una scelta perfettamente ordinaria che ha aggiunto una risorsa perfettamente in salute e perfettamente identificabile. In questo senso Hinkie si è attenuto alla regola aurea del Miglior Giocatore Disponibile, senza contravvenire alla propria filosofia ma anche senza strafare: una scelta al sapore della lieve rassegnazione.
Se la pretattica farcita di esche e specchietti in vista del draft è una prassi per tutti, la selezione di un giocatore è invece un processo esclusorio; le squadre possono (o almeno dovrebbero) preoccuparsi solo dei propri programmi per il futuro. Tuttavia quando i Lakers si sono presi D’Angelo Russell con la seconda scelta assoluta invece di optare per il più pronosticato Okafor, la sensazione generale è stata quella di una mossa innovativa per i Lakers e di un dito medio alla Hinkie Enterprises. Lo stesso dicasi per Kristaps Porzingis ai Knicks con la 4 e per Mario Hezonja ai Magic con la 5. Che cosa ci rivela questo, consapevoli del fatto che i Sixers potrebbero aver fatto la scelta più solida delle prime cinque?
Subito dopo la scelta sono uscite le note che affermavano che i Sixers fossero intenzionati a tenere Okafor, e va bene. La tensione però era palpabile. Hinkie ha qualche cosa in mente. Dio santo ci stiamo avvicinando alla fine della lottery.
Non appena i Thunder hanno comunicato la scelta di Cameron Payne con la numero 14, ultima della lottery, John Calipari ha preso la pila di cappelli con i loghi delle squadre ed è passato per l’ultima volta dai tavoli in cui i suoi giovani rampolli (Karl-Anthony Towns, Willie Cauley-Stein, Trey Lyles e Devin Booker) erano seduti.
“Dove vai?” ha chiesto qualcuno seduto al tavolo di Lyles all’allenatore di Kentucky.
“A casa. Vado a casa”.
Detto questo, conscio di aver fatto il suo per l’ennesima volta, Calipari ha infilato l’uscita sulla sinistra.
Mancavano 4 minuti e 21 secondi sull’orologio degli Atlanta Hawks per la scelta numero 15 e Hinkie ancora non si era mosso.
Quattordici scelte più tardi Kevon Looney abbandonava, con famiglia al seguito, il tavolo della greenroom, deluso per non essere stato selezionato da nessuno. Alla notizia che però gli Warriors lo avrebbero preso con la 30 la famiglia di Looney era rientrata.
A quel punto però è stato chiaro: Hinkie era andato in letargo. Un intero primo giro chiuso e nessuna indiscrezione su eventuali movimenti dei Sixers. Per dirla con Kanye:
È dura essere sempre sulla cresta dell’onda ideologica. E se le altre squadre, quelle che Hinkie ha usato più volte come sacco da boxe nell’accumulazione di asset, si fossero finalmente fatte furbe? E se avessero capito il trucco?
L’idea di credere in un processo è più facile da accettare quando il moto è costante, perché almeno, anche quando la realtà della squadra non ha né capo né coda, è qualcosa che simula un movimento in avanti. L’unico scambio della serata i Sixers l’hanno concluso con i Knicks: via la numero 35, Willy Hernangómez (compagno di squadra di Porzingis a Siviglia), per due future scelte di secondo giro. E basta. Credere nel processo significa ammettere serate come queste. Tuttavia Hinkie è il bandito con le statistiche nella fondina e il draft il suo selvaggio West. Se nella serata più importante dell’anno per Philadelphia non possiamo avere un po’ di sana follia, allora anche i tifosi dei Sixers hanno il diritto di chiedersi: ne vale davvero la pena?
Traduzione di Giacomo Sauro