Che sarà del futuro di Kevin Love?
Si parla di Kevin Love. Quale futuro per l'ala?
Finisce la stagione NBA ma non terminano le traduzioni di Grantland di Giacomo Sauro. Oggi si parla di Kevin Love in un articolo a firma Zach Lowe dal titolo "What's next for Kevin Love?"
Lo scorso luglio, alla Summer league di Las Vegas, David Griffin, GM dei Cavaliers, reduce dalla chiusura del migliore ingaggio della sua vita, nota Flip Saunders, presidente e allenatore dei Timberwolves, tra i presenti in una palestra affollata. “È ora che ci rimettiamo a parlare, noi due”, gli fa Griffin quando gli passa davanti.
Saunders in quel momento già sapeva che non sarebbe riuscito a scambiare Kevin Love per Klay Thompson, ed era pronto a tenere Love, nonostante la stella dei Wolves stesse per iniziare l’ultimo anno di un incauto corto contratto con Minnesota. Saunders e Love sono in confidenza, e l’allenatore era certo che il ragazzo, dopo una serie di strani infortuni, avrebbe firmato il contratto di cinque anni che solo i Wolves potevano offrirgli. “Tutti mi dicevano che ero pazzo”, se la ridacchia Saunders (conoscendo qualcosa di Love, in un certo modo penso che lo fosse, ma non lo sapremo mai).
Prima di quell’incontro estivo, Cleveland non aveva ancora offerto Andrew Wiggins, e Saunders aveva già messo in chiaro che senza la scelta numero uno non ci sarebbe stato nessuno scambio. Allo stesso modo, nella trattativa con Golden State, avrebbe accettato di chiudere lo scambio solo se Klay Thompson ne avesse fatto parte.
Si vociferava che gli Warriors avrebbero potuto offrire Harrison Barnes, Draymond Green e David Lee (che probabilmente sarebbe andato a una terza squadra con spazio salariale a disposizione) per Love, ma poiché tutti avevano capito che a Saunders interessava solo Thompson, la trattativa non è mai arrivata a una fase così avanzata. “Non era stato intavolato niente, Flip era stato schietto e diretto”, dice Bob Myers, GM degli Warriors.
Mentre Griffin e Saunders si incrociano a Las Vegas, Steve Kerr è in procinto di iniziare la sua prima stagione da allenatore e sta pianificando le rotazioni della sua squadra sicuro che Golden State non prenderà Love, come peraltro da preferenza dello stesso Kerr, di Ron Adams e della maggior parte dello staff tecnico. Kerr immagina di impiegare Green dalla panchina, 10 o 12 minuti in sostituzione di David Lee. Myers però prende da parte Kerr e gli dice: “Se lo scambio non va in porto, tu questo ragazzo me lo devi far giocare un bel po’ di più”.
Catapultiamoci undici mesi più avanti ed è incredibile vedere quante cose sono cambiate in quel ruolo di ala grande. Lee non gioca, mentre Green è diventato la terza stella della squadra: avrebbe potuto essere il miglior difensore dell’anno, il più migliorato e anche nel miglior quintetto di tutta la NBA. Neanche i suoi più grandi estimatori se lo sarebbero aspettato; tra questi c’è Adams, che quando era assistente di Tom Thibodeau ai Bulls aveva insistito perché scegliessero Green al draft del 2012. “Noi dello staff tecnico eravamo molto delusi dalla decisione di non prenderlo”, dice Adams. “È proprio il tipo di giocatore da Chicago. A prescindere da Kevin Love, tutte le squadre vorrebbero un Draymond Green. Ha reso proprie le caratteristiche che ti fanno vincere le partite: l’energia, la grinta, la difesa, le giocate giuste al momento giusto. Mi fa impazzire quel ragazzo, sono felice che faccia parte della nostra squadra”.
Ora, in finale NBA, è facile da dire, ma nessuno negli Warriors accetterebbe uno scambio secco Green per Love. “Per fortuna non se n’è fatto nulla”, dice Andrew Bogut. “Se avessimo scambiato Green probabilmente non saremmo qui ora, perché già al tempo pensavo che non ne avremmo guadagnato molto. David Lee, se si eccettuano le triple, ha lo stesso rendimento, e pensavo che si sarebbe potuto trovare uno stretch 4 al minimo salariale per un veterano; uno tipo James Jones”.
Se Saunders avesse accettato di dare via Love per Barnes e Green sarebbe stato messo alla berlina, sebbene oggi quella coppia faccia girare la testa a molti. A Saunders piaceva Green sin dai tempi del college, ma non ha rimpianti. “Volevamo qualcuno che desse una grossa mano in attacco”, dice. “Draymond rende migliori i compagni, ma in attacco non è la stessa cosa”.
“A bocce ferme si può dire che Golden State ha preso un’ottima decisione”, aggiunge Saunders. “È andata bene a tutti”.
Beh, forse non proprio a tutti. Anche i Cavs sono in finale, e senza Love. Hanno scoperto uno stile di gioco difensivo, gagliardo e antimoderno che ha schiacciato il resto dell’Est e sta mettendo in grossa difficoltà Golden State, persino alla Oracle Arena, dove gli Warriors sembravano imbattibili. Il loro successo sta facendo dubitare i dirigenti della lega sul reale valore di Love; si è aperto poi il dibattito sul percorso di Cleveland: più dovuto alla presenza di LeBron o all’assenza di Love? L’assenza forzata dal campo ha reso Love il giocatore più disorientante e controverso della NBA.
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Non accettando lo scambio, Golden State intendeva scommettere forte su Thompson, anche se poi la scommessa più grande (e ampiamente vincente) si è rivelata essere su Green. Rispetto a Lee, in attacco Green attrae meglio il lungo avversario fuori dall’area, mentre sull’altro lato del campo è il cuore ruggente della miglior difesa della lega, sostanzialmente un pezzo di Tetris umano che sul cambio può marcare qualsiasi giocatore e risolvere qualsiasi problema in qualunque momento.
“Non ha semplicemente occupato la posizione di ala grande”, dice Myers. “L’ha proprio invasa”.
La stagione non era iniziata così. “Ai training camp Draymond era pessimo”, dice Kerr.
“Ero terribile”, ricorda ridendo Green. Voleva strafare, cercava le giocate spettacolari, provava a convincere gli allenatori di avere abilità di cui non si erano accorti. Tra alcuni addetti ai lavori di Golden State si era guadagnato il soprannome di Draymond James per la sua abitudine di imitare (senza successo) le movenze e i colpi di LeBron.
Kerr e Alvin Gentry, vice allenatore della squadra, lo hanno portato quindi da una parte e gli hanno mostrato le immagini delle cose che aveva fatto bene: la difesa granitica sul post, la palle rubate grazie alle tenaglie che ha al posto delle mani e le penetrazioni con scarico per i tiratori negli angoli. “Non aver paura di essere sporco”, si ricorda di avergli detto Kerr. “Marca chiunque. Diventa un 4 playmaker”.
I coach sostengono che all’inizio la lezione ha fatto arrabbiare Green, specialmente perché Lee era sugli scudi. Dopo, all’inizio della stagione, Lee si è rotto il tendine e Green è diventato automaticamente il titolare. Con Green al posto di Lee gli Warriors sembravano un’altra squadra. Dopo una vittoria a Oklahoma City, Golden State aveva un record di 10-2; Kerr ha quindi convocato Lee per una sgradevole comunicazione. “Gli ho semplicemente detto che Green sarebbe rimasto in quintetto e che nonostante tutto era ingiusto, perché lui non aveva nessuna colpa”, ricorda Kerr.
Nel frattempo però Kerr non ha detto a Green che si era guadagnato il posto. “Volevo che rimanesse motivato”, dice l’allenatore. Molti membri dello staff e giocatori di Golden State raccontano che quando, qualche settimana più tardi, Lee è tornato ad allenarsi, aveva, per la sorpresa di Green, la canotta dei titolari. A quel punto Kerr ha dato indicazione a Green di scambiarsi con Lee, e tutti hanno infine capito che il posto in quintetto nel ruolo di ala grande era di Draymond. Se per Barnes al posto di Iguodala l’intenzione di Kerr era chiara fin dall’inizio, quella di Green è stata una coincidenza fortunata.
“Non immaginavo che Draymond avrebbe giocato così bene”, ammette Kerr. “Se però si guarda a come è giocata la pallacanestro oggi ci si accorge che ruota tutto intorno alla versatilità e ai giocatori bidimensionali. Quanti sono capaci di segnare e poi di marcare tre posizioni?”.
Cercare di assemblare quanti più giocatori bidimensionali possibili sembra un obiettivo scontato, ma da quando la tendenza delle squadre è quella di alzare i ritmi e affidarsi al penetra e scarica per i tiratori dietro l’arco, le dirigenze della lega hanno visto accorciarsi notevolmente il tempo a disposizione (questa evoluzione è stata dettata dalle modifiche del regolamento e dall’arguzia degli allenatori; andate qui e qui per saperne di più). Se si ha un’unica dimensione, che sia quella offensiva o difensiva, la vita è dura se intorno a te si muovono tutti. Saper fare tutto a un buon livello (non necessariamente ottimo) è la nuova frontiera del giocatore NBA.
La difesa di Thompson è stato uno dei motivi principali per i quali Adams si è opposto allo scambio con Love. L’anno scorso Adams era il vice a Boston, e Brad Stevens, il capo allenatore, aveva selezionato i quattro o cinque migliori giocatori di ogni squadra della NBA e aveva assegnato agli assistenti il compito di stilare degli scouting report dettagliati per ognuno di essi. Adams doveva occuparsi anche di Thompson e ha passato quasi dieci ore a guardare filmati del suo gioco. “Dopo di ciò sono diventato un suo sostenitore”, racconta Adams. “Quel ragazzo ha taglia, difesa e un tiro pazzesco. Come si fa a non amarlo?”.
Love non ha la doppia dimensione, non ora almeno. Se anche migliorasse la difesa non avrebbe comunque la rapidità necessaria a prendere il piccolo sui cambi del pick-and-roll, ovvero una capacità sempre più richiesta ai lunghi dagli allenatori in una lega dove i quintetti sono sempre più piccoli e il gioco sempre più veloce. La maggior parte degli esterni possono scambiarsi le marcature senza creare accoppiamenti terribilmente squilibrati, ma quando viene giocato un pick-and-roll tra un lungo e un piccolo la situazione cambia, e un’ala grande capace di difendere sul cambio è una risorsa inestimabile: è questa la discriminante tra un normale difensore NBA e una macchina sui cambi che sbarra l’accesso all’area pitturata.
In una NBA in cui il pick-and-roll la fa da padrone, sempre più squadre vogliono quel tipo di giocatore. Sempre più squadre vogliono il proprio Draymond Green.
Non sono molte le ali grandi che possono cambiare così spesso e su così tanti giocatori diversi come Green. Gli Warriors potrebbero essere gli unici sostenitori di una controrivoluzione dei cambi che punti a terminare il dominio dei pick-and-roll. Se le altre squadre non riescono a procurarsi un Green, almeno vogliono dei lunghi che possano cambiare sullo scadere dei 24’’ o quando tutti gli altri aiuti sono saltati.
Love non è mai stato quel tipo di giocatore. Alcuni membri dello staff di Golden State devono aver avuto gli incubi al pensiero di come le altre squadre avrebbero attaccato il duo Steph Curry-Kevin Love sui pick-and-roll. Tuttavia l’anno scorso, quando tutti lo inserivamo tra i migliori 10 giocatori della NBA, l’incapacità di Love di cambiare non era una grande preoccupazione. Questa lega però evolve in fretta, e i front office delle varie squadre hanno osservato il gioco di Golden State e di Green. Solo un anno fa la domanda sarebbe sembrata assurda: Draymond Green è meglio di Kevin Love? Se oggi lo chiedete a dieci GM diversi avrete 10 risposte diverse: sì, no, forse, magari se migliora il piazzato (il progetto di sviluppo per l’estate), più un bel po’ di farfugliamenti sulle variabili legate al contesto. Oggi però nessuno pensa che sia una domanda folle, ed è questa la cosa veramente folle.
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Il valore di Green potrebbe avvicinarsi a quello di Love, ma solo se gioca in una squadra con una stella dichiarata che gestisce il pallone per la maggior parte del tempo. Se Love, nei limitati e infestati dagli infortuni Timberwolves di Rick Adelman, faceva meraviglie nei pressi del gomito, Green non potrebbe mai essere il fulcro di un attacco NBA sopra la media. Inserite però Green in una squadra con due violini capaci di creare tiri e il valore delle sue caratteristiche salirà vertiginosamente.
La curva del valore di Love è invece inversa. A Cleveland ci sono LeBron e Kyrie Irving che creano tiri, ma Love non è capace di bilanciare facendo salire il livello della difesa o permettendo ai Cavs di cambiare su tutti. All’inizio di questa stagione Love era deciso a migliorare la difesa, ma vari mesi dopo i difetti principali (per esempio i pigri rientri sulle transizioni avversarie o l’indolenza a rimbalzo) sono ancora tutti lì. Per arrivare alle finali NBA i Cavs, che hanno iniziato a difendere meglio da quando sta fuori, non hanno avuto bisogno di lui.
Love rimane comunque prezioso per i Cavs, ma la faccenda è legata alla limitatezza delle risorse: si può veramente offrire il massimo salariale a tre giocatori (LeBron, Love e Tristan Thompson) che dovrebbero occupare per molti minuti la stessa posizione, considerato anche che a libro paga ci sono altri due lunghi da rotazione? Se la risposta fosse sì l’anno prossimo i Cleveland Cavaliers potrebbero pagare la più salata luxury tax della storia; nel caso, farebbero sembrare spiccioli l’imbarazzante debito dei Nets di Mikhail Prokhorov, e sarebbe un’impresa. Elargire milioni di dollari su milioni di dollari a tutti potrebbe anche compromettere la possibilità di Cleveland di aggiungere talento quando nel 2016 e nel 2017 il tetto salariale si alzerà.
Griffin continua a sostenere che i Cavs vogliono ancora Love, anche perché, secondo i dati di NBA.com, con Love, LeBron e Thompson insieme sul parquet Cleveland surclassa gli avversari di 15 punti su base 100 possessi. Sebbene durante questi playoff Thompson abbia aumentato il livello di protezione del ferro, lasciando intravedere la capacità di giocare come un giocatore più alto di quello che effettivamente è, nell’arco di una stagione intera i Cavs hanno bisogno di più spessore offensivo, perché la versione combattiva e ruvida che hanno messo su per i playoff non è sostenibile nel lungo periodo.
“Questa nuova identità ci è andata bene per via degli accoppiamenti”, dice Griffin, “ma con i Big Three in salute eravamo la migliore squadra della lega. Vogliamo tornare a essere quella corazzata. Vogliamo essere una versione più talentuosa di questo gruppo di meravigliosi outsider”.
In ogni caso l’interesse di Cleveland per Love precede l’arrivo di James; nei due anni precedenti alla chiusura dell’affare, i Cavs e gli Wolves avevano vagliato a lungo potenziali scambi che includessero Love. Per molto tempo Cleveland non aveva avuto merce appetibile per Minnesota, ma quando finalmente ha ottenuto la moneta di scambio ideale (la prima scelta assoluta al draft) non era intenzionata a cederla. È stato solo in seguito al ritorno di LeBron che Griffin si è deciso a giocarsi il tutto per tutto. “Quando il tuo miglior giocatore ha 30 anni il tuo orizzonte è limitato”, dice Griffin a proposito di LeBron. “La società era da un po’ che seguiva Kevin, ma ci siamo decisi a pagare il prezzo che abbiamo pagato solo per via della presenza di LeBron”.
Dare via Wiggins, una potenziale superstar con un modesto contratto da rookie, è stato doloroso, soprattutto per la mancata possibilità di mettere sotto contratto Love per più anni. “Kevin era d’accordo con i termini dell’affare”, sostiene Dan Gilbert, proprietario dei Cavaliers. “Magari tecnicamente non è proprio verissimo, ma eravamo in contatto con lui e lo tenevamo aggiornato. Siamo una squadra giovane, avevamo Wiggins, e stavamo pensando a uno scambio che portasse qui un giocatore che magari l’anno dopo se ne sarebbe andato”.
Vista la necessità di LeBron di vincere immediatamente e l’incertezza sull’abilità di Wiggins da dietro l’arco (caratteristica fondamentale per qualsiasi ala che affianchi James in campo), lo scambio non era campato in aria. Tuttavia LeBron sta vincendo con questa ciurma di disadattati priva di Love. Esiste una realtà parallela in cui i Cavaliers hanno semplicemente escluso Minnesota dallo scambio tre che ha portato Love a Cleveland, tenuto Wiggins, guadagnato flessibilità nel monte stipendi e strappato Thaddeus Young affinché funga da Love minore. È probabile che i Cavs con un Wiggins in più non avrebbero avuto bisogno di prendere J.R. Smith e Iman Shumpert dai Knicks, perché ce l’avrebbero potuta fare, anche raggiungendo lo stesso le finali, con una situazione salariale meno ingombrante.
“Se uno ragiona così ci sarebbe da ammazzarsi”, dice Gilbert. “Ma non si pensa mai all’imprevedibile effetto domino creato da qualsiasi piccola decisione”.
Gilbert ha ragione, il passato non si può cambiare. Ci sarà una squadra che punterà sul ritorno di Love a grandi livelli e quella squadra sarà premiata, anche se sarà Cleveland. Secondo me la cavalcata fino alle finali NBA dei Cavs è più merito del talento individuale di LeBron che dei casi Love, Irving, dei rimbalzi offensivi o di qualsiasi altra cosa. Nessun altro giocatore nella NBA odierna sarebbe riuscito a trascinare la propria squadra come ha fatto LeBron; anzi, non sono più di tre o quattro i campioni della storia NBA capaci di tanto.
Con Carmelo Anthony, Paul George, James Harden o Blake Griffin al posto di LeBron dubito che i Cavs avrebbero battuto Chicago al secondo turno o che avrebbero vinto almeno 50 partite in stagione regolare. Nel giusto sistema Love può ancora essere uno dei 10 migliori attaccanti della lega, magari un primo violino bis capace di consegnarla dal palleggio, sparare triple, confondere le difese con blocchi sulla palla o lontano da essa (spesso i lunghi che difendono su Love nel pick-and-roll devono aiutare forte sul palleggiatore in maniera da rimanere nei pressi di Love per essere pronti in caso di un pick-and-pop dai tre punti; e comunque Love è diventato furbo nell’approfittare della situazione tagliando dove si crea lo spazio), giocare in post contro i cambi difensivi e trovare i compagni in qualsiasi parte del campo con frustate al millimetro. Mettetelo ad Atlanta o a Boston e tornerà a essere la star di una buona squadra.
Chi non ha dubbi nel dichiarare Green nettamente migliore dovrebbe guardarsi bene l’attacco sgonfio di Golden State in gara 2 di queste finali e riflettere su come Love al posto di Green avrebbe cambiato radicalmente le cose.
Non scordate che le versioni di Minnesota con Love non erano da buttare, seppure la maggior parte dei compagni lo fosse. Hanno provato a raggiungere i playoff in una conference micidiale prima di soccombere agli infortuni, ma quando Love era in campo avevano un margine punti da squadra di livello. Con Love in panca la situazione precipitava per colpa dei tremendi sostituti, ma il merito della differenza punti era invece tutto di Love.
D’altra parte una difesa che funzioni può benissimo ovviare a un punto debole, basti pensare ai Pacers, ai Grizzlies e ai Bulls, che soffocavano gli attacchi avversari malgrado le presenze di David West, Zach Randolph e Carlos Boozer. Se iniziasse a interessarsi alla difesa Love potrebbe essere migliore di quei tre. Finora non l’ha fatto ed è un peccato, anche perché così dà fiato a chi sostiene che Love sia un compagno di squadra difficile.
In ogni caso Love è ancora giovane e a Cleveland ha modo di diventare un giocatore più completo (sebbene in caso di massimo salariale il margine di manovra per Griffin sarebbe ridotto all’osso). Il grande segreto della NBA è la continuità. Quando Golden State non ha accettato l’affare Love stava puntando proprio su quella, piuttosto che su Thompson o Green. “Per me la continuità era al primo posto”, dice Kerr. “Quando hai una buona base è bene che cresca in maniera organica. Noi eravamo già buoni in difesa, ed ero convinto che anche in attacco saremmo cresciuti, quindi perché stravolgere tutto? Il salto nel vuoto mi spaventava sul serio”.
Nel primo anno di LeBron a Miami gli Heat non erano fluidi. Se Love sarà ancora a Cleveland forse James si troverà meglio a giocare i pick-and-roll col compagno o a sfruttare i suoi blocchi al gomito. Ci sarà pure una ragione se LeBron non vedeva l’ora di giocare con lui, no?
Love potrebbe tornare utile anche se i Cavs continueranno a sacrificare le spaziature per andare senza ritegno a rimbalzo offensivo (sebbene vi sia qualche preoccupazione che la perdita di peso di Love, per quanto funzionale al prolungamento della carriera, possa avergli tolto un po’ di quella sostanza che lo rendeva così efficace sotto i tabelloni in attacco, un fondamentale che comunque regredisce progressivamente con l’aumentare dell’età).
In definitiva, specialmente considerata l’evoluzione della posizione che occupa, Love non è così forte come pensavamo qualche tempo fa. Probabilmente non è fra gli otto migliori giocatori della NBA; gli scettici avevano in parte ragione.
Tuttavia, nella peggiore delle ipotesi, rimane uno dei 15 o dei 20 migliori giocatori, una vera star insomma. Se quest’estate decidesse di lasciare i Cavs, questi potrebbero optare per un sign-and-trade e mandarlo a qualsiasi pretendente consapevole che fra un anno le possibilità di ingaggiare Kevin Durant saranno minori di zero. Se Love decidesse invece di rimanere un altro anno, alla fine della prossima stagione potrebbe far fruttare al massimo la free agency.
Prima di affermare una volta per tutte che i Cavs hanno commesso un errore a scambiare Wiggins per Love dobbiamo aspettare ancora un po’, anche se dopo un anno non sembra che la mossa abbia pagato grossi dividendi. Spero che Love sia affamato, e magari anche arrabbiato per come è andata questa stagione. Spero che sia carico per dimostrare di non essere un perdente dalle buone statistiche. Se fosse veramente motivato sono pronto a scommettere sulla redenzione di Kevin Love la prossima stagione, a Cleveland o da qualche altra parte.
Traduzione di Giacomo Sauro
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