I nuovi Cavaliers, come la stagione è cambiata in due giorni
Analisi all’interno dei Cavaliers di Lebron James, analizzando attacco e difesa pre e post trade, cercando di capire in che modo le nuove aggiunte hanno cambiato la stagione dei Cleveland Cavaliers
Riprendiamo da Pick and Pop Culture l'articolo di Alberto Ambrosio sulla stagione dei Cleveland Cavaliers.
La prima parte di stagione dei Cleveland Cavaliers è stata senza ombra di dubbio deludente, caratterizzata da continue polemiche e dubbi sulle varie decisioni prese in estate, prima su tutte quella di ingaggiare l’allenatore uscito poche settimane prima vincitore dalle final four di Eurolega. Una scelta strana, controcorrente rispetto alla storia della più importante lega cestistica mondiale, che mai si era affidata a un head coach di formazione europea per guidare una franchigia.
Una scelta dettata dalla volontà di provare a ricreare un gruppo potenzialmente vincente attorno a Wiggins, Bennett e Irving ma che in seguito alla decisione “di tornare a casa” di Lebron James, tuttò sfumò. Non si sarebbe trattato più di un progetto pluriennale bensì di una corsa contro il tempo per vincere il prima possibile l’anello assieme a James. Questa necessità costrinse la dirigenza a cedere, tra gli altri, quello che doveva essere sulla carta il perno del progetto “giovani” (Wiggins), per Love, giocatore di indubbie qualità offensive ma che mai si era visto in una squadra di alto livello e la cui incapacità difensive erano (e sono tuttora) un limite piuttosto rilevante. Dopo tutto questo però in pochi si sarebbero aspettati una così marcata difficoltà nelle prime settimane di gioco, non solo in termini di affiatamento (comprensibile), quanto piuttosto in termini tattici: la difesa funzionava poco ma era l’attacco che non girava per nulla.
Blatt dopo qualche tentativo in summer league e preseason scartò quasi completamente l’idea di un gioco basato sulla princeton offense visti i problemi che la squadra aveva ad assimilare i concetti offensivi; questo portò ad un attacco la cui circolazione di palla era molto spesso assente, i giocatori senza palla erano fermi ad aspettare che qualcuno (James) risolvesse per loro. A volte era James, altre volte era Irving, altre ancora Love in post a 6 metri dal canestro. Ma questo perché? Di tutto si può dubitare, tranne delle capacità tecniche di uno dei migliori coach al mondo, capace di vincere qualsiasi cosa nella sua carriera nonostante roster non sempre “da titolo”.
Blatt ha sempre voluto una squadra con giocatori capaci di giocare il pick and roll, molto spesso per iniziare direttamente l’azione; il problema però c’è ed è indicatore di scarsa salute quando l’attacco si compone esclusivamente di un semplice screen and roll (o pop) con gli altri 3 giocatori fermi ad aspettare un possibile, e spesso improbabile, scarico. Il pick and pop con Love quindi era diventata l’unica opzione per farlo entrare veramente in ritmo (con risultati spesso scadenti) visto che i Cavs dovevano trovare un compromesso tra la necessità di aprire il più possibile l’area vista l’assenza di tiratori e la volontà di Love di avere palla in mano, abituato a tirare come pochi in nba negli anni di Minneapolis. Non basta un passaggio ad inizio azione per far entrare in ritmo un giocatore che altrimenti viene relegato sul perimetro a tirare sugli scarichi e non basta nemmeno per creare un tiro ad alta percentuale: un tiro a difesa schierata nei primi 8 secondi dell’azione senza cambiare lato o almeno aver mosso la palla non può essere di qualità.
I Cavaliers si basavano (e si basano tutt’ora) soprattutto sugli isolamenti, primi incontrastati per frequenza di utilizzo nell’nba. Questo tipo di attacco con giocatori come James ed Irving nel breve periodo può essere remunerativo ma nel medio e lungo periodo no, specie in una squadra priva di tiratori dove portare un aiuto o un recupero con un buon tempo è estremamente semplice vista la non pericolosità perimetrale degli avversari. Non serve nemmeno spiegare quanto questo renda insostenibile un attacco dotato di “giocatori da isolamento”.
La presenza di tiratori sugli scarichi come detto è fondamentale e le due prime due “shooting” guard nelle rotazioni di Blatt non avevano esattamente la precisione dall’arco dei tre punti come qualità principali: Waiters nella sua prima parte di stagione ha tirato con il 29% in catch and shoot, una percentuale totalmente insufficiente per poter ambire a risultati ambiziosi. Lui e Marion in queste situazioni di gioco erano chiaramente inadatti a garantire alla squadra una spaziatura ottimale, che consentisse cioè un gioco sotto canestro meno contestato dalle difese avversarie.
Ma le cause di tutto questo sono molte, diverse e spesso interconnesse tra di loro, sarebbe assolutamente sbagliato imputare tutte le colpe a Blatt: lui ha provato ripetutamente ad inserire parte dell’attacco Princeton nei suoi giochi, con risultati però spesso deludenti, ha provato a cambiare quintetti e concetti difensivi. Ha provato tutto quello che c’era da provare ma i risultati sperati non arrivavano comunque.
C’è enorme differenza tra anarchia offensiva e “lettura di ciò che fa l’uomo davanti a te” (principio base del Princeton Offense): nel caso oggetto d’analisi la prima situazione è predominante, i giocatori non spesso sapevano letteralmente dove dovevano muoversi e cosa dovevano fare, scene simili a quelle viste in casa New York Knicks all’inizio di questa stagione.
È indubbio che Blatt non si sia mai trovato a suo agio con un lungo tecnicamente povero come Thompson che a causa delle sue carenze balistiche nella squadra di James è Love deve giocare centro, nonostante sotto canestro soffra eccessivamente il fisico dei lunghi avversari. Questo in una difesa “normale” non sarebbe un problema: guardate gli Heat degli anni passati o i Bucks di quest’anno (seppur abbiano differenti concetti tattici alla base di tutto), sono difese che pressano enormemente sulla palla, non permettendo quasi mai un 1vs1 sotto canestro e limitando il più possibile l’impatto del lungo avversario sul pick and roll effettuando spesso uno “show” sul portatore di palla. Questo tipo di difesa richiede però enorme dispendio energetico e atleti disposti a sacrificarsi quando gli avversari hanno il possesso della palla: è necessario che tutti siano convinti che il proprio compagno di squadra recupererà sul difensore smarcato. Questo ai Cavs è obiettivamente impossibile. Kevin Love è antitesi di questo tipo di difesa. Love non è un giocatore con buoni tempi di aiuto (come lo era Bosh), letture difensive o rapidità laterale. Discorso simile per Irving, straordinario attaccante ma difensore sotto la media.
E così arriviamo alle due trade di inizio gennaio, la vera grande genialata di Griffin. Sia chiaro, acquisire Mozgov per ben due prime scelte non è stato il massimo della convenienza ma sia il gm di Cleveland, sia le altre 29 franchigie NBA sapevano quanto fondamentale fosse un centro di peso nella difesa Cavs. L’affaire Shumpert-Smith è stato invece un evidente furto con scasso di Griffin, visto e considerato l’impatto che l’ex Georgia Tech ha avuto nei meccanismi di questa squadra e per il valore (infimo) che Waiters aveva a Cleveland: ennesimo trattatore di palla, difensore mediocre e incapace di punire sugli scarichi. Tutto ciò di cui Blatt non aveva bisogno.
Ma quale è stato il vero impatto di questi 3 nuovi arrivati? Beh, un dato credo che possa spiegare più di tutto quanto questa squadra sia cambiata con il loro arrivo: tra i primi 4 giocatori della squadra per net rating (differenza tra punti segnati e punti subiti per cento possessi) ci sono Mozgov, Shumpert e Smith, con il solito James a fare da “guastafeste”. Ma perché questi tre giocatori hanno cambiato così radicalmente la faccia a questo roster? In che modo hanno trasformato una buona squadra in una schiacciasassi? E soprattutto, è solo merito loro?
Cominciamo parlando di Mozgov: come già detto Blatt aveva bisogno di un lungo da pick and roll, che avesse buoni tempi di taglio verso l’area per costringere la difesa ad occuparsi anche di lui. Prima della trade i Cavs tiravano circa 8 triple a partita senza raggiungere il 35% dal campo, dopo la trade si prendono 11.3 triple a partita con il 37% da 3 punti, una differenza decisamente significativa che mi sento di imputare anche alla pericolosità offensiva del russo.
L’esplosività, come vedremo, non è una specialità del lungo russo il che dovrebbe rendere per qualsiasi lungo la vita estremamente difficile: non può utilizzare l’atletismo per finire nel traffico, non ha la rapidità per battere l’uomo dal palleggio eppure, nonostante qualche layup di troppo sbagliato, se messo nelle condizioni giuste è un attaccante più che buono
Come vediamo dalla “heatmap” qui sopra, Mozgov ha un’ottima percentuale di realizzazione sotto canestro, ma soprattutto è capace di tirare sugli scarichi dalla media distanza (tira col 50% in catch and shoot e 55% in spot up) punendo gli aiuti avversari all’interno del pitturato rendendo la vita più facile a Irving e Lebron.
Un altro aspetto da valutare quando si parla dell’impatto di Mozgov sui “nuovi Cavs” è la difesa: sia chiaro, il russo non è un rim protector “alla Ibaka” ma comunque è capace di leggere più che bene le situazioni di gioco e se i suoi compagni riescono a contenere le penetrazioni, i suoi tempi d’aiuto sono più che buoni.
L’esplosività però rimane un suo problema e contro avversari molto più atletici di lui soffre: concede il 61,76% ad Al Jefferson, l’81% a Deandre Jordan, il 71% ad Anthony Davis, il 54% a Ibaka e Dieng. Giocatori più tecnici e meno esplosivi li soffre meno, per esempio Pau Gasol su 50 tiri contestati da Mozgov ne ha segnati solo 18 (il 36%). MOZGOV.
L’altro tassello fondamentale di questa “nuova” squadra è stato Shumpert, un giocatore arrivato per poco-nulla ma che si è rivelato fondamentale negli equilibri della squadra di David Blatt. L’impatto che sta offrendo va ben al di là delle mere statistiche: è il primo vero difensore (non solo sul perimetro) dei Cavaliers di Lebron James ed è l’unico tiratore sugli scarichi capace di rimanere in campo con continuità (Miller con i suoi problemi fisici non può essere considerato).
La difesa sull’uomo è di primissimo livello nba: quel fisico combinato ad un’esplosività e a una rapidità laterale invidiabile da buona parte degli esterni nba lo rendono un difensore sul perimetro estremamente versatile ed efficace. È infatti capace di tenere più di un paio di scivolamenti, rendendo il lavoro dei lunghi (Mozgov) molto meno difficile, consentendo loro di scegliere con più tranquillità il momento in cui portare un aiuto sotto canestro.
Shumpert però non è solo un eccellente difensore sulla palla, la sua capacità di aiuto e di muoversi lateralmente con rapidità permettono ai Cavs di effettuare quella difesa aggressiva “alla Heat” di cui ne abbiamo già parlato: per giocare con un quintetto senza un centro di ruolo (Thompson non lo è) hai bisogno di una difesa aggressiva sul pallone, portando raddoppi sui lunghi avversari quando si trovano in post basso. E in tutto questo Shumpert c’entra alla perfezione.
Anche in attacco però ha reso la vita dei suoi compagni più semplice, le sue doti di tiratore sugli scarichi e la sua volontà di giocare senza palla (tagliando spesso i backdoor) lo rendono il fit ideale per la squadra di 3 superstar come Love, Irving e James. Il 45% dei tiri da due punti e il 95% delle triple chesi prende sono infatti assistite da un compagno.
Su Smith invece cosa si può dire? Direi tutto e nulla: sinceramente vedo poco utile un’analisi sulle capacità tecnico-tattiche del ragazzo e del suo impatto sui nuovi Cavaliers, lui è il classico giocatore “di rottura”, quello che quando la squadra va sotto riesce con un paio di giocate a riportare sotto i suoi compagni. Non ha cambiato faccia alla squadra come Shumpert e Mozgov, bensì ha dato nuove opportunità alla squadra di Blatt visti i numerosissimi isolamenti e brutti attacchi che si vedono a Cleveland. Lui ancora più di Shumpert ha cambiato faccia all’attacco dei Cavs, la sua pericolosità sul perimetro è assoluta e se limitato in un ruolo secondario diventa ancora più temibile.
L’attacco è obiettivamente mediocre, molti isolamenti e poche situazioni che derivano da un sistema offensivo democratico come il princeton offense. Ci sono solo poche azioni derivate dall’avventura Maccabi di coach David Blatt e che i Cavs utilizzano regolarmente. Proviamo ad analizzarle alcune, tanto per accennare il poco-e-male introdotto princeton offense.
Iniziando partendo dalle due basi del princeton offense in campo aperto: occupare sempre e comunque gli angoli e soprattutto attaccare la difesa in fase di schieramento con un pick and roll iniziale.
A Cleveland si vedono pochi tagli backdoor (tagli in cui l’esterno che finta di uscire sul perimetro taglia alle spalle del suo difensore verso l’area), chiave di ogni attacco princetoniano, anche se sono leggermente aumentati con l’arrivo di Shumpert e Smith, capaci di giocare senza palla molto più di quanto Marion e Waiters non sappiano fare.
Una firma invece che Blatt pone in ogni sua squadra è il massiccio uso dell’horns che, con la capacità di Love di giocare nel perimetro aprirebbe a soluzioni estremamente interessanti ma che a causa dei motivi sopracitati, viene utilizzato di rado. Quelle poche volte si sono viste soluzioni interessanti che hanno causato più di qualche grattacapo alle difese avversarie, vediamo nel video qui di seguito.
Che dire in conclusione? Rispetto ad inizio stagione i Cavaliers sono chiaramente migliorati: hanno ora un attacco più equilibrato e una difesa molto più solida grazie all’inserimento di uomini funzionali alla squadra e alle volontà di Blatt che, seppur vincolato da fattori circostanziali che non gli permettono di produrre un buon gioco, sta facendo un ottimo lavoro. I problemi sono quelli noti e già esposti in precedenza e se James non sarà capace di far fare a tutti un notevole passo in avanti, Cleveland rischierà già dalle semifinali di Conference. Se riusciranno invece a sopperire ai limiti strutturali della squadra, rimangono un pericoloso avversario per tutti.
Articolo di Alberto Ambrosio