Sportando NBA Award 2015: Executive of the Year
Chi è il dirigente che più ha influenzato in positivo questa stagione e le future con le sue mosse? I nostri tre giornalisti NBA provano a rispondere
E' il turno dell'Executive of the Year. Quale dirigente ha influenzato maggiormente il risultato odierno e futuro della squadra con le mosse perpetrate? Proviamo a rispondervi.
DARIO SKERLETIC: PAT RILEY (MIAMI HEAT)
Impossibile non pensare al ‘quasi capolavoro’ di Pat Riley. Dopo aver perso - senza ricevere nulla in cambio - il miglior giocatore del pianeta, il boss degli Heat non ha esitato un secondo, non si è fatto travolgere dagli eventi. Con l’arrivo di Luol Deng (con un contratto tutto sommato favorevole) e Josh McRoberts (non ha giocato praticamente mai) e le conferme di Wade e Bosh, Riley ha lanciato un messaggio chiaro sulle intenzioni degli Heat: niente rebuilding, si va avanti a giocare per i playoff.
Durante la stagione poi, la torta è stata arricchita da due ciliegine niente male, la scoperta di Hassan Whiteside e l’arrivo di Goran Dragic. Purtroppo il grave problema che ha colpito Chris Bosh ci ha privato della possibilità di vedere il potenziale di questo gruppo. Il roster è stato colpito a più riprese da infortuni vari, tanto che il lineup più utilizzato da Spoelstra ha appena 139 minuti totali, e solo altre due combinazioni sono rimaste in campo per più di 100 minuti. Contro questo tipo di problema non c’è difesa che tenga, ma rimane l’ennesima impresa firmata dal buon Pat.
Con Dragic-Wade-Deng-Bosh e Whiteside i suoi Heat avrebbero dato filo da torcere a tutti anche nei playoff
ORAZIO CAUCHI: DAVID GRIFFIN (CLEVELAND CAVALIERS)
Ho scelto Griffin soprattutto per le operazioni in-season, anche se questi Cavs sono anche frutto della fortuna. Il ritorno di Lebron, l'ennesima prima scelta assoluta, che poi ha portato alla trade per Kevin Love. Quelli, oggettivamente, sono più colpi di fortuna che mosse di talento del GM dei Cavs. Griffin ha fatto la differenza soprattutto nella regular-season, con le trade che hanno portato a Cleveland Mozgov, Shumpert e J.R. Smith. L'assenza di un lungo di spessore si sentiva fin troppo ai Cavs e l'arrivo di Mozgov è stata una vera e propria manna dal cielo. Inizialmente ero scettico su questa mossa, un po' troppe due prime scelte per un giocatore fondamentalmente in scadenza come il ruosso, ma il rendimento dell'ex Nuggets è stato fondamentale nella risalita dei Cavs dopo un brutto inizio di regular-season. Griffin fa benissimo, poi, a spedire Dion Waiters (che ormai era una specie di cancro dentro lo spogliatoio e che non fa dell'intelligenza cestistica la sua dote principale) ai Thunder in cambio di una prima scelta protetta. Shumpert nel sistema Cavs è molto più funzionale di Waiters, soprattutto da un punto di vista difensivo. Persino J.R. Smith sembra aver messo la testa a posto (almeno in parte, sarà che a Cleveland c'è meno da divertirsi rispetto a New York) e potrebbe rappresentare un'arma in più in uscita dalla panchina. Griffin è riuscito ad apportare quei cambiamenti di cui il roster dei Cavs aveva bisogno per fare un ulteriore salto di qualità. Per il lavoro fatto soprattutto durante la regular-season Griffin è la mia scelta come Executive of The Year. Un'ombra sul futuro però rimane...se non arriva il titolo e Love dovesse decidere di andar via...bè, il giudizio potrebbe cambiare parecchio.
ENEA TRAPANI: JOHN HAMMOND (MILWAUKEE BUCKS)
Nella scelta del GM dell'anno è difficile restare svincolati dai risultati, ma questa volta cerchiamo di provarci e scegliamo il GM dei Milwaukee Bucks, il signor John Hammond. E' uno di cui si parla poco e che si sente anche poco: poche interviste, profilo molto basso, in netto contrasto con il modo “in pompa magna” con cui si sono presentati i nuovi proprietari. All'inizio della scorsa stagione Adrian Wojnarowski lo avvertì che Kidd avrebbe fatto di tutto, essendo un uomo senza scrupoli, per provare a metterlo alla porta e impadronirsi anche del suo ruolo. Resta il fatto che se la condotta del GM risulterà sempre quella di quest'anno questo rischio non dovrebbe correrlo.
Parte da una squadra con 15-67 di record, ma da quel momento sono tutte scelte giuste:
-si porta a casa un collante come Dudley e una prima scelta protetta (!!) per il nulla assoluto di Radulijca e Delfino (puntualmente tagliati dai Clippers)
-avendo dato due seconde scelte per Kidd, ne recupera una dagli stessi Nets in cambio dei diritti su Lamar Patterson, uno che non vedrà mai l'NBA.
La squadra prende il volo, gioca un basket strepitoso ed organico, arrivando addirittura alla seconda miglior difesa della lega e le scelte partono da lontano: Henson e Antetokounmpo sono degli steal date le chiamate con cui arrivano. Al resto ci pensa Kidd.
Può far storcere il naso la mossa della deadline (se si guardano i risultati), ma sebbene la squadra fatichi si tratta della mossa più geniale di tutta la stagione NBA:
via Brandon Knight in scadenza (e da rinnovare a cifre spropositate anche considerando che sarà restricted) e Kendall Marshall (incompiuto) per Tyler Ennis, Michael Carter-Williams e un buon lungo da rotazione come Miles Plumlee. Ah la cosa migliore? Non mettere manco una scelta e lasciare che sia Phoenix a farlo.
Insomma una stagione costellata di operazioni intelligenti, oculate e atte a preservare il cap. Sì perché con l'ultima mossa alla deadline ha abbassato il monte salary a 8 milioni sotto il limite delle restrizioni.
E per chiudere come fare a non menzionare la stretch provision su Larry Sanders dove ha convinto il giocatore a rinunciare a 21 milioni di dollari?
La sua squadra è migliorata di 26 vittorie rispetto allo scorso anno. L'executive of the year deve essere suo.
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