Keith Langford, storia di uno showman
Alla scoperta del giocatore di Milano
Keith Langford è probabilmente uno dei giocatori con più talento individuale che giochino in Europa. Grande star ai tempi del liceo, in Texas, scelse di trasferirsi a Lawrence, nel Kansas, convinto da Roy Williams, allenatore che a suo tempo – da assistente – reclutò Michael Jordan per North Carolina. Williams fu il suo primo allenatore ai Jayhawks perché poi lasciò Kansas nel mezzo della carriera di Keith per tornare proprio a North Carolina. Langford giocò le Final Four NCAA sia con Williams che con il suo sostituto Bill Self. L’esito però fu lo stesso. “Raggiungere le Final Four, per un americano, con tutto quello che significa, è un’esperienza indimenticabile, la più importante che mi porti dietro – ammette – Quando battemmo Oregon nel 2002 qualificandoci per la prima di due volte, ricordo le feste, il feeling: negli Stati Uniti è una cosa fantastica, tutti guardano in tv le partite. Certo, mi rimane dentro qualche rimpianto per non aver vinto il titolo. Ancora oggi ho come la sensaizone che Carmelo Anthony (Syracuse) e Juan Dixon (Maryland) abbiano i titoli che spettavano a me. Ma è andata così e dieci anni dopo per quanto sia doloroso cerco di ricordare di più l’aspetto positivo di quell’esperienza”. Furono quelli i tempi in cui lo ribattezzarono K-Freeze, dove la k è l’iniziale del suo nome e “Freeze” è la mano nella quale scorre ghiaccio. Successe dopo due tiri liberi decisivi al college quando nel 2002 Kansas sconfisse Marquette in semifinale, ovvero la squadra di Dwyane Wade e Travis Diener.
KANSAS, NBA ED EUROPA - Uscito da Kansas, Langford probabilmente si aspettava una carriera NBA importante dopo quello che aveva fatto al college. “Quando finisci il college e in un posto come Kansas sei il sesto realizzatore di sempre, con alcune delle grandi partite che ho giocato, con le statistiche avevo io, sì immaginavo di venire scelto e poi di avere una lunga carriera NBA, ma gli infortuni sono stati parte della mia storia e poi a quell’epoca forse non avevo piena consapevolezza di cosa volesse dire essere un professionista, non solo giocare le partite ma tante altre cose. Non so se quella sia una porta chiusa ma onestamente sono conytento di dove sono e di quello che ho fatto”. Langford ha giocato a Soresina in Italia, poi a Biella in Serie A e sulla scia di quelle stagioni esplose a Bologna in Serie A, fu Mvp dell’Eurochallenge vincendo la coppa e venne ceduto al Khimki Mosca entrando nel grande giro dell’Eurolega. Dopo c’è stato il Maccabi, l’Mvp delle Final Four di Lega Adriatica, una Final Four di Eurolega persa alla quinta partita dei playoff con il Panathinaikos e infine Milano. Dov’è per il secondo anno consecutivo e dove continua ad accumulare statistiche impressionanti, per la verità mai smarrite neppure nella stagione passata.
THE FAMILY - Langford proviene da una famiglia di cestisti, ma il suo primo amore è stato il football: in Texas vale per tutti, senza distinzioni. “Ma quando avevo 11 anni, da noi si dice 7th grade, settimo grado di istruzione, tutti i miei amici che giocavano a football entrarono nella squadra di basket e io li seguii poi il talento ha fatto il resto. Il talento e il fisico perché giocando a football tendevo a infortunarmi un po’ troppo”. La scelta piacque tantissimo ai due genitori (il fratello della mamma, Charlene, peraltro ha giocato nella NFL): “Entrambi giocavano a basket all’università del Texas, anzi si conobbero grazie al basket. Ho tre fratelli e una sorella e giocano tutti. Mia sorella attualmente è sophomore all’università del Texas ad Arlington, ho un fratello maggiore che ora ha smesso ma giocava in una piccola scuola in Alabama, un altro fratello, Kevin, è in Grecia, e un altro ancora, Justin, è senior a Kansas. In estate giochiamo contro e siccome sono tutti più grossi di me, mi portano spalle a canestro e io cerco di batterli in velocità, perché sono troppo veloce per loro. Mia sorella Takiyah è più simile a me. Ci divertiamo”. Keith ha un figlio che non ha ancora un anno, Kaycen: “Per il momento quando dorme lo fa con un palloncino da basket e uno da football quindi alla fine deciderà lui quale sport praticare. Penso di aver capito che sia mancino anche lui, di sicuro è già abbastanza grosso e sarà atletico. Così è vero sono curioso di vedere cosa succederà”.
LE STORIE - Keith Langford ha sempre cercato di indossare la maglia con il numero 5 in onore di Jalen Rose, suo idolo d’infanzia, uno dei “Fab Five” di Michigan che poi ebbe una buona carriera NBA soprattutto agli Indiana Pacers (ora ha il 23 che fa cinque sommando le due cifre). Un’altra storia che lo riguarda è quelle delle scarpe cambiate nell’intervallo se nel primo tempo non è andato bene. “Successe all’high school, indossai un paio di scarpe nuove ed ebbi un cattivo primo tempo. Mentre rientravo in spogliatoio mia madre mi gridò di indossare quelle vecchie. Così le cambiai ed ebbi un grande secondo tempo. La superstizione nacque così”, racconta.
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