Adolfo Bogoncelli, un dirigente rivoluzionario
Domani ricorre il ventottesimo anniversario della morte del fondatore dell'Olimpia Milano. Il ricordo di Antonio Cappellari e Gianfranco Pieri.
Adolfo Bogoncelli nacque a Treviso il 6 dicembre 1915. Nel 1936 si trasferì a Milano con la famiglia e completò gli studi, conseguendo la laurea in Giurisprudenza (la data di nascita e l’anno del trasferimento a Milano risultano dagli atti consultati presso l’Ufficio Anagrafe del comune di Treviso). Nel 1938 andò a Modena per frequentare la facoltà di Chimica.
La notizia che Bogoncelli avrebbe frequentato l’Accademia Militare di Modena è priva di riscontro: gran parte dell’archivio dell’Accademia fu distrutto nel corso di un bombardamento inglese durante la Seconda Guerra Mondiale e nelle schede personali degli iscritti all'Accademia che sono ancora consultabili non v’è traccia del suo nome.
Il segretario del Gruppo Universitario Fascista di Modena assegnò a Bogoncelli il compito di riorganizzare la sezione di palla al cesto, completamente abbandonata. Bogoncelli si rivolse al suo amico Albino Bocciai (pivot della Ginnastica Triestina, con la quale vinse due scudetti nel 1940 e 1941, e della Nazionale) perché lo consigliasse. Bocciai ebbe un’idea brillante. Disse a Bogoncelli che la squadra juniores della Ginnastica Triestina era formata da studenti che sarebbero stati interessati a trasferirsi a Modena, in cambio di qualche vantaggio dal punto di vista del mantenimento agli studi. Fu così che Bogoncelli assemblò una squadra, il G.U.F. di Modena, che in capo a pochi anni arrivò terza negli ultimi Littoriali dello Sport della storia (nel 1940), perdendo la semifinale contro Venezia, guidata da Sergio Stefanini (giocatore che qualche anno dopo fece le fortune di Bogoncelli a Milano).
Di ritorno a Milano dopo la fine della guerra, Bogoncelli, ormai appassionato di pallacanestro, fu nominato presidente di una squadra fondata dall’anconetano Alceo Moretti con il contributo economico del Partito d’Azione, il Centro Sportivo Triestino della Lombardia – Milano, così chiamata non solo per la provenienza geografica dei giocatori ma anche e soprattutto per sostenere la causa di Trieste italiana. La squadra nel 1946 arrivò seconda nel raggruppamento Nord, dietro la Reyer Venezia.
A seguito della sconfitta elettorale del 1946, il Partito d’Azione si sciolse. Venuto a mancare il finanziamento del Partito d’Azione, Moretti si defilò e Bogoncelli decise di trasferire la squadra a Como, la chiamò Pallacanestro Como e la iscrisse al campionato di Serie A 1946/47. La squadra, allenata da Vittorio Ugolini, si classificò seconda nel girone C di semifinale, dietro la Virtus Bologna, che poi vinse lo scudetto.
Finito il campionato, per proseguire l’attività a Como, Bogoncelli chiese di poter avere a disposizione una palestra coperta. Non avendola trovata, decise di ritornare a Milano e portò con sé il gruppo di giocatori triestini-comaschi per dare vita all’Olimpia. Il nome scelto per la nuova società è quello dell'antica città nel Peloponneso sede dei giochi olimpici. "Nel 1936 ero andato a Berlino e l'atmosfera olimpica mi aveva affascinato", dichiarò Bogoncelli. L’Olimpia Milano si classificò terza nel girone finale del campionato 1947/48, l’unico, fino alla passata stagione, disputato con il nome Olimpia sulle maglie.
Nella stagione successiva, Bogoncelli rilevò il titolo sportivo della squadra dell’azienda milanese Borletti (che vinse quattro scudetti negli anni ’30, ma nel 1947 cadde in disgrazia retrocedendo in serie B, per poi ritornare in serie A l’anno successivo) e fuse la sua Olimpia con il Borletti. Nacque così la Borletti-Olimpia (oppure Borolimpia, come qualcuno la chiamava con un’orribile contrazione). Facendo valere il principio della continuità sportiva, la neonata società acquisì anche gli scudetti vinti dal Borletti ma Bogoncelli scelse come anno di fondazione il 1936 (e non il 1931, anno di fondazione del Dopolavoro Borletti) perché coincidente con l’anno in cui il Borletti vinse il primo scudetto. Una società nata vincente.
Contrariamente a quanto sempre creduto, Borletti non fu il primo sponsor dell'Olimpia. È lo stesso Bogoncelli a dichiararlo in un'intervista pubblicata nel 1982 sui Giganti del Basket: "Il mio primo abbinamento non è stato con la Borletti bensì con la Simmenthal del Commendator Sada che, qualche anno dopo, mi diede 17 milioni. Il segreto per la riuscita dell'abbinamento fu quello comunque di cambiare la ragione sociale per ogni nuova sponsorizzazione. Fu così che la stampa venne obbligata a scrivere il nome dello sponsor, non quello originario della squadra". Ed ecco spiegato il motivo per cui il nome Olimpia scomparve per anni dalla ragione sociale della società milanese.
Dalla fusione con il Borletti, la squadra guidata da Bogoncelli vinse cinque scudetti consecutivi (dal 1949 al 1954). Dal 1956 al 1973, con l’abbinamento Simmenthal, iniziò la leggenda delle Scarpette Rosse: 10 scudetti, una Coppa dei Campioni, due Coppe delle Coppe e una Coppa Italia.
Seguirono anni bui, culminati con la retrocessione del 1976 e la rinascita nel 1979 con la finale playoff persa dalla Banda Bassotti del Billy contro la Sinudyne Bologna. Nel 1980 Bogoncelli decise di vendere la sua amata creatura alla famiglia Gabetti.
Per far comprendere appieno la grandezza del personaggio Bogoncelli, prendo in prestito le parole del Maestro Aldo Giordani: “Bogoncelli indicò e apri la strada. Come tutti i precursori, fu anche avversato da coloro che faticavano a tenere il passo; ma tenne duro e tirò diritto sul suo cammino. Allora si giocava per lo più all'aperto, e lui portò la squadra in un padiglione della Fiera Campionaria, per quei tempi qualcosa di avveniristico. Allora si giocava con le maglie di cotonina, e lui iniziò la moda delle maglie in tessuto sgargiante. Allora si giocava con anonime scarpe da ginnastica, solo un po' più alte, e lui lanciò in Italia le scarpe da basket colorate, tanto che ancora oggi la formazione milanese è celebre come quella delle scarpette rosse. Le tute erano blu per tutti, ed eccole tutte rosso-bianche, i calzoni attillati, i nomi sulle maglie mai viste in precedenza: tutte novità apportate da Bogoncelli, alcune prese dagli Stati Uniti (che allora erano un altro mondo, col quale solo pochi super-fortunati erano in contatto), altre ideate dalla sua mente. Siccome il basket, sui giornali, era relegato a poche righe in corpo piccolissimo (quando c'erano) Bogoncelli fondò un settimanale, affidandone la direzione a Emilio De Martino, il più popolare giornalista dell'epoca. il quale - intuendo a proprio volta la forza di seduzione del nuovo sport - pubblicò con frequenza costante le prime pagine a colori di basket in Italia”.
“Allenavo il Leone XIII ed ero molto amico di Bruno Arrigoni e Filippo Faina, che all’epoca erano allenatori delle giovanili del Simmenthal” - racconta Antonio Cappellari. “Spesso e volentieri andavo a vedere le partite del Simmenthal ma soprattutto gli allenamenti. Bogoncelli andava almeno due o tre volte alla settimana al Palalido per assistere agli allenamenti e in una di queste occasioni, Filippo Faina decise di presentarmelo. Qualche tempo dopo fui chiamato da Rubini (che già conoscevo per via della mia presenza fissa al Palalido), dicono i bene informati spinto da Bogoncelli, per lavorare all’Olimpia.
Il mio rapporto con Bogoncelli fu sempre molto stretto. Mi prendevano spesso in giro, accusandomi di essere nella manica di Bogoncelli e dicendomi che Bogoncelli vedeva e sentiva solo me. Ai tempi non mettevo nemmeno la sveglia, perché ogni mattina, tra le 6:45 e le 7:10, Bogoncelli mi telefonava e mi chiedeva «cosa c’è di nuovo?» e io gli rispondevo «Dottore, cosa vuole che ci sia di nuovo? Ho 25 anni e quest’ora dormo!» e dopo questo siparietto incominciavamo a parlare di pallacanestro.
Lavorai per Bogoncelli come allenatore delle leve, allenatore degli allievi, vice allenatore di Filippo Faina, assistente di Rubini come general manager e infine general manager. Lavorare per lui non fu come frequentare un corso universitario ma molto di più. Aveva delle idee rivoluzionarie per i tempi ed era a conoscenza di tutto, passava la sua vita al telefono, telefonava al mondo intero.
Diventai general manager nel periodo in cui Bogoncelli era già molto stanco e, se mi passi il termine, voleva terminare la sua collaborazione con l’Olimpia.
Un giorno mi chiamò nel suo ufficio in via Ramazzini e mi disse «Toni, mi devi trovare un acquirente!». Fummo presi tutti dallo sconforto. Fortunatamente Dan Peterson un giorno incontrò Giovanni Gabetti (all'epoca sponsor di Cantù) in Piazza San Babila (dove Peterson andava tutti i giorni per acquistare l’Herald Tribune) e parlando di pallacanestro, Peterson gli disse che Bogoncelli intendeva vendere l’Olimpia. Fissai un incontro tra Bogoncelli e Gabetti. Alla fine della riunione, che durò non più di dieci minuti, Bogoncelli aprì la porta e mi disse: «Ti presento il nuovo proprietario dell’Olimpia».
Nessuno ci crede ma è vero che Bogoncelli cedette l’Olimpia a Gabetti a costo zero”.
“Incontrai Bogoncelli per la prima volta nel 1955, quando arrivai al Borletti dalla Ginnastica Triestina – racconta Gianfranco Pieri. “Per convincere i miei genitori al trasferimento (da solo non mi sarei mosso), Bogoncelli rilevò una torrefazione a Milano, poiché mio padre lavorava nel settore del caffè.
Bogoncelli seppe trovare, insieme a Rubini, gli elementi giusti per costruire la leggenda del Simmentahal, assemblando un gruppo di giocatori affiatati sia in campo sia fuori dal campo. Eravamo proprio una vera famiglia.
Persi mio padre nel 1961 e Bogoncelli per me fu come un secondo padre, fu anche il mio testimone di nozze. Rimasi in contatto con lui anche dopo che lasciai il Simmenthal nel 1968. Bogoncelli ci ha lasciato in eredità la sua visione di vita e imprenditoriale: fare le cose con convinzione, costanza, serietà e onestà”.