Sopra di tre e pochi secondi dal termine: faccio fallo?
Il confronto fra le differenti scuole, europea e americana, fra fare fallo e difendere
Tredici secondi dal temine, sei sopra di tre. Un avversario palleggia girato di spalle davanti ad un tuo giocatore. Un facile e sicuro bersaglio se la tua scelta è quella di fare fallo.
Probabilmente, centinaia di allenatori si sono trovati in questa situazione e ci potrebbero spiegare come hanno abilmente gestito quegli attimi e applicato una strategia che li ha portati alla vittoria.
Sicuramente, in questa identica situazione si sono trovati i San Antonio Sprus, in gara 6 di finale a Miami contro gli Heat di Lebron, a tredici secondi dal Titolo. Il moonwalk di Ray Allen e la palla che muove la retina dell’American Airlines Arena, sono entrati di diritto nella storia NBA. Come noi facevamo con i VHS tremolanti di Bird e Magic, anche questi momenti verranno visti e rivisti anche dalle generazioni a venire, su chissà quali supporti tecnologici.
Durante la conferenza stampa post gara 6, un impavido giornalista della Gazzetta chiese a Popovich se aveva considerato di fare fallo negli ultimi secondi per evitare il mortifero tiro da tre di Ray Allen. “Questa è una domanda Europea, giusto? No non l’ho considerato”. Next question?
Quegli ultimi secondi del quarto periodo sono stati più volte magnificati con mille lenti di ingrandimento. Analizzati, scomposti, discussi. Anche qui in Italia, Flavio Tranquillo, ci ha fatto apprezzare come un singolo frammento di basket di 20 secondi, sia composto da decine di decisioni individuali, che compongono quella che alla fine dovrebbe essere la tattica di squadra. Decisioni su dove passare su un blocco, sul cambio difensivo, sul taglia fuori: tutto questo influenza l’andamento dell’azione, della partita e probabilmente anche i nostri giudizi postumi, anche se non dovrebbe farlo.
Per sgombrare il campo da dubbi, io non voglio tornare ad analizzare quella situazione, o portare dati a supporto di una tesi piuttosto che dell’altra, al massimo potrebbe farlo un allenatore. Invece, voglio prendere spunto dalla frase di Popovich: “European Question”.
È convinzione comune, evidentemente anche per l’allenatore degli Spurs, che ci siano due scuole: quella Europea schierata sul fare fallo e quella USA che è per difendere.
Recentemente ho sentito da fonti autorevoli, che ci sarebbero studi che hanno analizzato la questione, e che con dati quantitativi mostrerebbero la convenienza delle due opzioni, con una predilezione per la strada americana, cioè difendere.
È a questo punto che sorge un dubbio: ma lo studio, è stato fatto in America o in Europa? Attenzione, non pensiate stia parlando di campanilismo o presunta parzialità, io sto parlando di regole e giocatori.
Ma andiamo con ordine. Le regole.
Sono sopra di tre a 10 secondi dal termine. Detto che devo riuscire a fare fallo non sul tiro da tre, decido di fare fallo. Per semplicità ipotizziamo che dopo la gita in lunetta dell’avversario e della mia (a seguito dell’ovvio fallo che subirò dopo i liberi), il punteggio sia sempre +3 per me, cioè abbiamo segnato entrambi dalla lunetta. Ma cos’è che è cambiato: invece di 10 secondi ne mancheranno probabilmente 5, insomma, ho fatto un affare.
A questo punto, per l’allenatore avversario, iniziano le domande. Dove si trova? È al PalaBigi di Reggio Emilia, o allo Staples Center di Los Angeles? Si, perchè se è in NBA, chiamerà Time-Out e avanzerà il pallone. Se si trova in Italia deve capire se può chiamarlo, perchè si può chiamarne solo due negli ultimi due minuti e magari il giochino del fallo è stato fatto già una volta (quindi facendo fallo già a 20 secondi dal termine). Insomma, per il momento, il mio fallo potrebbe aver messo in difficoltà l’allenatore europeo, non quello americano.
Ma andiamo avanti. Rimessa avanzata. Ho cinque secondi. Quante probabilità ho di fare una buona rimessa e di conseguenza prendermi un buon tiro? Anche qui i numeri sono diametralmente opposti: in NBA se non vedo un buon passaggio il giocatore chiama Time Out e avrà un'altra possibilità, in Italia è costretto a buttare la palla per non fare una palla persa. Anche qui, in Europa il mio fallo ha creato problemi.
Inoltre, non dimentichiamoci le dimensioni del campo, che essendo più grandi nell’NBA favoriscono i passaggi e quindi la palla, che viaggia piú velocemente dei giocatori, puo’ accorciare i tempi.
Infine, biosgna considerare l’attenzione al tempo sul cronometro, che in NBA al contrario dell’Europa è molto alta, con gli arbitri che vanno spesso a riposizionare il cronometro, stando attenti a non perdere anche i decimi di secondo.
Tutto questo attiene alle regole, ma poi ci sono anche i protagonisti del gioco. Una delle principali differenze fra NBA e Europa a detta dei giocatori che hanno giocato in entrambi i continenti è la differente dimensione temporale (Belinelli dixit). In Europa 5 secondi sembrano pochi per costruire un buon tiro, mentre in NBA l’allenatore riesce a disegnare anche schemi complessi per liberare un giocatore all’ultimo secondo. Ovviamente qui non si tratta di avere buoni coach, o almeno non solo, ma di avere atleti che in due secondi riescono a fare spostamenti e ad elevarsi in tempi e spazi che in Europa non sembrano umani. Anche dopo la prima schiera dei migliori giocatori, in NBA è facile trovare esterni sopra i 2 metri rapidissimi e atletici. Non c’è bisogno di scomodare Derek Fisher e il suo canestro nelle semifinali 2004, per dimostrare che si può prendere un buon tiro anche con 40 centesimi di secondo e vincere una partita.
Per guardare solo alla sostanza. Mi sembra sbagliato voler trovare una risposta unica ad un dilemma che ha regole e fattori completamente diversi. Anche perchè il nostro problema è che il giusto e lo sbagliato lo definiamo a seconda dell’aver vinto o meno una partita. E non dovrebbe essere cosí. Potremmo aver preso tutte le decisioni corrette e perdere, cosí come potrebbe succedere il contrario.
Rimanendo sul grezzo "chi ha ragione", probabilmente le decisioni degli allenatori USA e Europa sono opposte ma entrambe corrette, perchè ognuna presa, a ragion veduta, nel proprio contesto.
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