Olimpia Milano, un pezzo di Siena per esorcizzare la chimera
L'analisi della stagione dell'EA7 campione
Red Shoes are back,! e cominciamo da qui, dalla sirena della gloria, dal completamento dell'opera, dalla fine del percorso che ha lasciato a Milano il nulla dei diciotto anni di prima e solo quello che ci sarà dopo. Un vuoto di soddisfazioni lungo 18 anni, 220 mesi, 943 settimane, 6604 giorni, 158.946 ore. Quasi 159.000 ore senza poter urlare al cielo campioni di qualcosa, una vita di cui nessuno si ricorderà.
La laurea di campione non arriva per caso, serve un'adeguata preparazione e come per ogni esame che si rispetti non manca mai una buona dose di brivido precedente alla prestazione; però il sentore che la prova del nove potesse essere passata si è avuto in gara 6, quando un moto di orgoglio di Curtis Jerrells ha forzato una nuova incredibile tornata al Forum, che un milione di persone hanno visto, che in migliaia hanno festeggiato nelle strade fino a tarda notte, che tutti si ricorderanno negli anni a venire. Milano si è tinta di rosso, ma senza il nero delle strisce di fianco; un rosso puro, un rosso di rabbia sanguigna, di dolore patito, di delusioni ingoiate e ora risputate. Milano oggi è campione, oggi è il basket l'argomento nei bar.
Il tifoso di Milano è fatto così, al palazzo scruta molto e canta meno, apparentemente ama il suo fare distaccato, ma si incendia quando la squadra lo trascina. Milano è uno di quei posti in cui le cose, almeno nel basket, funzionano al rovescio. Ioannis Bourousis, uno dei giocatori più forti passati a Milano negli ultimi anni di poca gloria e molto rammarico, disse: “Ad Atene vincere o perdere è questione di vita o di morte, qui a Milano sembra quasi che importi relativamente”; così duro e così vero che qualcuno in società deve aver pensato di cambiare radicalmente il tipo di giocatori; è nata così una squadra che avrebbe dovuto (e ci è riuscita) trascinare il pubblico al palazzo e farsi incitare “perché se lo è meritato”.
Siena è il passaggio d'obbligo verso la gloria; non si festeggia se prima non si incontra la Mens Sana, è la storia che lo racconta ed è essa stessa a stabilire che, se ci vuoi vincere contro, il 100% potrebbe non bastarti. Non ti sarà sufficiente essere tecnicamente superiore, non ti basterà esserlo fisicamente, dovrai anche pareggiare il loro livello mentale. E' la finale di due squadre così intrecciate nel mercato, ma così diverse nell'indole: il pubblico che trascina la squadra contro la squadra che trascina il pubblico.
Eppure per vincere questa gara Milano ha dovuto diventare un po' Siena: prendere un pizzico di freddezza nei momenti decisivi, un pezzo di cuore nel cercare le rimonte. L'EA7 quest'anno ha imparato qualcosa dai pluricampioni toscani che va ben oltre il semplice prelevare i loro giocatori: l'andare oltre i limiti tecnici, il reagire al momento di difficoltà, il sentirsi capaci di conquistare una cosa, che pareva diventata una chimera.
Il punto più basso della stagione si è toccato in Coppa Italia. Quarti di Finale contro Sassari ed eliminazione clamorosa solo per chi non aveva mai visto Milano giocare nell'ultimo decennio. Una squadra che butta via un vantaggio gigantesco e che viene presa da tali e sempre ignote paure, che sembrano rincorrerla ossessivamente ovunque vada.
Al termine della rassegna, con vittoria di Sassari, qui si iniziò un articolo con la seguente frase: “c'è chi vince con le proprie idee e chi perde con quelle degli altri”; mai cosa fu più vera e mai lezione fu tanto pesante. La delusione smaltita ha lanciato Milano a un record incredibile di vittorie, ma di nessuna ora ci si ricorderebbe se l'epilogo fosse stato quel tiro di Janning sputato dal ferro in Gara 6.
Questi playoff per l'Olimpia sono stati taumaturgici: l'avere faticato dall'inizio ha subito portato la squadra nella condizione mentale di comprendere ciò che andava fatto. Le certezze sono crollate tutte subito, ma la squadra ne ha trovate di nuove, non affondando ad ogni squarcio di chiglia come gli era sempre capitato. Persa la sicurezza dei mezzi contro Pistoia, persa la certezza del fattore campo contro Sassari e vista l'eliminazione in faccia contro Siena; carboni ardenti da cui sarebbe stato veramente difficile venire fuori, ma che non ti avrebbero permesso di cementare l'orgoglio e di arrivare all'ultimo quarto di gara 7 a rimontare il classico blackout di carenza tecnica e gli 8 punti di svantaggio; il titolo stava sfuggendo, ma questa volta il destino è stato scritto e non preso a scatola chiusa.
Il primo scudetto di Siena fu lo scudetto dell'orgoglio di una squadra che aveva raggiunto l'apice dopo anni di grande costruzione, gli altri seguenti furono il certificare la superiorità prima fisica, poi tecnica e nell'ultimo mentale; il ventiseiesimo di Milano è invece lo scudetto della rabbia repressa. Sul -8 e con un finale, che pareva scritto grazie ad un terzo periodo esiziale, tutta l'ira della squadra è deflagrata e ha travolto anche emotivamente una Mens Sana fino a lì molto più che perfetta. Per la prima volta Siena ha tremato per cinque minuti di fronte al Forum.
Gentile ha portato il barile di benzina, Melli e Jerrells ci hanno buttato il tizzone dentro. Il palazzo ha preso fuoco e ha spinto la squadra come non mai. Un clima da brividi, quello che tutti volevano, quello che a Milano pareva possibile solo allo stadio di San Siro.
Ora che la notte è finita e la sbornia è smaltita, trovo ancora molto appagante il fatto che “Olimpia Olimpia” risuoni nell'aria, che We Are The Champions sia l'unico motivetto che viene da cantare passeggiando per Corso Sempione e che tutto sembri essersi fermato alla sirena di ieri.
Questa attesa spasmodica verso il grande risultato ci ricorda un po' la storia dell'Inter che non vinse per anni, prima che la Champions League cancellasse tutto. Momenti difficili ne arriveranno ancora, ma per ricordare all'EA7 quanto sia importante questo giorno e far sì che valorizzino la fatica fatta basti pensare che gli avversari di ieri da oggi non hanno un futuro a cui pensare per cause a loro completamente esterne. Si troveranno precipitati in una realtà diversa, ma non smetteranno mai di incitare la squadra, né diserteranno la loro poltrona al PalaSclavo solo per la mancanza di stimoli e coppe negli anni a venire.
In attesa del loro ritorno, è tornata Milano
Red Shoes are back! “...che hanno fatto tutto, e tutto c'è da fare”