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NBA 23/08/2012, 19.33

Masai Ujiri, la storia fra le storie nella NBA

Edoardo Tamalio ci racconta la storia di Masai Ujiri: 'la storia fra le storie, il personaggio più unico della NBA'

NBA

Zaria, Nigeria.

I titoli di coda stanno ancora scorrendo sullo schermo, ma la palla già rimbalza sul pavimento del soggiorno. Il caldo è intollerante per qualsiasi essere umano, ma non per il ragazzino. Esce di casa correndo e palleggiando. Tutt’intorno il paesaggio unico e speciale della Nigeria settentrionale. Ma lui non vede perché i suoi occhi e la sua attenzione sono rimasti di fronte alla televisione, a quelle immagini troppo belle per poter lasciare spazio ad altro. Continua a correre e a palleggiare, in unico movimento, sotto il sole africano, fino alla meta. Eccolo che si staglia ai suoi occhi, racchiuso fra due piccoli edifici, con l’asfalto consumato privo di righe e la terra rossa, tipica della zona, soffiata dal vento che ne occupa alcune parti. Il palo arrugginito a sostegno per quel tabellone mutilato del suo angolo superiore destro ed il ferro, il canestro, senza retina, con un parte del cerchio rotta, che lo fa pendere verso sinistra. Eccolo il playground, uno dei pochi in città, la sua meta, il suo paradiso.

Ci siamo, il ragazzino è pronto ad iniziare la sua danza. Chiude gli occhi, solo per pochi secondi, rivede le immagini che poco fa scorrevano sul suo televisore. Quell’atleta nero come lui, ma di altre origini, che compie quelle incredibili evoluzioni aree, così elegante, così inarrestabile. Michael Jordan. E’ lui che vuole imitare il ragazzino. Il sole continua a cuocere, ma lui non se ne accorge. La danza è cominciata. Vuole volare il ragazzino, come il suo idolo, anzi, insieme al suo idolo, proprio come il titolo della sua videocassetta: Come Fly With Me.

Qualcuno passa, e si chiede chi sia tanto matto da correre e saltare da solo sotto quel sole arrostente.

Quel ragazzino si chiama Masai Ujiri ed è follemente innamorato. Innamorato del basketball.

Oggi Masai Ujiri è il General Manager dei Denver Nuggets o più specificatamente Executive Vice President of Basketball Operations. Ma è anche una storia fra le storie, una biografia unica anche in un pianeta come quello NBA dove ogni personaggio ha un suo passato da raccontare. E non solo perché Masai è l’unico dirigente capo africano della storia NBA, ma soprattutto perché è dannatamente bravo.

I Nuggets si apprestano ad iniziare la prossima stagione come una delle squadre più interessanti e meglio assortite ad ovest. Una contender? Forse no, ma manca poco, pochissimo, specie dopo l’ultimo colpo firmato da Ujiri, l’acquisto di Andre Iguodala da parte dei Sixers all‘interno della blockbuster trade che ha coinvolto altre tre franchige ed ha portato Dwight Howard ai Lakers. Una trade-capolavoro quella del nigeriano, capace di rimanere al di fuori dei rumors per mesi, prima di inserirsi nella trattativa e spuntare un All Star all’apice della carriera e fresco di oro londinese come Iggy sacrificando l’ottimo Aaron Afflalo e Al Harrington, eccellenti nel sistema di Karl, ma che con l’All Star Game e le Olimpiadi hanno poco a che fare.

Come detto la storia di Masai Ujiri è di quelle che lasciano a bocca aperta e che sarebbe davvero degna di essere raccontata in un film.

Masai nasce a Zaria nel nord della Nigeria, figlio di una dottoressa e di un amministratore ospedaliero e come la maggior parte dei suoi connazionali inizia a giocare a calcio, per strada, ma anche nelle giovanili della squadra locale. La madre, Grace Paula, però viaggia molto per lavoro e occasionalmente porta al giovane Masai copie di magazine sportivi statunitensi. Per la prima volta Ujiri conosce la pallacanestro e ci s’innamora, letteralmente:
Mi sono innamorato del basket dal primo secondo in cui ho capito cos’era. Ha completamente catturato tutta la mia immaginazione”.

Dai magazine si passa alla videocassette, quelle prodotte dalla NBA, e che Masai guarda ossessivamente, a ripetizione, proprio come i bambini fanno con i cartoni animati. E come tutti i bambini inizia a sognare, sognare di essere come Hakeem Olajuwon il nigeriano che dominava a piacimento nella NBA.

Tutti i giorni si reca al piccolo campetto dietro casa, spesso da solo, talvolta con qualche amico a praticare quello sport così bello, ma anche così lontano dalla loro cultura.

All’amore non si comanda e Masai decide di emigrare negli States per seguire la sua incredibile passione. L’ultimo anno di liceo lo passa in una Prep-School di Seattle, prima d’iscriversi al college, precisamente al Bismarck State College, un Junior College in nord Dakota. Non esattamente i Tar Heels di North Carolina. Dopo solo un anno Masai si trasferisce al Montana State University-Billings. Anche in questo caso non una potenza cestistica. Passa un semestre e poi lascia anche il Montana, perché nel frattempo Masai ha realizzato uno dei suoi sogni: diventare un giocatore professionista. Non nella NBA, ma in Europa e anche in questo caso non parliamo di campionati, né di club di particolare prestigio. Lo vedono in Inghilterra, in Belgio, in Svezia.

Dura 6 anni la sua esperienza come pro nel vecchio continente:
Non ero abbastanza bravo per continuare una carriera da professionista, soprattutto in termini economici. Quindi decisi d’iniziare ad assistere ai vari tornei in giro per il mondo”.

L’amore di Masai per il basket non si spegne dunque. Il sogno di arrivare alla NBA, rimane tale, solo non più come giocatore, ma come scout.

Nel 2000 Olumide Oyedeji (avvistato anche a Caserta) era un rookie per i Seattle Supersonics e per migliorare il suo gioco (all’epoca parecchio migliorabile) si era rivolto come molti suoi colleghi a David Torphe, un ex allenatore di high school a capo di un centro di allenamento, il Pro Training Center, abilitato per lo sviluppo di giovani giocatori professionisti, soprattutto provenienti dalla Florida dove ha sede il centro.

Fu così che durante un partita nella Shaw Summer League di Boston dell’Oyedeji, al quale assisteva lo stesso Torphe, si avvicinò a lui un giovane nero, elegante, dall’accento inglese e con un sorriso a dir poco accattivante.

Masai si presentò, ringraziandomi del lavoro fatto con Olumide che era un suo caro amico. Fu molto cordiale e fui felice di lasciargli i miei recapiti, sebbene fossi quasi certo di non rivederlo mai più”.

Passò circa un anno e mezzo, prima che i due si risentissero. Ujiri era nel Regno Unito, ancora come giocatore, ma sapeva che sarebbe stata la sua ultima stagione da professionista e decise di contattare Torphe. Gli Raccontò la sua storia (già allora quantomeno particolare) e della volontà di trovare lavoro negli States, forte della sua convinzione di poter seguire la sua incredibile passione. Ma Masai non era solamente un uomo determinato. Era, già ai tempi, un massimo esperto di campionati europei ed africani, un database umano di giocatori, allenatori e General Managers. Torphe capì che il suo interlocutore era uno diverso dagli altri e lo invitò in America. Avrebbe potuto avere un ruolo per un high school o un college.

I due s’incontrarono alle Final Four NCAA di Atlanta. Masai venne a spese proprie alloggiando da uno dei suoi tanti amici che risiedevano negli U.S.A. Torphe fu rapito dalla facilità con la quale Masai era in grado di stringere relazioni:
In tre giorni, raccolse un’infinità di numeri telefonici ed email, fossero questi contatti di allenatori NCAA o semplici appassionati. Tutti sembravano vedere qualcosa di speciale in lui”.

Quell’estate Ujiri la passò sul divano di caso Torphe in Florida. Arrivò senza cellulare e senza computer, ma in poco tempo riuscì ad entrare nel circuito cestistico di Orlando e fu così che conobbe Doc Rivers, ai tempi allenatore dei Magic e John Gabriel, l’allora G.M. dei Magic.

Gabriel si mostrò interessato al lavoro che Masai stava svolgendo con Torphe e delle sue conoscenze globali. Scrisse il suo numero di cellulare su un foglietto ed esortò Masai a chiamarlo quanto prima.

Il colloquio con i Magic avvenne poche settimane dopo, ma stavolta il risultato fu un bel “no grazie”. Orlando, sebbene interessata, non credeva che un nigeriano, con un breve passato da professionista di basso livello europeo e nessuna esperienza, potesse avere un qualche ruolo all’interno della franchigia.

Ora se c’è una costante nelle grandi storie come questa è che nessuno degli uomini che le fanno si danno per vinti. Figuriamoci uno come Masai Ujiri.

Masai’s Sphere of Influence. E’ questo il titolo del documento che redigono lo stesso Masai e Torphe. Praticamente una panoramica sulle sue capacità, ma soprattutto sui suoi contatti nel mondo. Sembra un’idea pazza quella di ripresentarsi dai Magic con un file di questo tipo, ma il figlio della dottoressa è sicuro di potercela fare.

E ovviamente ce la fa.

Nell’autunno del 2002 Masai Ujiri è ufficialmente un International Scout per gli Orlando Magic. Con un solo problema. Accanto al suo nome c’è scritto unpaid, ovvero non retribuito. I Magic si limitano a rimborsarlo dei viaggi aerei, ma non degli pernottamenti. Niente stipendio. 

Masai era al settimo cielo - Ricorda David Torphe - Io personalmente ero preoccupato, ma lui era fiducioso di poter essere ospitato in quasi ogni parte del mondo. Perché aveva ed ha amici in quasi ogni parte del mondo”.

Ho utilizzato tutti i miei risparmi e tutte le mie conoscenze per svolgere quello che ritenevo fosse il lavoro più dispendioso, per il lavoratore ovviamente, della storia dell’umanità - racconta divertito Masai - Ma sapevo che era la scelta giusta”.

Un giorno in Lituania, il successivo in Francia, poi in Italia, prima di tornare in Florida, via Nigeria. Questa era la vita di Masai. Costantemente in viaggio, condividendo, quando poteva, l’alloggio con altri scout, allenatori, amici e persino giocatori.

Giocatori come Obinna Ekenzie, all’epoca in forze alla Stella Rossa. Una sera, esausto dopo un doppio allenamento, Obinna si addormenta con la porta chiusa a chiave ed il cellulare spento. Al rientro dopo aver assistito ad una partita Masai bussa alla porta e chiama al telefono per un’ora prima di arrendersi e passare la gelida notte di Belgrado davanti casa. Questo curioso aneddoto però Ekenzie non lo hai mai saputo fino ad un paio d’anni fa, quando Masai lo ha confessato durante un camp in Africa. Si perché al mattino Ujiri, per non creare disagio a chi lo ospitava, finse di essere appena arrivato, quando Obinna lo trovò di fronte alla porta della sua abitazione. Anche questo è Masai Ujiri.

Non c’è palazzetto, palestrina, playground che non veda presente lo scout dei Magic, sia che si trovino in Europa o in Africa.

Masai Ujiri è davvero ovunque e conosce la stragrande maggioranza dei giocatori, professionisti e non, dei due continenti. La cosa non passa inosservata, ad una vecchia volpe come Kiki Vandeweghe che decide di assumerlo, stavolta stipendiato, come International Scout per i Denver Nuggets.

In Colorado Masai Ujiri rimane per 4 anni, dal 2003 al 2007, dove si fa apprezzare da tutto lo staff, soprattutto per la sua meticolosa attenzione ai dettagli, ai limiti del leggendario, come ha recentemente raccontato un suo ex collaboratore:

“Una riunione di un ‘ora si trasformava in una maratona di 8-9 ore, soprattutto in vista di trade importanti. Qualcuno ci portava le pizze per cena e quando tutti ci sentivamo di aver concluso, Masai ne usciva con un - Ok, ma cosa stiamo trascurando? - Era incredibile”.

Incredibile come le mail che spediva ai suoi colleghi ad orari improbabili. Si perché Masai è quello che in America viene definito un workaholic, uno che non riesce a non lavorare, a non pensare a come migliorare la sua squadra, anche a discapito del sonno.

Il lavoro svolto per i Nuggets è di livello superiore, così come le sue capacità. Masai è ormai un top scout. Brian Colangelo nel 2008 sa che Ujiri può essere un pedina determinante per il successo dei suoi Toronto Raptors e lo assume come International Scout, prima di promuoverlo l’anno successivo come assistente General Manager.

Masai sa che il suo momento sta per arrivare e quando i Nuggets lo richiamano per sostituire Mark Warkentien nel ruolo di Vice President of Basketball Operations non attende un secondo per accettare l’offerta. Ed il 27 Agosto 2010 il suo sogno diventa finalmente realtà, Masai è un General Manager NBA.

Fin qui, vi abbiamo raccontato una grande storia umana e cestistica, ma quello che rende il tutto ancora più speciale è, come detto, la sua estrema bravura nel suo nuovo ruolo.

Quando prende in mano le pepite, Masai sa già che si troverà di fronte alla sfida della carriera: cedere Carmelo Anthony evitando di condannare i Nuggets ad anni di lotteria. Per chi pensa che sia cosa facile, chiedere a Rob Hennigan neo General Manager dei Magic, che ha dovuto cedere Dwight Howard, ricavandone poco o niente.

Ujiri non solo riesce nel compito, ma per certi versi è addirittura capace di migliorala la squadra, ottenendo dai Knicks giocatori importanti, su tutti Danilo Gallinari, ma che soprattutto si adattano perfettamente alla filosofia di coach George Karl: team-ness, intraducibile se non con un “prima viene la collettività, poi il singolo”.

Non solo. All’inizio della passata stagione Masai ha rifirmato (profumatamente) il suo centro titolare Nenè, per poi cederlo a metà anno ai Wizards in cambio del discusso e altro Javale McGee. Tutta America (compreso chi scrive) criticò duramente la mossa, giudicando il figlio di Pamela al massimo come un giocatore pittoresco, solo per rimangiarsi tutto durante il primo turno dei playoffs, dove Javale ha mostrato sprazzi da Wilt Chamberlain.

Ed ora con il capolavoro di Iguodala i Denver Nuggets sono pronti a scalare l’ovest e se il merito va anche a coach Karl, non vi è dubbio su chi sia l’architetto che ha costruito mattone dopo mattone questa squadra, cambiando la cultura all’interno dello spogliatoio, ma anche dietro le scrivanie del front office, che in passato era stato caratterizzato da conflitti personali che interferivano con gli obiettivi comuni, stimolando tutti dal presidente allo chef.

Ma Ujiri è stato in grado anche di cambiare l’opinione che avevano i tifosi dei Nuggets, un po’ attapirati dopo aver visto che la prima cosa che questo nigeriano, semi sconosciuto ai più, aveva fatto da G.M. era stata cedere il miglior giocatore del club in cambio fra gli altri anche di Timofej Mozgov (un altro che potrà dire la sua nei prossimi anni), più un nome impronunciabile che un giocatore al suo arrivo al Pepsi Center.

Oggi Masai Ujiri è un’icona nella città di Denver e la stima nei suoi confronti è di difficile quantificazione, in tutta la NBA. A differenza di molti dei suoi colleghi, a 41 anni, è giovane per un incarico di questo tipo. Così come non ha un passato da ex giocatore nella lega e non si presenta in ufficio armato di numeri e statistiche da calcolare al fine di trovare la formula perfetta per la sua squadra. No, il nigeriano è un self-made Scout, che ha sviluppato il suo occhio per il talento con anni e anni di duro lavoro.

Masai ricorda il padre che sveglio già molto prima dell’alba e immerso in ore e ore di lettura prima di fare una lunga passeggiata sotto il sole nascente tinto di rosa, nello splendido paesaggio nigeriano:
Io e i miei fratelli lo guardavano attoniti alle 4 del mattino svegliarsi e leggere libri di ogni genere come fosse la cosa più giusta e naturale del mondo. E’ stato lui ad insegnarmi l’importanza del cominciare sempre una nuova giornata con uno scopo, senza sprecarne neanche un minuto.”

Ujiri fa lo stesso, si sveglia alle 5 del mattino e legge fino all’ora dell’allenamento della squadra che raggiunge, al Pepsi Center, ovviamente a piedi.

Ovviamente il nostro non si è scordato le sue origini. Oggi è chiaramente un ambasciatore per quanto riguarda il suo continente. Organizza e presenzia a decine e decine di camp, lavora a stretto contatto con Basketball Without Borders, l’iniziativa della lega per diffondere la pallacanestro in tutto il mondo, e che l’anno passato ha addirittura spostato la sua data d’inizio per non rinunciare alla presenza di Masai impegnato nel suo matrimonio con Ramatu, la moglie e modella con cui è stato fidanzato per anni.

Ma non solo, come molti di questi tempi, Masai è convinto che la Nigeria e parte dell’Africa siano destinati a dare i natali a molti dei giocatori che popoleranno la NBA nel futuro:

“Poter essere nella mia posizione è una grande opportunità per sviluppare il gioco in un continente e in una nazione come quelli da dove provengo. Oggi molti dei ragazzi nigeriani e non che vediamo ai camp, poi riescono ad essere reclutati in college di primo piano - dice Masai - Ma in cuor mio so che molti presto saranno giocatori NBA. Dobbiamo cercare di strutturare ancora meglio l’accesso al basket. Tutti i ragazzini oggi iniziano in maniera naturale con il calcio per poi dedicarsi alla pallacanestro solo da adolescenti. Vogliamo che possano scoprire ed amare la pallacanestro fin da bambini con palestre e allenatori adeguati”.

Ho conosciuto Masai Ujiri all’Eurocamp di Treviso, lo scorso giugno. A differenza di molti dei suoi colleghi, come Kupchak e Nelson, era solo, senza collaboratori al seguito. Mi sono avvicinato presentandomi e lui si è cortesemente alzato stringendomi la mano con energia, ma senza eccessiva veemenza.

Gli ho fatto, ovviamente i complimenti per come aveva costruito i suoi Nuggets e più in generale per la sua storia, fonte d’ispirazione per molti, anche non strettamente legati al basketball. Mi ha risposto con tono calmo, gentile con il suo accento britannico che non ha perso nonostante gli anni che ormai lo vedono americano a tutti gli effetti. Mi ha raccontato che non c’è niente di più gratificante del fare il lavoro che si ama e di come sia importante cercare di raggiungere questo obiettivo. Ed io, ovviamente, ho riposto in accordo con le sue affermazioni.

Mentre stavamo discutendo alla nostra sinistra Evan Fournier stava conclude con eleganza un contropiede da solo contro due difensori. I nostri sguardi vengono, all’unisono, catturati dall’azione, ma quello di Masai è diverso. Il suo sembra davvero amare quello che ha di fronte, rapito come solo una bellezza unica è capace di fare. “Good play” esclama con enfasi ed io, di nuovo, annuisco.

Il caso, per che di questo si tratta, ha voluto che al Draft che si sarebbe tenuto di lì a poco, i Nuggets avrebbero scelto proprio il francese del Poitiers.

Masai Ujiri, la storia fra le storie, il personaggio più unico della NBA.

© Riproduzione riservata
E. Carchia

E. Carchia

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Comments Occorre essere registrati per poter commentare 7 Commenti
  • Whitemamba96 25/08/2012, 17.48 Mobile

    Che storia...sapevo a malapena chi fosse fino a quando ho visto i video su YouTube sui nuggets (Denver nuggets: the association)

  • bgCastle325 24/08/2012, 23.32

    finora tutte le scommesse che ha fatto le ha vinte!! o forse già sapeva che avrebbe vinto.. :) si capisce da come ha guardato la giocata di fournier! non ha scelto all'ultimo momento, come molti gm hanno fatto visto l'abbondanza di talenti a questo draft, lui aveva già scelto!

  • Baker 23/08/2012, 23.30

    Ogni tanto fa piacere potere leggere delle realtà come queste!!! Gran bel personaggio...

  • Manu78 23/08/2012, 22.26

    Grazie per l'ottimo articolo. Gran bella storia...

  • Paolo95 23/08/2012, 21.33

    Grande Masai! Spero che riuscirai a rendere i Nuggets una squadra ancora migliore! Ps: se non sbaglio è stato lui a scegliere sia Lawson con la 18 che Faried con la 22, due ottime scelte! Speriamo che anche Fournier e Miller siano state due scelte altrettanto buone...

  • Djconny 23/08/2012, 21.11 Mobile

    Bellissima storia, c'è tanto da imparare...quando si ha una passione bisogna crederci sino in fondo. Una bella lezione per me stesso che amo qst gioco e non ho mai assecondato la passione nella giusta maniera ed oggi mi trovo a sognare questo mondo dal divano di casa mia.

  • cohexu 23/08/2012, 20.45

    Non pensavo ad una storia del genere, il mio rispetto (capirai) per lui, era già grande.. ma ora..