Talento, umiltà, sangue freddo: Kyrie Irving, il volto del futuro NBA
Analisi su Kyrie Irving, stella dei Cleveland Cavaliers
Nasceva a Melbourne (Australia) il 23 marzo 1992 tale Kyrie Irving. Lo stesso giorno ma dicionnove anni prima era nato Jason Kidd, pietra miliare nel processo di avvicinamento del ragazzo al basket. Kyrie ha avuto modo di seguire Kidd ai Nets quando suo padre, cestista australiano, lo portava nel New Jersey a vivere dopo la morte della madre, avvenimento che segnerà molto la crescita del giovane Kyrie. Alla Continental Airlines Arena, dove il padre lo portava abitualmente, imparava il modo di guardare il gioco di Kidd: sempre sotto controllo, in grado di leggere qualsiasi situazione offensiva e difensiva e saperlo fare.. prima di tutti gli altri. Nel 2010/11 Irving giocava nell'uversità di Duke e l'anno successivo era già in NBA, a Cleveland, dove nella sua prima stagione riceve il premio di “Rookie of the Year”. La maturità del suo gioco è semplicemente unica per un ragazzo di vent'anni: al primo anno nella Lega conosce già quelle “little things”, come le chiamano gli allenatori, che un giocatore normale impara nel giro di anni.
La squadra che lo chiamava al draft non è precisamente lo scenario ideale per emergere in breve tempo per un giocatore normale. Non per Kyrie Irving. Il primo anno registra numeri migliori delle prime stagioni di Chris Paul, Deron Williams e Russel Westbrook e dimostra fin da subito una leadership fuori dal normale. Malgrado intorno a lui il talento non sia molto, chiude la stagione con una media realizzativa elevata (18,5 punti a partita). Il tutto senza un supporting cast eccezionale e senza una spalla offensivamente convincente. Si ricordi che Westbrook ha potuto contare su Durant, Rose su un roster profondo e di talento, Rondo sui “Big Three”, Rubio su Kevin Love. Irving praticamente solo su sé stesso, e per una point guard questo è molto limitante.
Eppure, malgrado la stagione da rookie sia stata entusiasmante, non ha poi fatto tutto il “rumore” di altri giovani al loro primo anno nella Lega. I motivi principalmente sono tre. Il primo è che i Cavaliers erano considerati, fino al suo arrivo, una franchigia morta e sepolta l' 8 luglio 2010, data dell' addio di Lebron, e quindi ci è voluto del tempo per riaccendere l'entusiasmo dei tifosi alla Quicken Loans Arena. La seconda ragione è che Irving si va ad aggiungere ad un'insieme di giocatori non così rari in NBA, quella dei playmaker giovani di età e già dominanti (Paul, Rondo, Williams, Rose, Westbrook, Rubio, Curry). Tra questi, il ragazzo di Melbourne è il meno “commerciale”, quello dalla così detta “marketability” minore, e questo è il terzo motivo.
Infatti il “Dr. K”, soprannome che fa leva sulla somiglianza del conogme con quello di Julius Erving, è un ragazzo diverso dalla comune superstar. E' straordinariamente determinato e umile. Il precoce allontanamento della madre e l'impegno del padre per crescerlo da solo hanno dato a Kyrie una forza particolare: quelle motivazioni a migliorarsi e quella spinta interiore a mettercela sempre tutta che nessun allenatore né contesto cestistico può dare. La sua dedizione al basket è totale e la sua conoscenza del gioco, malgrado la giovane età, è strabiliante. Quest'anno si è infortunato due volte (prima frattura ad un dito, poi alla mascella) ed in entrambe le circostanze il suo rientro è arrivato con largo anticipo rispetto ai consigli e alle prevesioni dei medici. Non ha tempo da perdere per stare soltanto a guardare. Malgrado la mascella non fosse ancora guarita definitivamente, non vuole assolutamente perdere più partite dello stretto necessario e si improvvisa eroe mascherato, scendo in campo con in faccia una vistosa protezione. Tristan Thompson, suo compagno di squadra che aveva in precedenza giocato con una simile “maschera”, ha sottolineato come sia complicato adattarsi all'ingombrante presenza sul viso nelle prime partite. Inutile dirlo, non per Kyrie Iriving, che gioca come al solito ad un'intensità superiore a tutti, senza paura del contatto, malgrado il recente e non del tutto risolto infortunio.
Quest'anno è già andato otto volte oltre i 30 punti e ha deciso diverse gare: un' incredibile statistica fornita dalla ESPN fa notare come Irving abbia giocato 85 gare in NBA, 5 delle quali (il 6% circa) le ha decise segnando allo scadere. Ecco perchè “Mr. Fourth Quarter” è diventato l'appellativo più comune. Kyrie è il secondo miglior giocatore negli ultimi due minuti di partita per efficienza offensiva, dopo Kevin Durant. A febbraio prenderà parte all' All Star Game, prima ancora di avere compiuto i 21 anni di età. Prima ancora di essere legalmente autorizzato ad ordinare una birra in un bar, insomma. Irving è il settimo nella storia a riuscire in quest'impresa, dopo Isiah Thomas, Garnett, Shaq, Kobe, Magic Johnson e Lebron. No, non si entra in un elenco del genere per caso o fortuna.
La sua piaga sono gli infortuni, finora troppo frequenti. Negli Stati Uniti si dice che un attributo delle superstar sia “avere le ossa forti e resistenti”. Non resta che sperare che Irving dimostri di possedere questa non allenabile qualità, e che i recenti infortuni siano soltanto frutto di casualità. Sicuramente, malgrado sia stato spesso fermo ai box, la sua fragilità non condiziona il suo modo di giocare: aggredisce il corpo del difensore, lo spazio e il ferro come Derrick Rose, malgrado una potenza fisica inferiore, e legge le situazioni come Chris Paul. Sta lavorando sulla difesa, decisamente suo tallone d'Achille, e sta cercando di diminuire le palle perse, altro difetto notato da tutti gli scout NBA quando giocava a Duke. Non si dimentichi l'età e la voglia di migliorare.
Con un po' di fiducia in Irving e sperando che gli infortuni non ne minino la carriera, si può comparare la situazione di Cleveland di quest'anno a quella di Oklahoma City nel 2008/09, con Durant (sophomore) e Westbrook (rookie) in rampa di lancio e un contesto da costruire intorno, pedina dopo pedina. C 'è poi chi sostiene che il ritorno di Lebron James ai Cavaliers quando andrà in scadenza contrattuale non sia soltanto un' utopia dei più romantici e nostalgici. E allora, cestisticamente, altro che “mistake on the lake”..