NBA, la rivoluzione
C'è sempre un fatto scatenante in una rivoluzione, talvolta è premeditato, talvolta è del tutto casuale
C'è sempre un fatto scatenante in una rivoluzione, talvolta è premeditato, talvolta è del tutto casuale. In questo caso, la rivoluzione che sta silenziosamente prendendo piede nella NBA è stata scatenata da un Lockout premeditato e da un campionato cinese che ha deciso, casualmente, di accollarsi i giocatori, per così dire, antirivoluzionari.
La rivoluzione NBA 2012: potere al ceto medio, via le nobili superstar, possiamo farcela anche senza di loro. E poi attacchi equilibrati, difese arcigne, suddivisione democratica del merito e tante W. Il sogno di ogni allenatore. Soprattutto di George Karl e Doug Collins che, uno per costa, stanno portando avanti la bandiera della democrazia di squadra. Si perchè i Denver Nuggets e i Philadelphia 76ers non sono strutturate come le vostre normali franchige NBA occupanti i piani altissimi delle rispettive conference, eppure i loro record parlano chiaro.
Ieri notte quelli della città dell'amore fraterno hanno strapazzato anche i Bulls e sono saldamente secondi ad est, con una striscia aperta di 4 vittorie. Statistiche avanzate ci aiuterebbero, ma basta dare un'occhiata ai tabellini per capire come 7 uomini in doppia cifra di media (se contiamo anche Evan Turner con 9.8 punti per gara) ed il tuo miglior marcatore, Lou Williams, che non equivale al tuo miglior giocatore, indiscutibilmente 'Dre Iguodala, siano la formula giusta di un attacco equilibrato che fa contenti tutti. Soprattutto quelli che poi in difesa ci danno di brutto, sentendosi ripagati nell'altra metà campo. Sembra tutto elementare: faccio toccare la palla a più giocatori possibile, così questi sono felici e mi difendono alla morte. Giusto? Sbagliato. Nella NBA non si vince senza superstar. Se poi diamo un'occhiata a ricette recenti si nota che si necessita di minimo due di questi esemplari per un anello.
E allora Philly uscirà al primo turno?
E' possibile, ma ad oggi, in singola serata, hanno dimostrato di potersela giocare con tutti. Anche senza superstar.
Diverso, e per certi versi più divertente, il discorso sui Nuggets.. George Karl lo ha dichiarato apertamente: "Non c'è bisogno di una superstar per vincere un titolo!" e lo ha fatto pochi giorni prima del natale che ha dato via alla stagione, segno che un concetto democatico di squadra lo aveva gia in testa. Anche perchè alcuni giocatori, che per ego e caratteristiche tecniche, di democratico avevano ben poco (vedi Smith J.R. e sorella, Martin Kenyon e Chandler Wilson) sono rimasti bloccati in terra cinese, togliendo lo staff dei Nuggets dall'impiccio della strategia da utilizzare. Anche in questo caso un piano offensivo strutturato bene che pertmette a ben 6 uomini di andare in doppia cifra, ma che soprattutto mette a referto 105.4 punti a serata, l'attacco più prolifico della lega. Di nuovo, più tiri per tutti si traduce in una difesa più sicura e concentrata. Ad ovest la corsa è un po' più difficile, ma a differenza dei Sixers, i Nuggets sembrano maggiormente pronti e non ci sorprenderemmo se facessero strada anche in tarda primavera.
Chissà se un concetto di squadra di questo tipo darà davvero dei frutti in termini di titolo, magari fra qualche anno. Ad oggi dobbiamo rassegnarci, l'MVP delle finali 2012 sarà una superstar (e non è impossibile immaginare chi).
Ma almeno la rivoluzione è inziata.
Poche precisazioni: per superstar intendiamo, un giocatore da 25-30 punti per gara (o i classici 22+10) e soprattutto un contratto da PIL del paese africano a vostra scelta.
Sia Gallinari, che Iguadola possono essere tecnicamente considerati dei giocatori franchigia, ma non delle superstars.
In effetti qualcuno che ha vinto un anello senza superstar c'è: i Detroit Pistons 2004. Ma con 'Sheed era tutta un'altra storia.