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NBA 02/10/2018, 17.52

Situazione di isolamento: ne vale la pena?

Le situazione di isolamento non sono ben viste: ma perché vengono usate? Ne vale davvero la pena?

NBA
Bentornati su una nuova analisi statistica. Durante il mese di ottobre ci concentreremo sulla NBA (in particolare su alcune situazioni di gioco), in modo da dare il tempo necessario ai numeri delle competizioni europee (in avvio in queste settimane) di assumere valori affidabili per future analisi. Detto ciò, oggi parleremo di isolamenti. L’isolamento è una situazione di gioco molto usata in NBA: tale situazione però non è bene vista dagli amanti del gioco. Quest’ultimi affermano che utilizzandolo si snatura il gioco di squadra, il quale risulta sempre e comunque più efficace del talento del singolo giocatore. Ma sarà davvero così? Ovvero, isolare un giocatore porterà in ogni caso a risultati controproducenti per la vittoria? Grazie alle statistiche disponibili sul sito NBA possiamo indagare in tal senso. Prima di partire una precisazione: con isolamento si intendono quelle situazioni in cui un giocatore è lasciato 1vs1 con il suo difensore. Il post, per quanto possa sembra un isolamento, non è contemplato in queste statistiche (ne parleremo prossimamente). Iniziamo osservando la percentuale dei possessi conclusi con un isolamento; in altri termini la frequenza di isolamento:



Osservando la classifica, il valore di Houston sembra anomalo nei confronti delle altre squadre: stacca del 4% la seconda, in una classifica dove le differenze tra le posizioni sono dell’1% circa. In ogni caso, in alto troviamo squadre con giocatori come Harden, Lebron e Westbrook, mentre nelle ultime posizioni troviamo franchigie come Spurs e 76ers, i cui giocatori preferiscono altre situazioni. Da questa classifica iniziamo a intuire quindi che l’isolamento non sia sempre positivo o sempre negativo, ma dipenda dal roster che si ha a disposizione. Osserviamo dunque il seguente grafico:



I Rockets, ancora una volta, si confermano una squadra unica: rispetto alle altre 29 squadre hanno sfruttato davvero tanto l’isolamento, producendo anche una altissima quantità di punti fatti. D’Antoni per molti sarà sempre ricollegato a stili di gioco come “7 second or less” o simili. In realtà però in questa ultima stagione ha adattato il suo stile di gioco per permettere alla sua coppia di point guard, Harden e Paul, di rendere al meglio. Per fare questo ha abbassato il ritmo di squadra, permettendo ai due di giocarsi i loro letali 1vs1 in totale tranquillità: a conferma di ciò Houston è 14° nella classifica del Pace, quando invece tutte le precedenti squadre di Mike (Phoenix, New York e i Lakers) si sono ritrovate quasi sempre nelle prime 3 posizioni e comunque mai sotto la 5° piazza nella classifica del Pace. Questo certifica come l’ex play dell’Olimpia Milano abbia adattato il suo gioco per far rendere al meglio Harden e Paul. In seconda e terza posizione troviamo invece i Thunders (vista la presenza di Westbrook, George e Anthony) e Cleveland (mi sembra superfluo specificare il motivo). Ma abbandoniamo i numeri assoluti e passiamo ai relativi:



Utilizzando frequenza di isolamento e punti per possesso il grafico diventa sicuramente più leggibile e interessante. Houston si conferma prima della classe, anche in termini di produzione per possesso (la distanza dalla media di lega è spaventosa). Utilizzando i punti per possesso scopriamo anche che Cleveland e i Thunders hanno ottenuto di meno di quanto sembrasse dal precedente grafico. OKC addirittura sta al di sotto della media di lega in termini di punti per possesso. Spostandoci poi verso sinistra sulle ascisse troviamo squadre con punti a possesso minori; questa tendenza (confermata anche dalla curva di tendenza) è con tutta probabilità dettata dal fatto che franchigie come i 76ers o gli Spurs, non avendo giocatori efficaci in isolamento, tendono ad utilizzarlo solo in situazioni di emergenza (per esempio a giochi rotti), aumentando quindi la difficoltà globale di gestione dell’isolamento stesso. Confrontiamo ora la frequenza di isolamento con l’Offensive Rating.



La tendenza, ancora una volta, mostra un andamento simile. Ciò conferma che chi utilizza assiduamente l’isolamento, ottiene benefici: Houston, Cleveland o i Thunders hanno mediato (chi più, chi meno) Offensive Rating positivi. Badate bene: con questo grafico non voglio affermare che bisogna utilizzare l’isolamento sempre e comunque per ottenere Offensive Rating elevati. Piuttosto volevo dimostrare che le squadre con frequenze di isolamenti alte hanno comunque ottenuto benefici. Golden State per esempio ha mediato lo stesso Offensive Rating di Houston, pur sfruttando in maniera totalmente differente gli isolamenti. Questo perché se i giocatori di Houston si trovano più a loro agio in isolamento, quelli di GS performano di più nel sistema di gioco di Kerr, fatto di tagli e movimenti senza palla. Non considerare a priori quindi l’isolamento perché “esteticamente” brutto o perché lede lo spirito del gioco di squadra non è una scelta saggia. Bisogna valutare il tutto in base ai giocatori a disposizione. Per ultimo dunque, osserviamo il grafico relativo ai giocatori:




Se facciamo un confronto tra i grafici di squadra e quello dei giocatori, Harden risiede nella stessa posizione della sua squadra. Primo per frequenza di isolamenti, secondo in punti per possesso (solo perché Jokic ha ottenuto una media di punti per possesso impercettibilmente maggiore, ma comunque a fronte di una frequenza ben minore di isolamenti). Il Barba e Paul assieme hanno giocato più del 50% degli isolamenti di Houston. Penso quindi che questo sia il grafico migliore per spiegare perché D’Antoni abbia voluto puntare sui loro isolamenti. Harden è un giocatore unico in isolamento, quasi mortale, e non sfruttare questa sua abilità risulta controproducente. I Rockets sono costruiti attorno a questi due e risultano perfetti per questo tipo di gioco. Il trio di OKC non riesce a raggiungere il duo di Houston né per frequenza né per punti per possesso, per esempio. In definitiva, la risposta alla domanda di inizio articolo non potrà mai essere un sì o un no, perché, come abbiamo constatato, la funzionalità o meno degli isolamenti dipende dai giocatori di cui si dispone. Nel caso ci siano le condizioni necessarie per sfruttare al meglio l’isolamento, è doveroso quantomeno esplorare tale situazione.

Articolo di Luca Cappelletti
© Riproduzione riservata
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Comments Occorre essere registrati per poter commentare 5 Commenti
  • Cappe 03/10/2018, 08.38
    Citazione ( David 02/10/2018 @ 20:31 )

    Bravissimo anche stavolta Luca.

    Oh, ieri non riuscivo a commentare. Grazie!

  • David 02/10/2018, 20.31

    Bravissimo anche stavolta Luca.

  • PaulAuster 02/10/2018, 20.30 Mobile
    Citazione ( Mike8DAntoni 02/10/2018 @ 18:21 )

    Non sono certo un autorità nella tattica, ma ricordo che sostenevo questa tesi già quando nell'NBA si puniva l'uso della zona con un fallo proprio per favorire gli isolamenti. Con alcuni amici che, invece, asserivano questi fossero funzionali allo ...

    Scusa sei Mike d'Antoni, coach che piu' di ogni altro utilizza gli iso e dici che non sono ottimali allo sviluppa del gioco? Deve esserci uno scollamento tra il tuo pensiero e il tuo nickname.

  • Mike8DAntoni 02/10/2018, 18.21

    Non sono certo un autorità nella tattica, ma ricordo che sostenevo questa tesi già quando nell'NBA si puniva l'uso della zona con un fallo proprio per favorire gli isolamenti. Con alcuni amici che, invece, asserivano questi fossero funzionali allo spettacolo

  • TheBigO 02/10/2018, 18.20 Mobile

    Puntata denumerata