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NBA 21/04/2016, 15.12

538: Gli hater di Kobe sono fermi al 2008

La traduzione di 538 parla di Kobe Bryant e dell'evoluzione delle statistiche avanzate nel corso della carriera del Mamba

NBA

Mercoledì scorso Kobe Bryant ha giocato la sua ultima partita, congedandosi alla grande con 60 punti segnati (seppure con 50 tiri dal campo). È stato Kobe allo stato puro: si è preso i titoli in prima pagina anche se nel frattempo i Golden State Warriors stavano stabilendo il record NBA assoluto per numero di vittorie in stagione regolare. Kobe non si sarebbe certo potuto ritirare nel silenzio generale.



Per un malato di statistiche come me seguire la carriera di Kobe è stato affascinante, perché è coincisa quasi perfettamente con l’esistenza delle statistiche avanzate relative alla pallacanestro. Quando Bryant ha fatto il suo debutto nella NBA, il 3 novembre 1996, la disciplina (se si poteva definire tale) era in uno stato embrionale. Dean Oliver e John Hollinger gestivano proto-blog in sostanziale anonimità; il forum della APBR (una iniziale piastra di Pietri di brillanti appassionati di basket) non sarebbe diventato una piattaforma di discussione collettiva per almeno altri quattro anni; non esisteva Basketball-Reference.com, il Player Efficiency Rating, la Sloan Conference e Nylon Calculus. Nelle ultime 20 stagioni, mentre la carriera di Kobe seguiva il suo corso fra successi e grandi dolori, gli analytics facevano lo stesso, con il primo a fungere da riferimento (e parafulmine) per i secondi.

Non sempre le statistiche sono state clementi con Kobe, men che meno nella sua perpetua e mitica lotta contro Michael Jordan. Forse in un’epoca precedente il paragone sarebbe stato meno duro, per via di un analogo numero di anelli e di una leggera somiglianza statistica, ma con le statistiche avanzate il parallelo è stato decisamente smontato (queste hanno praticamente iniziato a ricoprire il ruolo dei vecchi che al bar ricordano ai “ragazzi di oggi” quanto forti fossero i giocatori del passato). Kobe non è stato per niente efficace come Jordan, ricordano; probabilmente non è mai stato neanche importante come MJ, checché ne dicano i titoli vinti. Allo stesso modo pare che i numeri abbiano sempre trovato qualcuno a cui affibbiare l’etichetta di “Nuovo Jordan”, da LeBron James a Dwyane Wade, ma anche Tracy McGrady. Come se inseguire l’ombra di Jordan non fosse già abbastanza arduo, quell’ombra era anche accompagnata dal freddo e spietato plotone dei dati.

Non ha aiutato il fatto che le statistiche avanzate legate alla pallacanestro abbiano avuto la loro fase di bastian contrario proprio mentre Kobe era al suo apice. Ogni movimento sabermetrico passa per un periodo in cui le vacche sacre dello sport in analisi sono scrutate con la lente, e per il basket questo è successo verso la metà degli anni 2000 (un’epoca anche conosciuta come la Era Hollinger), ossia quando Bryant era l’alfiere di buona parte della sapienza cestistica del tempo; una sapienza mancante di una verifica rigorosa. Al tempo andava di moda scovare le perle nascoste, i vari Carl Landry, Gerald Wallace o, ehm, Landry Fields, che non apparivano spesso su SportsCenter ma che offrivano silenziosamente un efficace contributo. Ossessionati dalle percentuali e non dal contesto, molti addetti ai lavori sminuivano il valore degli enormi punti di forza di Kobe (la sua infaticabile e inesorabile vena realizzativa) e si azzardavano a suggerire che un giocatore medio avrebbe segnato gli stessi punti se avesse avuto lo stesso numero di opportunità (N.B.: questa è ed è sempre stata una follia). Altri esperti sollevavano questioni più sensate circa la reputazione di Kobe sui tiri importanti e sulla difesa arcigna: questi aspetti sono quelli che più interessano i tifosi per quanto riguarda Bryant e i giocatori del suo calibro. È stato un momento fondamentale per le statistiche sulla pallacanestro, e forse gli attriti tra Kobe e il circolo di adepti degli analytics era semplicemente l’inevitabile effetto collaterale.


In ogni caso la Questione Kobe ha senza dubbio contribuito alla crescita delle statistiche avanzate. Piuttosto che fingere che il basket fosse il baseball e fissarsi su narrazioni superficiali circa la presunta inefficacia di alcuni campioni, la seconda ondata degli strumenti di analisi ha cominciato a fare luce sui punti oscuri della prima (nello specifico sugli aspetti dinamici delle partite, come il tangibile impatto in campo di un giocatore, la maniera in cui diverse abilità si complementano a vicenda e quale valore dovrebbe essere dato a ogni singolo movimento in campo). Come sottoprodotto c’è stato un ritorno del vecchio assunto secondo cui il carico realizzativo conta, e pochi giocatori nella storia della NBA hanno portato su di loro un peso offensivo più pesante di quello di Bryant, specialmente nei suoi anni migliori.


È ovvio che alcune fra le nuove statistiche hanno confermato i vecchi dubbi intorno al gioco di Bryant. Per esempio, malgrado fra il 2000-2001 e il 2013-2014 sia stato votato per 11 volte nel primo o nel secondo quintetto difensivo della NBA, secondo il Plus-Minus Reale in quel lasso di tempo ha fatto parte del 41esimo percentile di tutti i difensori. Tuttavia altre (come il PMR offensivo, che lo colloca al quarto posto assoluto) hanno provato che i veri vantaggi del gioco di Bryant erano coperti da parametri da tabellino troppo accecati dalla percentuale reale. Se durante gli anni d’oro di Bryant fossero esistite le statistiche più all’avanguardia di oggi (come la capacità di SportVU di rilevare la difficoltà di un tiro, e non solo l’efficacia), saremmo in grado di porci domande come “È Kobe il miglior realizzatore di tiri difficili di sempre?”.


Ci sono molti motivi per cui dobbiamo ringraziare Bryant per gli strumenti che abbiamo oggi, capaci di farci apprezzare a pieno il contributo di campioni (come Russell Westbrook) che sarebbero stati stroncati durante la prima fase delle statistiche avanzate applicate alla pallacanestro, perché almeno in parte quegli strumenti sono stati sviluppati per capirci qualcosa di Kobe.


Mentre si chiude il morboso capitolo finale della carriera di Kobe, anche gli analisti più devoti alle statistiche devono riconoscere la sua grandezza storica. Secondo il Value Over Replacement Player, una misura del contributo totale che prova a emulare il PMR per le stagioni del passato (per i più tecnici: il VORP usa il Box Plus/Minus come input, il quale è predicato sulla stima degli effetti in campo di un giocatore per le stagioni prima dell’avvento dei dati play-by-play), Bryant si piazza al quindicesimo posto tra tutti i giocatori di stagione regolare della NBA dal 1973-1974 e all’ottavo posto per quanto riguarda i playoff. Tra l’altro in un recente sondaggio che ESPN ha condotto tra gli esperti della NBA, Kobe si è guadagnato il dodicesimo posto assoluto.


Queste posizioni forse non sono quelle che molti osservatori assegnerebbero al Black Mamba, tuttavia rappresentano una sorta di compromesso tra il punto di vista più tradizionalista e la prima epoca delle valutazioni sabermetriche, in cui Bryant è stato criticato aspramente per le sue percentuali relativamente basse. Bryant aveva i suoi difetti, e certamente non era Jordan, ma è stato un giocatore di indiscutibile importanza storica. Il suo curriculum parla a sufficienza per quanto riguarda le questioni di campo, ma per gli statistici la carriera di Kobe è stata un riferimento per seguire l’evoluzione nel tempo degli analytics legati al basket, sia come reazione alle sue prestazioni, sia per il tentativo di cogliere il senso profondo di quelle stesse prestazioni.

Traduzione di Giacomo Sauro
Articolo di Neil Paine
Titolo: Kobe haters are stuck in 2008

© Riproduzione riservata
G. Sauro

G. Sauro

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Comments Occorre essere registrati per poter commentare 13 Commenti
  • thevally 22/04/2016, 00.44 Mobile

    Nonostane adoro le statistiche e credo che siano un strumento fantastico per capire ancora meglio il gioco, però tolgono al basket anche quel romanticismo che lo rende ancora più bello come sport. Comunque ottima traduzione come sempre d'altronde.

  • AleRoggi 21/04/2016, 19.29 Mobile

    Poi si renderanno conto che segnare un tiro in completo hangover dopo 4 bottiglie di Jack Daniels é la cosa più difficile del mondo e salterà fuori che Ty Lawson é il migliore giocatore della storia

  • HisAirness 21/04/2016, 19.23
    Citazione ( EddieFlorio 21/04/2016 @ 16:29 )

    Qualcuno è riuscito davvero ad andare oltre la terza frase? Respect per voi.

    sei fermo al 2008

  • Lakersthebest 21/04/2016, 19.21 Mobile
    Citazione ( EddieFlorio 21/04/2016 @ 16:29 )

    Qualcuno è riuscito davvero ad andare oltre la terza frase? Respect per voi.

    Penso chiunque abbia aperto questo post altrimenti si può tranquillamente limitarsi a ignorare la notizia.

  • Lakersthebest 21/04/2016, 19.12 Mobile

    Articolo interessante, alla fine gli hater possono continuare a criticarlo quanto vogliono ma Kobe è leggenda!

  • andrebott 21/04/2016, 19.08

    Lo ammetto sono uno che odia con tutto il cuore le statistiche e soprattutto chi ne fa un uso smodato, ma inquadrare la carriera di Kobe in base a queste secondo me è davvero ridicolo e fuori luogo!

  • PROFETA 21/04/2016, 18.12

    Analogo numero di anelli?

  • dariosk 21/04/2016, 17.46

    x chi è interessato alla questione, consiglio di leggere anche questo [ link ]

  • EddieFlorio 21/04/2016, 16.29

    Qualcuno è riuscito davvero ad andare oltre la terza frase?
    Respect per voi.

  • LelouchViBritannia Account Verificato 21/04/2016, 16.28 Mobile

    Giacomo sauro se leggi..sappi che le traduzioni che fai sono tanta roba

  • UnrealFriend 21/04/2016, 15.59

    Bell'articolo. Molto colorato.

  • Yaomingmania 21/04/2016, 15.30

    confermo, disapprovo.

  • Daca 21/04/2016, 15.20

    Marimba disapproves.