Le Fatiche del Re: come LeBron James ha cambiato il proprio gioco per salvare i Cavs
Il mercoledì tornano puntuali le traduzioni di Grantland. Oggi si parla di LeBron James
Nella traduzione di oggi di Giacomo Sauro da Grantland si parla di LeBron James. Il titolo dell'articolo di Kirk Goldsberry è "The King’s Burden: Saving the Cavs Has Changed LeBron James".
Sabato sera (9 maggio 2015, NdT) i Cavaliers erano sull’orlo del baratro: sotto 2-1 nella semifinale della Eastern Conference e con un’importante partita in trasferta a Chicago da giocare. Fortuna che dalla loro avevano anche il miglior giocatore al mondo, quello che negli ultimi anni ha portato la propria squadra per quattro volte di seguito alle finali NBA. LeBron James si è messo all’opera, e Cleveland è tornata ad avere il controllo della serie e a sperare nella finale, che sarebbe anche la quinta consecutiva per una squadra guidata da LeBron.
In gara 4 James ha messo a segno uno dei tiri più importanti della sua vita. Allo scadere, dall’angolo, cadendo all’indietro: partita vinta e serie pareggiata.
Quella giocata, voluta da LeBron stesso, potrebbe anche essere il più grande punto di svolta dei playoff a Est. È stato proprio il tipo di tiro e di canestro che ci si aspetta dal miglior giocatore al mondo. Ma non è finita lì. Martedì (12 maggio 2015, NdT) James ha giocato magnificamente, arrivando al ferro a piacimento e, per la prima volta nella serie contro i Bulls, segnando più della metà dei tiri presi.
Prima di gara 5 James stava giocando una serie al di sotto dei propri standard. Sarà stato per via della difesa arcigna di Jimmy Butler o per qualche altra ragione, fatto sta che era una macchina da palle perse con un piazzato sbilenco.
Nell’epoca post Michael Jordan, James è stato il giocatore di riferimento della NBA. È così tanto tempo che è a un livello spaziale che è difficile concepire la sua mortalità cestistica, perché come si fa a criticare un giocatore che fa tutto così bene? Che cosa vuoi dire a un giocatore capace di finire a 38-12-6 una partita contro i Bulls? Padre Tempo è però implacabile, e sebbene James continui a sbalordire, sul parquet il suo splendore non è più abbagliante come un tempo, specialmente dal punto di vista realizzativo.
Le prime quattro partite della serie contro i Bulls forniscono un quadro perfetto dei sottili segni di decadimento che filtrano dalle statistiche di James. In gara 1 ha tirato 9 su 22, in gara 2 13 su 29, in gara 3 8 su 25 e in gara 4 10 su 30. Per uno che ha messo su un impero grazie all’altissima percentuale di conversione, non segnare la metà dei tiri presi in quattro gare è senz’altro degno di nota. Tuttavia queste insolite percentuali non si limitano alle semifinali della Eastern Conference, ma ci raccontano del grande cambio che è avvenuto nella modalità in cui James mette a segno i canestri. LeBron tira il piazzato con percentuali nella media, e ci si affida sempre di più.
Nella serie contro Chicago James ha segnato 38 dei 64 tiri presi entro i 2,5 metri dal canestro, il 59% (quando la media della lega per questa distanza si aggira intorno al 55%), mentre dai 2,5 metri dal canestro in poi ha tirato 16 su 66, per la percentuale da incubo del 24% (soprattutto se si pensa che per quella distanza la media NBA è del 37%).
Entro i 2,5 metri dal canestro in questi playoff James ha segnato più di chiunque altro eccetto Blake Griffin, però dalla media distanza sta tirando con il 35% e da dietro l’arco con un imbarazzante 16%, il che lo fa posizionare all’ultimo posto tra i 48 giocatori che hanno tentato almeno 25 tiri da tre nella postseason.
Nonostante questa discrepanza appaia insolitamente accentuata, il tema dentro/fuori è ricorrente. Passato il giro di boa della carriera, questo è un aspetto chiave da osservare per quanto riguarda LeBron: proprio quando il piazzato dovrebbe diventare più affidabile, accade esattamente l’opposto.
LeBron James ha una storia irresistibile: prima Mr. Basketball dell’Ohio, poi il giocatore di pallacanestro liceale più idolatrato dell’epoca moderna, infine una parabola di redenzione alla Guerre Stellari fra Cleveland, Miami e ancora Cleveland. Il ragazzo ne ha da raccontare, diciamo così.
C’è però un’altra storia che concerne LeBron James ed è scritta con la sintassi delle percentuali al tiro, che seppure non siano una scienza esatta, la loro trama la sanno spiegare. Per noi che abbiamo visto le percentuali al tiro di James aumentare per tutto il corso della carriera, le statistiche della stagione regolare 2014-2015 fanno suonare un piccolo campanello d’allarme.
(Foto: Via Grantland)
Per i primi dieci anni di carriera la percentuale al tiro di James è stata sempre in ascesa. Nel 2003-2004, al suo primo anno, tirava solo con il 42%, per salire al 47% nella stagione successiva. Incredibilmente poi questa percentuale è aumentata ogni anno, tranne uno, fino alla stagione scorsa, in cui James ha tirato con un impressionante 57%, il massimo mai raggiunto da lui. Negli ultimi venti anni, a parte James, solo due giocatori hanno segnato almeno 25 punti a partita mantenendo una percentuale al tiro almeno del 55%: Amar’e Stoudemire e Shaquille O’Neal, entrambi al loro apice.
James c’è riuscito nelle due stagione che hanno preceduto quest’ultima, in cui la sua percentuale è scesa fino al 49%, il minimo per lui dalla stagione 2007-2008, quando era ancora lontano dal vincere il titolo NBA.
Assomiglia molto a un crollo verticale. Uno dei principi fondamentali delle statistiche legate alla pallacanestro insegna che più tiri portano a percentuali più basse, e tutti i numeri di James indicano una cosa che potremmo chiamare le Fatiche del Re. Quest’anno, su 36 minuti James ha tirato di più, anche in proporzione al resto della squadra, rispetto a qualsiasi sua stagione a Miami. Dite pure ciò che volete su Kyrie Irving e Kevin Love, ma questi numeri rivelano che quest’anno a Cleveland James è stato il pilastro della squadra a un livello mai raggiunto nei suoi anni in Florida, e ora che Love è fuori dai giochi sta diventando sempre più così. In realtà è perfettamente nell’ordine delle cose: LeBron è tornato in Ohio per diventare una fabbrica.
Tuttavia i numeri che abbiamo davanti agli occhi (specialmente il 16% da tre) non possono essere spiegati solo dalle Fatiche del Re. La media della lega al tiro è del 45%, quindi con il 57% James era super efficace, con il 49% no. Che cosa è cambiato? Beh, un po’ tutto. Da quando lo scorso luglio James ci ha lasciati a bocca aperta, tutta la sua realtà cestistica si è completamente trasformata. In particolare ci sono due tendenze che sembrano indicare che i suoi migliori giorni come realizzatore siano ormai passati.
Tendenza preoccupante numero 1: peggioramento da vicino
Per cercare qualche numero che riassuma la strapotenza realizzativa di LeBron basta guardare le due stagioni precedenti a questa e la maniera soprannaturale in cui dominava l’area pitturata. Negli ultimi suoi due anni a Miami James è stato per distacco il miglior realizzatore in area, sia per quantità sia per qualità.
Durante la stagione 2012-2013, chiusa con la vittoria finale, è riuscito non si sa come a essere primo in tutta la NBA per punti segnati e percentuali al tiro entro i 2,5 metri dal canestro. Se volete rileggete di nuovo quest’ultima frase. Se qualcuno mai dovesse ripetere una cosa del genere dovrebbe auto-considerarsi il giocatore con l’attacco più dominante della lega. Non c’è però bisogno che tratteniate il respiro, perché da quando, nel 1996, la NBA ha iniziato a registrare le posizioni dei tiri solo due giocatori possono vantarsene (tra quelli con almeno 150 tentativi entro i due metri e mezzo): James nel 2012-2013 e O’Neal nel 2000-2001.
Incredibilmente la scorsa stagione James è quasi riuscito a ripetersi, se non fosse che l’ascendente Griffin l’ha superato di poco per produzione totale di punti dalla brevissima distanza, seppure neanche lui ha potuto avvicinarsi alla ridicola percentuale di LeBron: 75%. Nel corso della stagione 2013-2014, 99 giocatori hanno tentato almeno 300 tiri entro i 2,5 metri dal canestro, e solo uno ha convertito più del 70% di quei tiri. James ne ha convertito il 75%.
Dite quello che vi pare sull’importanza crescente del tiro da tre punti, ma una fonte di reddito sicura nella NBA rimane ciò che si raccoglie vicino al ferro. Da questo punto di vista James al suo massimo era una mietitrebbia.
(Foto: Via Grantland)
Ora però gli ingranaggi della macchina iniziano a incepparsi, come in tutti gli strumenti meccanici con il tempo, quindi il monopolio nel pitturato di LeBron era destinato a non durare, e forse non sorprende che sia finito proprio quest’anno. Unite il cambio di ambiente al logorio e all’età e vi accorgerete che le statistiche di LeBron da vicino al canestro sono passate dall’essere clamorose all’essere semplicemente buone. Quest’anno James è sesto per percentuali e produzione media a partita dalla brevissima distanza. Rimangono comunque numeri invidiabili, oserei dire d’élite, ma ciò non toglie che questi peggioramenti siano sintomatici. D’altronde si sa che gli uomini di trent’anni sono meno dominanti fisicamente dei ragazzi di venti.
Tendenza preoccupante numero 2: più piazzati, meno precisione
L’anno scorso James ha ripartito quasi precisamente i tiri: metà li ha presi entro i due metri e mezzo dal canestro e metà dai due metri e mezzo in poi. Quest’anno invece la parte del leone la fanno i tiri da fuori.
A volte le percentuali dal campo ci dicono più delle preferenze del tiratore che della sua abilità (si veda DeAndre Jordan), e allo stesso modo le grandi variazioni da un anno all’altro nelle percentuali al tiro di un giocatore hanno più a che vedere con variazioni nella scelta dei tiri piuttosto che con lo stato di forma o con le capacità. La maniera migliore con cui un tiratore può migliorare le percentuali è diminuire la dipendenza dai tiri piazzati e aumentare l’attività nei pressi del ferro. Tuttavia, durante il suo primo anno dopo il ritorno a Cleveland, James ha fatto l’esatto opposto, aumentando i tiri da fuori a spese del suo strepitoso gioco interno.
(Foto: Via Grantland)
Da un po’ di anni il tiro dalla media distanza preferito da James è quello dal mezzo angolo sinistro, da dove i giocatori NBA segnano il 40% dei tiri che tentano. Lo scorso anno James ha avuto un formidabile 47% da questa posizione, mentre quest’anno la percentuale è calata fino al 34%, per una delle variazioni più pronunciate nella sua mappa di tiro.
Un’altra variazione in corso nelle abitudini al tiro di LeBron riguarda il tiro da tre, perché come il resto della NBA anche lui si è innamorato delle triple. In questa stagione il 27% dei tiri totali che si è preso è stato dietro l’arco (massimo in carriera); tre anni fa, durante la stagione che si sarebbe conclusa con il primo titolo, questa percentuale era del 13%. Tuttavia, malgrado questo novello entusiasmo verso i tiri dalla lunga distanza, James in stagione regolare è stato un tiratore di triple normale, mentre nei playoff è sensibilmente sotto media. Con la crescita della sua affinità con i tiri da tre e la diminuzione della sua presenza vicino al canestro, il Re incute meno paura.
In ogni caso, soltanto perché ci sono alcuni segnali di stanca non bisogna andare nel panico. James rimane un realizzatore straordinario, e tutti quelli che cercano di descrivere gli effetti che provoca sul parquet con le sole statistiche offensive individuali segue la direzione sbagliata. Parte del modo in cui James ha dato nuova linfa al concetto di stella NBA ha a che fare con una nuova maniera di giocare di squadra. LeBron rende migliori i compagni, e il suo impatto non è mai stato e mai sarà spiegabile con una singola riga statistica in un tabellino.
Ci sono molte spiegazioni al fatto che LeBron James rimane una sorta di vero lievito NBA; trovarsi in quintetto con lui già fa di te un migliore giocatore di pallacanestro. Chiedete pure a James Jones, J.R. Smith, Timofey Mozgov o qualsiasi altro comprimario che è improvvisamente diventato più decisivo dopo essersi trovato in campo nella stessa squadra di James.
Non solo è uno dei giocatori più temibili del pianeta dal punto di vista offensivo, ma è anche uno dei migliori creatori di gioco. Questa affermazione immortala la grandezza di LeBron, tuttavia anche il playmaking subisce l’usura del tempo.
Se James ci ha mostrato qualcosa, nelle ultime dieci stagioni abbondanti, è che è disposto e capace di evolversi come nessun altro, e non è un caso che abbia quattro titoli di MVP a dimostrarlo. Visti i grandi cambiamenti nella sua vita, non sorprende che questa stagione le sue prestazioni siano calate, e se questo per voi è un anno sabbatico, allora un futuro quinto MVP non è un’ipotesi così peregrina.
Mentre James affronta l’ennesima lunga postseason, ci sta anche offrendo un tacito seminario sull’erosione della grandezza giovanile. Sulla vostra guida TV ci potrà pure essere scritto “Semifinali della Eastern Conference” ma il sottotesto è “Grande uomo che cerca di superare i primi segni di declino”. Con lo spegnersi del suo atletismo più unico che raro, LeBron dovrà girare alcune viti per mantenere in essere il suo regno. Può sembrare desolante detta così, ma sono molti gli esempi di superstar NBA che hanno modificato il proprio gioco per provare almeno a distrarre Padre Tempo.
Sapersi reinventare è un prerequisito per la grandezza NBA, oltre a essere il biglietto da visita di LeBron James. Se siete in attesa di sapere cosa riserverà il futuro, vi potrà essere utile tornare all’estate del 2011, quella in cui un frustrato James passava il tempo a Houston a prendere lezioni da Hakeem Olajuwon.
La stagione seguente James si è presentato al via con un bagaglio di fantastici movimenti in post che hanno ridotto drasticamente le conclusioni da tre, per quella che sembra la trasformazione più importante della sua carriera. È stato capace di trovare nuovi modi per arrivare comodamente al tiro da vicino negli attacchi a metà campo, aiutando contestualmente la sua squadra a raggiungere il traguardo più grande per la prima volta in carriera.
(Foto: Via Grantland)
I movimenti imparati da Olajuwon potrebbero tornare molto utili nei prossimi anni. Se si tratta di trovare buoni tiri in area è probabile che James non potrà più contare come un tempo sulle penetrazioni devastanti contro la difesa schierata, ma potrebbe benissimo battere l’avversario dal post sul lato sinistro un’azione dietro l’altra. Chiedete pure a Jimmy Butler.
È possibile che James non sia più dominante come qualche anno fa ma è chiaro che, seppure al 90%, ha sempre il potenziale per essere il miglior giocatore in una squadra da titolo.
Osservare le superstar modificare il proprio gioco per far fronte alla diminuzione di atletismo è una delle cose più interessanti, forse il loro aspetto più umano. Michael Jordan e Kobe Bryant sono ricorsi al fadeaway, Tim Duncan alla difesa e a un minutaggio minore. Come sarà il LeBron James del crepuscolo? Quante altre ore di magia gli rimangono? Forse la cosa migliore è mettersi comodi e godersi il tramonto.
Traduzione di Giacomo Sauro
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