Discepoli di Pop e del Maestro Zen: è il momento di valutare correttamente i coach NBA
Come ogni mercoledì torna una traduzione dal sito Grantland. Oggi si parla di allenatori
Torna una nuova traduzione dal sito Grantland ad opera di Giacomo Sauro. L'articolo tradotto è di Kirk Goldsberry dal titolo "The Sons of Pop and the Zen Master: It’s Time to Properly Measure the Value of NBA Coaches".
Le squadre della NBA sono sempre più dipendenti dal tiro da 3 punti, ed è un fatto risaputo ormai. Per soddisfare questa dipendenza è cambiato totalmente il modo di gestire gli attacchi: fuori i mangiapalloni e dentro i passatori.
(Foto: via Grantland)
La verità celata circa le triple nella NBA è che queste hanno bisogno di cooperazione. Se per i canestri da 2 punti la percentuale di assistenza è del 52%, per i tiri da 3 la percentuale sale all’84%. Insieme al crescente appetito delle squadre della lega verso il tiro da dietro l’arco, anche i passaggi devono salire di livello. Muovere la palla non è mai stato così importante, anche perché i sistemi che riescono a far girare il pallone con efficacia non sono mai stati così vincenti.
Martedì (3 marzo 2015, NdT) i Denver Nuggets hanno esonerato Brian Shaw. Non mancano gli indicatori che illustrino i fallimenti di Denver: i Nuggets sono 24esimi per efficacia offensiva e 25esimi per efficacia difensiva (tra l’altro, viste anche le tendenze di cui sopra, il fatto che siano ultimi in efficacia da 3 punti appare particolarmente rilevante).
(Foto: via Grantland)
In totale i Nuggets mettono a segno un misero 31,3% delle triple tentate. Per capire quanto è bassa questa percentuale pensate che, nella classifica di ESPN sull’efficacia da 3, su 103 giocatori qualificati (cioè che abbiano almeno un tiro da 3 a segno a partita di media) solo 5 tirano peggio. Percentuale piuttosto bassa, quindi.
(Foto: via Grantland)
È ovvio che per vincere nella NBA servono i grandi giocatori, ma poiché l’ossessione delle squadre per le triple e le spaziature continua ad aumentare, aumenta anche l’importanza di avere in panchina una mente tattica. Dopotutto le difese non sono così bramose di elargire tutti questi tiri da 3 con i piedi a terra. Tuttavia, se l’intellighenzia della NBA è abituata a sviscerare gli effetti che i campioni producono sul campo, dall’altra parte è molto meno ansiosa di esaminare gli effetti profondi che gli allenatori e i loro sistemi producono nei confronti di quegli stessi campioni.
Nessuno conosce il mondo degli allenatori come Warren LeGarie, un agente che rappresenta sette capo allenatori NBA più molti altri potenziali allenatori. Ho chiesto a LeGarie di spiegarmi il rapporto tra la chiara evoluzione stilistica degli attacchi e i, meno ovvi, cambiamenti del mercato degli allenatori.
“In queste ultime due stagioni la NBA e il suo stile di gioco sono decisamente cambiati in meglio, basti guardare il dominio degli Spurs sugli Heat nelle scorse finali; chi ha vinto sono stati gli appassionati e gli allenatori che giocano in quella maniera”, mi ha detto LeGarie. “L’era delle superstar, che ha dominato questo sport e occupato enormi porzioni di spazio salariale per quasi tutti gli ultimi 10 anni, sembra finalmente destinata a fare la fine dei dinosauri”.
♦♦♦
Mike Budenholzer e Shaw hanno ottenuto il loro primo incarico come capo allenatori nell’estate del 2013. Prima di approdare ad Atlanta Budenholzer ha scritto una tesi sull’egualitarismo da parquet presso la Popovich University; prima di allenare Denver Shaw ha diligentemente studiato Zen e l’Arte del Mantenimento delle Superstar a Triangle Tech.
Pur avendo entrambi fatto pratica presso maestri leggendari, le loro strade sono state diverse sin da quando hanno preso in mano i rispettivi timoni; Shaw attualmente è senza lavoro, mentre gli Hawks di Budenholzer detengono il miglior record nella NBA. Potrà essere ingiusto cercarvi un simbolismo, ma nell’era del pace-and-space gli allenatori sono più importanti che mai. Non bisogna essere LeGarie per notare che i principi di Budenholzer si addicono di più a come le nuove generazioni interpretano la pallacanestro in questo momento.
♦♦♦
Domanda a bruciapelo: qual è il miglior tiratore della NBA?
Risposta: il tiratore libero.
Il successo dal perimetro nella NBA di oggi è tanto un riflesso della qualità del tiro quanto della qualità del tiratore; citofonare in proposito a Danny Green, passato da rimpiazzo a leggenda del tiro sugli scarichi principalmente grazie al cambio di sistema. Se però crediamo a questo “effetto Danny Green” allora dobbiamo anche accettare l’esistenza del fenomeno opposto, quello in cui i giocatori sembrano regredire per via del cambio di sistema. La legislatura Shaw ci fornisce qualche esempio, e a pochi giorni dal suo esonero è legittimo chiedersi se le prestazioni imbarazzanti da 3 di Denver siano da imputare alla mancanza di talento o di occasioni.
Consideriamo le difficoltà di Wilson Chandler, che gioca a Denver da anni. Nell’ultimo anno di George Karl in Colorado (2012/13) Chandler tirava da 3 con il 41%. Quest’anno tira con il 33%. Forse Chandler è semplicemente peggiorato, o forse con Shaw non ha mai avuto buoni tiri. Non è un problema solo di Shaw, e non bisogna andare troppo lontano per trovare altri esempi: uno su tutti l’efficacia globale di Channing Frye a Orlando.
Guardando l’efficacia da 3 punti delle squadre si nota che gli Hawks di Budenholzer sono secondi solo agli Splash Brothers di Steve Kerr. Vuole forse dire che Atlanta ha i tiratori migliori? Certo, avere Kyle Korver non guasta, ma di solito non è uno che si costruisce il tiro da solo. Gli Hawks hanno anche giocatori come DeMarre Carroll, che due anni fa tirava da 3 punti con il 29% mentre quest’anno, esattamente al contrario di Chandler, ha alzato la percentuale fino al 40%.
(Foto: via Grantland)
Il baseball è stato il primo sport a essere pervaso dalle statistiche individuali, e di conseguenza quando parliamo delle prestazioni dei giocatori di baseball siamo largamente influenzati dalla maniera in cui valutiamo i giocatori. Però il baseball è di fatto una serie di sfide individuali e, con poche eccezioni, quei numeri riflettono in larga parte le capacità dei giocatori. Purtroppo non si può trasportare la stessa logica isolazionista nella pallacanestro, come confermano i casi Carroll, Chandler e Green. L’efficacia al tiro dei giocatori NBA dipende ovviamente anche dai compagni e dall’allenatore (si vedano Nash, D’Antoni e compagnia nel 2007), tuttavia siamo comunque più propensi a dire “Chandler quest’anno tira da 3 con il 33%” piuttosto che “il sistema di Shaw è ultimo per capacità di liberare i tiratori dietro l’arco”.
I tiratori mortiferi sugli scarichi come Korver hanno visto crescere il proprio valore, ma che cosa succede invece agli allenatori capaci di architettare un sistema che permetta a questi giocatori di splendere? In fondo il 95% delle triple di Korver di questa stagione derivano da un assist: siamo bravissimi a rilevare quanti di quegli assist appartengono a Jeff Teague, ma siamo molto meno inclini a scoprire quanti invece appartengono a Budenholzer. Come il baseball tiene in considerazione il “fattore stadio”, forse il basket dovrebbe considerare il “fattore allenatore”.
Nel 2015 i migliori allenatori della NBA sono probabilmente la risorsa umana più sottovalutata della lega. Davvero Jeremy Lin o Eric Gordon devono guadagnare più di Gregg Popovich? Davvero Kerr, Budenholzer e Dave Joerger messi insieme devono guadagnare meno di Omer Asik? Forse di tradizione tendiamo a sopravvalutare l’impatto dei giocatori rispetto agli allenatori, o forse la maniera in cui questo sport si gioca adesso ha fatto aumentare il peso della tattica. Qualunque sia la ragione le attuali valutazioni appaiono sballate.
Come Kerr e Budenholzer hanno dimostrato ultimamente, a volte cambiare l’allenatore può servire tanto quanto l’innesto di una o più superstar. Tuttavia sui futuri allenatori pende sempre la spada di Damocle dell’incertezza. Per esempio Shaw è stato per anni uno dei candidati più in vista della lega, mentre a Kerr veniva imputata la mancanza di esperienza in panchina. Se Kerr ha chiaramente smentito gli scettici, la fama che accompagnava Shaw appare ora ingiustificata.
Ogni estate pendiamo dalle labbra dei potenziali free agent, mentre il mercato degli allenatori occupa un posto più che secondario nel flusso di notizie. Quest’anno gli Hawks e i Warriors stanno però dimostrando che è arrivato il momento di modificare queste fissazioni e le valutazioni che le sostengono.
♦♦♦
Non si discute sul fatto che Phil Jackson e Popovich, alla pari di Jobs e Gates nel settore dei computer, aleggeranno sul futuro della NBA. Entrambi meritano moltissimo credito non solo per le vittorie ma anche per aver modellato il modo in cui pensiamo alla NBA. Rimane però arduo osservare i destini dei Nuggets e dei Knicks rispetto a quelli opposti degli Spurs, degli Hawks e dei Warriors senza ipotizzare che, almeno dal punto di vista dello stile di gioco, l’eredità di Popovich si prolungherà per più tempo.
Jackson può sempre dire “contate gli anelli”, mentre Pop può sempre dire “contate i pupilli”.
Shaw non è riuscito a creare con i propri giocatori qualcosa di più di una raccolta casuale di attori NBA. Sicuramente il fallimento non è solo colpa sua, tuttavia la mancanza di amalgama è dimostrata non solo dalle vittorie e dalle sconfitte ma anche dalla scarsa efficacia difensiva della sua squadra e dalle disastrose percentuali dal perimetro.
Nel frattempo gli Hawks hanno delle percentuali fantastiche da 3 e il miglior record della NBA. Tutti i membri del quintetto titolare segnano in media più di 10 punti a partita, nonostante nessuno giochi più di 34 minuti di media. Questa distribuzione delle risorse è fumo negli occhi per lo spirito del capitalismo associato alla dittatura delle stelle di Phil, Jordan, Shaq e Kobe. Il movimento egualitarista, i cui fautori sono allenatori come Popovich, Budenholzer e Kerr, non solo è in antitesi alla filosofia di Kobe Bryant (che ha recentemente definito i colleghi proletari degli “stronzi” lavativi) ma sta anche diventando sempre più redditizio nel contesto della nuova economia basata sul ritmo e sulle spaziature.
Trentacinque anni dopo l’introduzione della linea dei 3 punti e con l’appropinquarsi alla porta d’uscita della generazione di Bryant, la NBA accoglie una nuova generazione che non è solo perfettamente consapevole che i tiri dai 7,25 valgono il 50% in più dei tiri dai 6,75 ma è anche pronta e desiderosa di sfruttare la differenza, costi quel che costi. Beh, costa movimento del pallone, e gli allenatori migliori della lega sono pronti e capaci a mettere in pratica tattiche che favoriscano esattamente quello, mentre gli allenatori in difficoltà sono o troppo testardi o troppo poco in contatto con il presente per raggiungere quel nirvana sul perimetro. Prendendo le parole di LeGarie: “La sfida sarà trovare chi fa girare la palla e non chi la tiene ferma”. Non si capisce bene se si riferisca ai giocatori o agli allenatori. Forse a entrambi.
TRADUZIONE DI GIACOMO SAURO