Ettore Messina: Io non un cervello in fuga, ma l'esperienza all'estero è fondamentale, ti completa
Il ct della Nazionale e l'esperienza fuori dal paese: Le federazioni in Italia hanno programmi di sviluppo dei tecnici che sono all'avanguardia
Con anche momenti negativi: «A livello di battuta posso dire che l'unica storia professionale non felice è stata col Real Madrid. Fui accolto molto bene e con grandi aspettative, ma dopo un anno e mezzo decisi di andarmene perché non mi trovavo bene. Lì ogni volta che perdevamo una partita sui giornali ero semplicemente "l'italiano". Non venivo neanche nominato. Lo sportivo spagnolo è forse più sciovinista del francese».
Italia senza estero, possibile? «No. E fondamentale perché ti completa, apre gli occhi e costringe ad adattamenti importanti, è un'esperienza impagabile. Anche quella di Madrid che non è andata bene la rifarei domanimattina. Vivere un grande club e una realtà che ti mette sotto pressione, capire come vivono lo sport in paesi diversi, ti completa».
Senza ripensamenti: «Ho avuto momenti in cui ho pensato di aver voglia di tornare per questioni affettive, amicizia, posti, odori e musiche, ma dal punto di vista professionale no. Mi ha fatto molto piacere tornare ad allenare la nazionale per quello che significa, questo sì».
Il segreto: «Le federazioni in Italia hanno programmi di sviluppo dei tecnici che sono all'avanguardia e che permettono di diventare allenatore sia al grande ex campione che a chi non ha avuto un'esperienza agonistica rilevante come nel mio caso».
Diverso il discorso per i giocatori: «Quello del reclutamento è un problema aperto. Siamo in un si stema dove la scuola non fa sport e quindi i club devono "rubarsi" i giovani atleti perché sono loro a fare reclutamento. I nostri figli non riescono a provare più discipline come succede negli Usa e così non è facile individuare lo sport preferito o quello più adatto».