Addio Presidente. E' morto Carlo Azeglio Ciampi. Il saluto di Petrucci e della FIP
Il presidente emerito Ciampi, in gioventù, praticò la pallacanestro nel CUS Pisa e ricordò quella sua esperienza da giocatore di basket per il libro StorieStraordinarie
Il presidente Petrucci ne ricorda l'alta figura morale e il ruolo di statista che ha dato lustro in campo internazionale all'Italia, nonché la vicinanza al mondo dello sport, riscontrata personalmente quando era presidente CONI.
Il presidente FIP Petrucci, su indicazione del presidente CONI Giovanni Malagò, ha disposto un minuto di silenzio in occasione delle prossime manifestazioni sportive in memoria del Presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
Il presidente emerito Ciampi, in gioventù, praticò la pallacanestro nel CUS Pisa, quando era iscritto al primo anno della Scuola Normale e ricordò quella sua esperienza da giocatore di basket per il libro StorieStraordinarie, che la FIP realizzò nel 2011, per i propri 90 anni.
Con affetto e riconoscenza riproponiamo qui di seguito quell'intervento.
La finestra sul parquet
Era il 1937. Avevo 17 anni e frequentavo il mio primo anno di corso alla Scuola Normale di Pisa.
Allora, come oggi, ad ogni allievo della Scuola veniva concesso un alloggio. Il numero degli studenti era in quegli anni molto limitato e, per ospitarli, bastava l'edificio principale della Normale, in Piazza dei Cavalieri. Le stanze degli studenti erano situate tutte nella parte posteriore dell'edificio della Normale e si affacciavano su un cortile, il cortile dei GUF (Gruppi Universitari Fascisti). In quel cortile, proprio in linea con la finestra della mia stanza, c'era il campo di pallacanestro del CUS Pisa. Durante gli allenamenti e le partite di campionato (il CUS Pisa partecipava al Torneo Regionale di Serie C) era un rumorio incessante di spettatori, un susseguirsi di richiami, di esortazioni, di ordini perentori ("Vai dentro, passa, fai girare la palla"), intercalati assai spesso da imprecazioni colorite e da sfottò tipicamente toscani. Insomma, un vociare continuo che arrivava dritto fino alla mia camera: era praticamente impossibile concentrarsi sullo studio o qualsiasi altra cosa che non fosse quella benedetta pallacanestro.
Di questo sport, allora, sapevo soltanto che era vietato chiamarlo basket: gli anglicismi, come è noto, erano severamente vietati dall'allora regime fascista! L'altra cosa certa era che, in quelle condizioni, era difficile non solo studiare, ma anche semplicemente riposarsi! Quasi costretto, cominciai a seguire dalla finestra gli allenamenti del CUS Pisa. Fu così che scoprii la pallacanestro. All'inizio osservavo svogliatamente. Stare lì a guardare serviva solo ad ingannare il tempo, in attesa di momenti migliori per dedicarmi allo studio.
Del resto, mi dicevo, la pallacanestro non è uno sport che fa per me. Come era possibile intravedere, in una disciplina in cui conta molto l'altezza, la benché minima chance per uno della mia statura? Mi sarei dovuto misurare con un canestro situato ad altezze stratosferiche e contro avversari di stazza e di statura invariabilmente superiori alla mia; alcuni anzi, anche visti dall'alto, mi sembravano proprio dei giganti! Dopo poco tempo, tuttavia, cominciò a montare in me una certa curiosità per questo sport molto di “squadra” e molto “americano”, i cui principali attori erano spesso di razza nera. Mi sembrò, in quel particolare momento della nostra storia in cui si cominciava a parlare di legge razziali, che esso fosse quasi portatore di un messaggio antirazzista e questo bastò per rendermi decisamente più simpatici quelli che lo praticavano. Insomma, la pallacanestro, all'inizio così lontana dai miei interessi, cominciò a piacermi.
Decisi di non stare più “...alla finestra”. Chiesi ed ottenni di aggregarmi agli allenamenti del Cus Pisa. Nonostante un sottile scetticismo, da alcuni per nulla dissimulato, vi fu una sincera disponibilità ad ammettermi nel gruppo, forse perché molti della compagnia erano livornesi come me. Cominciai ad allenarmi. All'inizio le difficoltà furono tante, quasi come l'appellativo di “bischero” che veniva affibbiato a tutti ad ogni occasione e che in quel periodo, ricordo, mi divenne molto, ma molto familiare. Dopo non poca pratica mi ritagliai comunque, a fatica, un ruolo di “play maker” che doveva essere almeno dignitoso, se è vero che mi fu proposto di entrare in squadra. Accettai volentieri e giocai vari spezzoni di gare. C'erano molti livornesi e questo facilitò il mio inserimento. Quelli del CUS Pisa erano tutti più alti di me, non altissimi però, come avviene oggi. Allora la statura media degli italiani non era particolarmente elevata e i giovani dell'altezza di 1,80/1,90 centimetri, e oltre, non erano tanti.
Del gruppo degli “alti” ricordo ancora qualche nome: Borghi, Carrara, Gallinari, Vitti. Alcuni di questi, sicuramente Gallinari, furono chiamati a far parte della Nazionale. Vitti sposò successivamente la sorella di Gianfranco Mazzuoli, eccellente medico e docente universitario, carissimo amico e mio medico personale fino a poco tempo fa, quando è venuto a mancare. Il mio rapporto con la pallacanestro agonistica non durò a lungo.
Il campionato mi occupava troppo tempo tra allenamenti e trasferte; soprattutto impegnava tutte le mie domeniche, non consentendomi di tornare a Livorno per il fine settimana, per rivedere i parenti e passare le serate con gli amici. Ero molto giovane e quel ritorno a casa mi mancava molto. Abbandonai la partita, un po' a malincuore. Che cosa ho imparato dalla pallacanestro? In primo luogo che questo sport si può chiamare basket senza che nessuno debba avere qualcosa da ridire: è una banalità, ma per quelli della mia generazione, essa è il corollario di una conquista più grande, per nulla banale: la liberazione da una cultura becera e da un regime autoritario, quello fascista, travolto per fortuna dalla storia. Insomma, ho imparato che fra "pallacanestro" e "basket", almeno per quanto riguarda la storia del nostro paese, non c'è di mezzo solo il vocabolario e questo, forse, vale la pena di ricordarlo. Ho imparato anche che è molto bello fare sport, soprattutto di squadra, per il semplice gusto di farlo. Se si affronta con questo spirito nessuna disciplina sportiva pone dei limiti, se non quelli che noi stessi qualche volta ci poniamo, erroneamente.
Carlo Azeglio Ciampi