Marco Crespi: Ci prepareremo a competere per vincere
Le parole del neo coach di Verona
«Sono una persona che odia la retorica, voglio sempre dire le cose che penso e mai quelle che annoiano alla terza riga. Solitamente si dice che è un onore quando si arriva in una situazione nuova, in un club con una storia e in una città come Verona. Io non dico di essere onorato di essere qua, dico che ho il piacere di essere qua. Ringrazio la famiglia Pedrollo, Giorgio in particolare, che dal primo giorno in cui mi sono messo in macchina per venire a Verona mi ha fatto sentire importante. Mi sono messo in macchina non per il rapporto personale che negli anni ho sviluppato con Gianluca Petronio, ma per le sue qualità professionali perché sapevo che sarei andato in un club in cui il basket non viene parlato a livello superficiale ma analizzato giorno per giorno. Avete citato Ramagli. Lui per me è un fratello, non un collega, negli anni è nato con lui un rapporto umano di fratellanza nelle due esperienze vissute insieme. Siamo davanti a un campionato, come quello di LegaDue, a 32 squadre. Tutti quanti noi penso sappiamo di sport e dire che partiamo per vincere significa essere ignoranti di sport. Io vivo di sport, amo lo sport, lo sport vero, non lo sport dei trucchi. Il nostro obiettivo sarà prepararsi a competere per vincere. Voglio dire solo tre cose per dare l’idea di quello che vorrei aveste come identità del nostro percorso. La prima è l’emozione. Chi entra in un palazzetto, che sia il proprietario o il tifoso più lontano dal campo, cerca emozioni. Quindi, per la scelta dei giocatori, cercheremo persone che abbiano la capacità di vivere la loro professione e il loro modo di giocare con emozione. La seconda è l’appartenenza al prodotto. Oggi si parla di attaccamento alla maglia, di spogliatoio. Tutte frasi retoriche dette in modo superficiale. Credo che la motivazione del giocatore faccia la differenza in un campionato come questo dove le differenze di valori fra una squadra e l’altra sono minime. L’appartenenza al prodotto è il modo di giocare, significa rendere l’idea che ogni giocatore è protagonista di quello che fa e non gioca come dice l’allenatore. Ma se un giocatore sa che ogni giorno svegliarsi a Verona vuol dire appartenere a qualche cosa allora la sua motivazione sarà massima. Il terzo è il senso di urgenza. Se guardiamo una partita di pallacanestro le ultime difese degli ultimi cinque minuti sono le migliori. Dove si vede la mimica facciale, i muscoli tirati al massimo, la richiesta a sé stessi di produrre il meglio. Penso che le partite si perdono quando magari si è 20-10 alla fine del primo quarto con difese superficiali. L’obiettivo è che questo senso di urgenza non sia dettato dal risultato del tabellone, magari punto a punto a tre minuti dalla fine, ma ogni giorno quando si entra in palestra al mattino o al pomeriggio, o quando saremo 20-10 o 10-20. Per poter costruire qualcosa a livello di prodotto di gioco ogni persona che va in palestra deve sentirsi protagonista in allenamento. Se qualcuno non gioca mai non può appartenere al prodotto, ovviamente non tutti avranno lo stesso spazio e le stesse responsabilità ma per giocare un basket di energia e che sappia aggredire sia in attacco che in sifesa ognuno dei dieci giocatori deve avere l’occasione di sentirsi protagonista.
Siena? Come ho detto miliardi di volte l’esperienza di Siena è stata il realizzare il sogno che io avevo a 15 anni quando sognavo di fare l’allenatore di pallacanestro. È stata una favola, anche a livello di conduzione tecnica, veder giocare quella squadra. Come persona e come professionista».