Nano Press
Facebook Twitter Instagram Google+ YouTube RSS Feed Italiano English Türkiye
Serie A 25/02/2016, 17.00

Intervista ad Andrea De Nicolao a tutto tondo

Pensieri sulla carriera, sul mercato degli italiani, sulla formula di A2 e molto altro!

Serie A


(Ciamillo & Castoria)

L’istituto Treccani alla definizione di squalo enuncia: “predatori, con bocca arcuata, munita per lo più di numerosi denti aguzzi. Parecchie specie di grossi squali, in genere quelli che assalgono anche l’uomo, vengono indicati col nome di pescicani.” Continua dicendo che raramente si trovano squali sotto i tre metri.


Ma lo shark italiano è decisamente più piccolo, ci aiuta allora la terza definizione metaforica che troviamo nel vocabolario fondato da Giovanni Treccani: “Persona molto vorace, insaziabile.”


Qui arriviamo molto vicini al nostro squalo, ovverosia Andrea De Nicolao. Soprannominato in questo modo: «Shark me lo diede un mio allenatore delle giovanili, perché secondo lui quando decidevo di vincere la partita, facevo come uno squalo, drizzavo la pinna e andavo ad azzannare il match. Il soprannome è ritornato per la mia capigliatura, con il ciuffetto che ricordava proprio la pinna».


Giocatore insaziabile, competitivo per sua stessa ammissione. Una lunga chiacchierata di 40 minuti mi conferma però anche la sua disponibilità e la voglia di sviscerare tutti i temi possibili, parlando non solo di pallacanestro giocata.


Final-8. Da testa di serie siete usciti con la Sidigas Avellino, una “finta” ottava,
visto il suo ottimo momento di forma. Cosa non ha funzionato ai quarti? Gli acciacchi hanno pesato sopra a tutto?


Sicuramente hanno pesato molto gli acciacchi e il nostro brutto momento di forma, col rientro degli infortunati. Non era certo facile fare una buona partita contro un Avellino in formissima. Nonostante questo abbiamo segnato 87 punti giocandocela sino alla fine. Durante la stagione càpitano questi momenti di alti e bassi, com’è capitato a Milano e ora sta capitando a Trento.


Dunque la poca freschezza ha pesato sulla scelta delle giocate, errori pesanti nell’economia della partita.


Certo, è anche un fattore di freschezza. Venivamo da un periodo molto stressante [5 partite in 15 giorni, con lo scontro diretto contro Trento e Pinar in Eurocup, ndr] e questo vuol dire molto in una partita secca in cui non puoi sbagliare niente. Avellino ha giocato più rilassata e ha giocato meglio. Poi sfortunatamente non abbiamo l’economia di Milano che ogni giorno può andarsi a comprare un giocatore sul mercato per rimpiazzare gli infortunati.


Lei appena arrivato alla Pallacanestro Reggiana ha avuto subito la fortuna di vincere la Supercoppa italiana 2015. Quali sensazioni emergono se ripensa a questo trofeo e come si è trovato e si sta trovando a Reggio?


Mi sto trovando bene, conoscevo tanti ragazzi e la cosa ha facilitato molto il mio inserimento. L’aver vinto la Supercoppa è stata un’ottima partenza; vincere un trofeo è sempre emozionante. Giochiamo per arrivare primi e quindi essere ricordati; perché nello sport se arrivi secondo rischi di finire presto nel dimenticatoio. Per questo siamo stati fortunati ed onorati ad aver vinto la prima Supercoppa nella storia di Reggio Emilia.

Qui alcune caratteristiche da pescecane.


Ha avuto la fortuna di ritrovare alla Reggiana un grande amico come Achille Polonara. Com’è nata la vostra amicizia e com’è ha reagito quando ha saputo che lei sarebbe arrivato in Emilia?


Fino a quando eravamo giovani abbiamo giocato spesso contro, incontrandoci nelle varie nazionali giovanili fino alla maggiore. Stiamo bene sia in campo che fuori, questo insieme di cose ha facilitato il buon feeling di adesso. Esprimiamo un basket simile e dopo che eravamo andati via entrambi da Varese è stato bello potersi ritrovare, tant’è che all’inizio Achille non ci credeva quando, ancora non c’era nulla di ufficiale, gli dicevo che ci saremmo ritrovati a Reggio!


Le viene in mente un aneddoto legato alla vostra amicizia?


Sicuramente una cosa che abbiamo sempre fatto assieme sono gli alley-oop, io facevo il partners per le sue schiacciate. Mi ricordo che Achille vinse, ai tempi delle nazionali giovanili, una gara delle schiacciate dove ero io l’alzatore, quella volta mi saltò mentre io gli consegnavo al volo il pallone, il tutto mentre gli davo le spalle. Ma insieme ne abbiamo fatte tante [ride]. 


Questo non è un alley-oop ma the Shark e PolonAir si intendono.


Seppur ancora giovane, ha vestito molte maglie e giocato in svariati campionati. Tutto è cominciato in provincia di Padova, dove è nato è ha conosciuto il gioco finché la Benetton Treviso la pescò nel suo vivaio.


Mio padre era un giocatore delle minors, ma nel padovano è un giocatore riconosciuto. Fondò una società di basket con il suo migliore amico ed io ho iniziato lì, sempre allenato da lui in quasi tutte le giovanili. La società è la Pallacanestro Vigodarzere,  un quartiere di Padova, dove in realtà abbiamo sempre avuto squadre competitive. In Veneto l’unica squadra contro cui perdevamo era la Benetton Treviso. Dopo anni di corte dei trevigiani, ho scelto di andare da loro. Prima di farlo ho però calcato campionati senior sin da 15 anni, vincendo il campionato di serie C, giocando 40 minuti a partita. Da giovane mi sono voluto cimentare in un certo tipo di esperienze prima di approdare alla Benetton Treviso, con cui mi sono tolto la soddisfazione dello scudetto giovanile ed ho esordito in serie A diciottenne.


A Treviso ha avuto allenatori che l’hanno lanciato come Frank Vitucci, Djordjevic, Repesa e calcare a 18-20 anni i parquet di Serie A e di Eurocup. Che ricordi porta con sé?


Devo dire che sono stato molto fortunato perché a Treviso ho giocato in serie A e in Eurocup, ma pure un girone di qualificazione per l’Eurolega, perso per pochissimo. Il primo allenatore che mi ha dato l’opportunità di giocare in Serie A è stato Frank Vitucci ma in seguito anche Djordjevic mi ha dato tantissima fiducia, con lui c’è sempre stata stima reciproca. Ho trovato grandi allenatori, lo stesso Fabio Corbani nelle giovanili e Jasmin Repesa [ora capo-allenatore a Milano, ndr], allenatori dalla caratura notevole. Era uno staff che mi ha fatto crescere veramente tanto. 


Proprio per il minutaggio, gli investimenti sui giocatori italiani si sono espressi, tra i tanti, anche Datome e Messina.
Dopo averlo chiesto ad Awudu Abass, le chiediamo quale sia il suo pensiero in merito?


Il discorso degli italiani e degli stranieri è molto delicato. È giusto che nella nostra lega gli italiani abbiano la possibilità di poter giocare. D’altro canto però non è neanche giusto che agli stranieri sia tolta la possibilità di venire in A, il mercato è anche questo.
Il problema in questo momento è che non è neanche tutta colpa dei giocatori italiani, ma delle tasse altissime dello Stato su di noi. Le società sono costrette a prendere dei rookie stranieri a prezzi veramente bassi perché hanno una tassazione completamente diversa dalla nostra. In più prendendo questi stranieri il livello del campionato si abbassa terribilmente; giocano dunque tanti stranieri che migliorano per poi emigrare.
Con questo non voglio dire che gli italiani siano tutti forti e tutti pronti, però dovrebbero avere loro l’opportunità, prima degli stranieri, di crescere e di poter sbagliare visto anche il momento economico difficile delle squadre.
Per gli europei è un discorso diverso, loro hanno una mentalità molto simile alla nostra. Gli americani, al contrario, vengono qui con una mentalità diversa dalla nostra e pensano di poter giocare senza quasi meritarselo solo perché sono americani. Per questo dobbiamo cercare di limitare questi acquisti.


Ecco, per un campionato di A che si è abbassato di livello paradossalmente la serie A2, dove vige una sola promozione, si è molto rinforzata. E forse le ultime squadre in classifica di A faticherebbero ad arrivare ai playoff nella vecchia Legadue.


Hai detto sicuramente una cosa giustissima. Penso al mio campionato lo scorso anno con Verona, in A2 c’erano anche Torino, Brescia, tutte squadre che secondo me potevano giocarsela bene ai Play-off di serie A. Purtroppo tante squadre del massimo campionato hanno budget veramente ridotto, non riescono a pagare i giocatori e farebbero molta fatica a vincere il campionato di A2 o esserne protagoniste.
Essendoci una sola promozione per 32 squadre è difficile trovare chi mette i soldi perché cosa vai a raccontare agli sponsor? Devi raccontargli di un progetto vero, serio, sennò nessuno ti finanzia. Oltretutto la sola promossa a volte rischia di essere quella più fortunata; cioè chi arriva più in forma alla fine vince, non importa se tu sia oggettivamente più forte. 



(Ciamillo & Castoria)

Anche perché la principale motivazione per la scelta di una sola retrocessione fu dare maggiore tranquillità alle squadre di A, per investire sui giovani, vivaio e dare la possibilità di far giocare i giovani e farli sbagliare.


Cosa che però non fanno, potrebbe essere una scusante ma non è assolutamente così. Perché se vai a vedere la squadra soprattutto di bassa classifica sono squadre ricche di stranieri e dove il mercato la fa da padrona.


Ad ora ben 4 squadre (Cantù, Milano, Varese, Sassari) hanno già esaurito i tesseramenti disponibili.


Il mercato è un altro tasto dolente del nostro campionato. È sbagliato, non può essere aperto tutto l’anno perché penalizzi le società che fanno scelte attente ad inizio stagione con il gran lavoro dei GM. Così faciliti molto chi ha tanti soldi perché può sbagliare in qualsiasi momento dell’anno. Lo stesso vale per i tifosi, che vanno a vedere squadre che mutano una volta al mese e non si ricordano neanche chi scende in campo quella sera. Avere quattro squadre che hanno già esaurito i visti non è una bella cosa, anche perché non si dovrebbero neanche finire.


Passando invece a Varese, che cosa non ha funzionato nel progetto? Non c’è stato il rinnovo per la terza stagione perché con l’avvento di Poz in panchina erano cambiate le idee sul playmaker titolare?


Di Varese ho un ricordo positivo perché ho avuto due anni bellissimi, ho trovato un sacco di gente che mi vuole bene e con cui sono tutt’ora in contatto. La mia fidanzata stessa l’ho trovata a Varese.
Purtroppo alla fine di questi due anni ho chiesto alla società una fiducia maggiore per potermi esprimere, per poter giocare, ma le idee erano diverse. Società ed allenatore compreso avrebbero puntato su un americano da far giocare 30 minuti e io sarei stato come gli altri due anni un gregario che ne giocava 10.  Avendo un solo appuntamento settimanale lo reputavo troppo poco per la mia crescita di giocatore. Quindi ho deciso di uscire dal contratto e cambiare aria.



Oggi il tiro da tre per DeNik è un’arma consolidata


Scende di categoria, scommette (bene) sulla Tezenis Verona, dove siete protagonisti di una grandissima cavalcata conclusa troppo presto ma dov’è stato assist-man del campionato. Come è arrivata la scelta?


Ho scelto Verona per una serie di motivi; durante l’estate c’erano state tante squadre che mi avevano offerto i loro progetti, ma non c’era quello che mi soddisfaceva al 100%. Verona invece mi aveva presentato un progetto vero, un progetto di crescita, dove la società aveva delle grandi ambizioni. Siccome sono una persona molto ambiziosa e un sognatore, Verona era la squadra giusta.


Perché, ad esempio, in A si parlava di un interessamento di Avellino.


Sì, se ne sono dette tante. C’era Avellino, Pistoia, Roma, però squadre in cui il progetto non era quello che volevo.


È una strada che in realtà hanno percorso già altri giocatori (Lei, Moraschini, Imbrò, Trasolini), pensa di averne giovato e la consiglierebbe?


Ognuno deve trovare la propria strada. Il fatto di scendere di categoria per qualcuno potrebbe essere una buona scelta per altri meno. Dipende molto dal progetto, dalla società, dagli investimenti: credo sia sempre relativo. Nel mio caso ci potevo starci, essendo ancora giovane, o quasi [ride], ho voluto scommettere su di me. Ho deciso di andare a giocare non guardando solo l’aspetto economico ma il gioco. Poi sono stato fortunato, grazie al mio agente, ad aver trovato il posto giusto.


A tal proposito; il rapporto con la Scaligera non è continuato per la mancata promozione o per l’offerta che le è giunta da Reggio Emilia?


È una domanda un po’difficile. Io a Verona avevo un contratto in scadenza molto presto, il 30 giugno. Purtroppo il 30 giugno le squadre fanno fatica ad essere mature per pianificare la stagione successiva. Sono stato fortunato che Reggio Emilia abbia una società molto solida dove progettano il loro futuro molto presto, di squadre così in Italia ve ne sono molto poche.
Il mio agente ha trovato la società Reggiana disposta a discuterne appena quattro giorni dopo gara 7 delle finali scudetto. Tanto di cappello a loro.
Se non ci fosse stata Reggio Emilia non so se sarei rimasto a Verona. Probabilmente no.


Parlando più della sua progressione personale, nonostante i suoi 185cm per 75kg, in campo ha aumentato esponenzialmente la capacità di dare il passaggio vincente. 1 canestro su 4 della squadra quando si trova sul parquet è servito da un suo assist a Reggio Emilia. Come giudica questo miglioramento?


Per le mie caratteristiche fisiche dovevo trovare una parte del gioco in cui eccellere. Una era l’arte del passaggio; visto che in Italia ad oggi playmaker veri non ce ne sono, o sono veramente pochi, dovevo fare qualcosa di diverso rispetto agli altri. È una cosa su cui ho lavorato molto e si stanno vedendo i risultati. In A2 l’anno scorso si è visto bene per il livello un po’più basso, ma lo stesso si può dire di questa stagione. Ad esempio in Eurocup sono stato il primo italiano negli assist [complessivamente 18° in regular season e 15° alle Last32, ndr]. Il lavoro paga. L’aver avuto un anno con il maestro Sasha Djordjevic da quel punto di vista mi ha dato tanto. Venendo poi da una famiglia di playmaker, come lo era stato mio padre e mio zio, mi ha aiutato molto.


 

Anche il tiro da tre è un’arma che adesso non si può più sottovalutare nel suo inventario, sta aumentando le percentuali da oltre l’arco; come si vede anche dall’assestamento della percentuale reale dal campo.


Siamo giocatori di serie A e tutti sanno fare canestro. Per il tiro da tre punti è molto una questione di fiducia. Fiducia nei propri mezzi, della società, dei compagni. Il tiro quando si arriva ad una maturazione cestistica si tratta di una cosa esclusivamente di testa e di fiducia.  Se si ha la testa sgombra da, come le chiamo io, “pare mentali” si può segnare sempre.


La stabilità mentale diventa una componente fondamentale quando si è sul parquet.


Esatto, non avere pensieri strani quando si è sul parquet è d’obbligo. L’ambiente che hai intorno ti rende migliore/peggiore sul campo. Non esiste una motivazione particolare, ma vale tutto ciò che ruota intorno a te come giocatore. Molto spesso la mente dello sportivo viene sottovalutata. Tanti pensano che basti dire di correre, di saltare, di segnare. La condizione mentale di un atleta è sottovalutata nel nostro sport. Tanti miei compagni si sono buttati perché non avevano una condizione psicologica forte e nessuno gli è stato dietro mentre si perdevano. È sicuramente una cosa in cui i nostri settori giovanili devono lavorare.


Passando ai colori azzurri, dell’annata 1991-92 con la medaglia d’argento ad Eurobasket 2011 cosa ricordi? E quale la partita che più lo ha esaltato?


La partita con la Francia [la semifinale], il fatto stesso di aver già vinto la medaglia approdando in finale penso sia l’emozione più grande. Poi giochi di adrenalina dando il tutto per tutto. Oltretutto perché con quei francesi il nostro gruppo aveva da togliersi diversi sassolini dalle scarpe.


Dove lo squalo ha messo insieme una prestazione niente male.


Nazionale senior. Che ne pensa dell’arrivo di Messina? Ci pensa mai alle possibilità di Pre-olimpico?


Sono sicuramente soddisfatto dell’arrivo di Messina, anche se con lui non ho mai avuto direttamente a che fare. Inutile dire che si tratta del miglior allenatore italiano che c’è in questo momento.
Al pre-olimpico ci penso, ma non si tratta di un’ossessione. Ho sempre vissuto il basket come un divertimento, scendo sul campo e do il massimo. Se poi la mia annata verrà premiata con la convocazione sarò soddisfatto, altrimenti non mi fascerò la testa.


Passando ad argomenti più frivoli, a cosa dedica il tempo libero? Cosa avrebbe fatto se non fosse diventato cestista?

Purtroppo in casa mia non si fa altro di parlare di pallacanestro e quindi sarei probabilmente diventato un allenatore [ride]. È un mestiere, quello di allenare, che mi sento dentro e che quindi avrei fatto volentieri. Nel tempo libero mi dedico poi alla preparazione del “DeNik camp”, giunto alla quinta edizione che mi regala molte soddisfazioni e mi porta via tanto lavoro.


Qual è il giocatore a cui cerca di carpire movimenti e tecnica. A chi si è ispirato di più e segue maggiormente adesso?


Sicuramente Steve Nash.


Ultima domanda per farsi un po’i fatti suoi. Visto il bellissimo rapporto di cui ci parlava con la sua fidanzata, state pianificando una vita insieme?

Non escludo niente! Come dicevo ho avuto la fortuna di incontrarla a Varese, e lei, nonostante faccia un lavoro completamente differente, è riuscita a seguirmi ed adesso viviamo insieme!

© Riproduzione riservata
E. Carchia

E. Carchia

Potrebbero interessarti
Comments Occorre essere registrati per poter commentare 7 Commenti
  • tidountecnico 26/02/2016, 13.45
    Citazione ( TotDipendentePR 26/02/2016 @ 09:20 )

    l'unico tuo altro commento mi spinge a pensare che tu sia di Torino... beh ti ricordo che tu hai quell'onestissimo giocatore dal nome Stefano e cognome Mancinelli... nel caso a volte sarebbe meglio che ognuno guardasse a casa propria...

    1° )Se uno ama il basket, lo guarda a 360° e non solo nel proprio orticello o "casa propria"
    2°) qualora anche un'altro fosse provocatore e "actor studio", cosa c'entra o toglie alla fama ormai consolidata di De Nicolao ?
    3°) è innegabile che il Mancio abbia avuto in passato qualche atteggiamento"sopra le righe", ma nei tre anni passati a Torino è stato assolutamente irreprensibile, in campo e fuori. Fin troppo, perchè io un paio di personaggi transitati in squadra li avrei volentieri attaccati al cerchio......

  • TotDipendentePR 26/02/2016, 09.20
    Citazione ( tidountecnico 25/02/2016 @ 19:05 )

    La grinta è una cosa, atteggiamenti provocatori e da premio Oscar per le simulazioni sono un altro paio di maniche.Se non la smette, prima o poi qualcuno che gli tira un "pacchero" lo trova senz'altro !

    l'unico tuo altro commento mi spinge a pensare che tu sia di Torino... beh ti ricordo che tu hai quell'onestissimo giocatore dal nome Stefano e cognome Mancinelli... nel caso a volte sarebbe meglio che ognuno guardasse a casa propria...

  • ervic 25/02/2016, 19.54

    Conosciuto a Treviso in un summer camp.
    Non mi ricordo di un ragazzo più presuntuoso di lui....

  • tidountecnico 25/02/2016, 19.05

    La grinta è una cosa, atteggiamenti provocatori e da premio Oscar per le simulazioni sono un altro paio di maniche.Se non la smette, prima o poi qualcuno che gli tira un "pacchero" lo trova senz'altro !

  • VecchioDea 25/02/2016, 18.16

    Sono veramente contento per De Nicolao, l'ho conosciuto da bambini, quando suo papà era il mio allenatore e spesso si portava Andrea ad allenarsi con noi e fa davvero piacere vedere la strada che è riuscito a fare.
    Bravo lui

  • fabsche73 25/02/2016, 17.14

    mi è dispiaciuto molto perdere De Nik a Varese...
    ottimo giocatore...la vera rivelazione del campionato del "indimenticabili"...spesso la sua grinta difensiva ha cambiato il ritmo alle partite...
    la gestione Frates, con il quale era evidente il rapporto "non idilliaco" ha messo le basi all'addio che c'è stato...essere il secondo di veri e propri bidoni quali KKK e Dean...penso non sia facilmente digeribile...
    lecita quindi la sua "attesa" di maggiore minutaggio...ma ome sempre la ns lungimiranza ha bruciato anche lui...
    molti a Varese lo hanno criticato perché si è "auto-declassato in A2" pur di giocare ... ma io ho sempre rispettato questa scelta e sono contento per lui...oggi è in una delle squadre migliori e con le migliori prospettive...bravo DeNik...
    A Varese ti aspettano tanti fischi e insulti...ma non i miei...