Chris Andersen, born to be wild
La storia di Birdman, fondamentale pedina dei Miami Heat che si giocheranno il titolo contro gli Spurs
Easy Rider è un film di Dennis Hooper del 1969, che racconta il viaggio di due amici in moto, anzi in chopper, attraverso vari paesi degli Stati Uniti. La trama ben descrive i primi anni di vita del piccolo Chris ed è il film preferito di mamma Linda, non per caso: è una “rider” pure lei, ama girare in motocicletta per le campagne e le montagne americane. La principale colonna sonora si intitola “Born To Be Wild”, “nato per essere selvaggio”. Un perfetto ritratto di Chris Andersen.
Siamo negli anni Ottanta. Tale Linda Holubec, ventenne texana, si innamora di Claus Andersen, un pittore danese conosciuto a Malibu. I due, che si trovano velocemente con tre figli (tra cui il futuro “Birdman”), vanno a vivere prima a Long Beach (California), poi praticamente in mezzo al nulla e alla natura in Texas, a Lola. Il padre dopo pochi anni si stuferà di questa realtà e andrà a New York a cercare fortuna. Mamma Linda resta sola con tre figli e pochissime risorse per mantenerli, tanto che sono amici e parenti a spingere avanti economicamente il nucleo. Principalmente è lo zio James che li aiuta, il quale, tra una banconota verde e l'altra, un giorno lascia a Linda un canestro, appeso poi ad un muro davanti a casa, per farci giocare i figli. Chris diciamo che si diverte con questo nuovo gioco, passando in compagnia della palla a spicchi ore e ore tutti i giorni. Il canestro è altissimo rispetto a quelli regolamentari: sono i suoi primi voli ad altezze proibitive. La madre nel frattempo fa tutto il possibile per procurare una cena ogni giorno ai figli e per tenere lontano da casa banditi e coyote, facendo frequente ricorso al fucile.
Il suo andamento scolastico è disastroso, sviluppato chiaramente in un contesto poco stimolante (quello che concedeva le finanze familiari), ma che risulterà decisivo nella crescita di Chris, etichettato da subito come “bad boy”. Con voti leggermente – si fa per dire – migliori sarebbe potuto andare a Houston a studiare, dove avrebbe avuto spalancate le porte per la pallacanestro che conta. Invece si iscrive al Blinn College, dove sul campo da basket si fa notare con un fisico allo stesso tempo potente e agile: da ala grande fa intravedere caratteristiche interessanti. Le mani non sono quelle di un pianista, ma lunghe come ali (la sua vita da uomo-uccello inizia dai doni fisici che gli sono capitati) e potenti. Insomma, due “sberle” qua e là le fa andare in area: a rimbalzo non c'è storia, spesso va oltre l'anello per stoppare o schiacciare ad altezze proibitive per i comuni mortali. Essendo bianco e texano, è un pezzo molto raro. Nel 1999 si rende eleggibile per il Draft NBA, ma i general manager della Lega non sono precisamente impressionati da lui, anzi. A notarlo sono i talent scout di una squadra cinese, i Dragons di Jiangsu Nangang, che gli offrono un contratto. Chris vola allora in Cina con la madre, loro che non erano praticamente mai usciti dalla contea in Texas. Per i primi cinque mesi vivono in camera d'albergo e si rendono a malapena conto di dove sono finiti.
In CBA gioca due stagioni, finchè non arriva la chiamata al Draft. Non si parla della lotteria NBA, però: a sceglierlo sono i Partiots. D-League, la lega di sviluppo. Qui si fa notare a livello nazionale e, primo nella storia del gioco, passa direttamente in NBA, ai Nuggets, con i quali firma un contratto che porta nelle sue tasche circa 300.000 dollari al mese. Cifra quasi irrisoria per gli standard della Lega, ma smisurata per chi ha sempre vissuto in povertà. Ai tempi Andersen si presentava con una folta chioma bionda, ben pettinata con tanto di riga in mezzo. Ha “soltanto” tre tatuaggi, non colorati. Sicuramente di tempo ne è passato tanto e di spazio libero sulla sua pelle ne è rimasto poco.
I primi stipendi li sperpera tutti alla velocità della luce, primo motivo per cui s'infuria la madre. Alla fidanzata, anzi alle fidanzate (non entriamo nel merito di quante esse siano state o quante relazioni alla volta mantenesse), regala prima una borsa di Gucci da 5.000 dollari, poi una Jaguar; agli amici, che va abitualmente a prendere in limousine noleggiata, paga la cauzione per uscire dal carcere quando finivano male; si dice abbia lasciato più volte cifre vicine al migliaio di dollari in club e locali; spende tantissimo in diverse droghe, come eroina, cocaina e metanfetamine, che lo porteranno alla rovina nel 2006.
Il suo carattere.. particolare ed esplosivo, diciamo, lo mette al centro della scena nel panorama del basket americano. Si segnala per risse e pungi volati dentro e fuori dal campo, diventa l'idolo dei tifosi dei Nuggets per il suo atteggiamento sul parquet e per i suoi voli oltre al ferro. In una trasferta di Regular Season, si presenta al ritrovo di fronte al pullman con un cucciolo di pitbull, mandando su tutte le furie lo staff tecnico. Quando i Nuggets fanno visita allo Steaples, Chris approfitta dell'occasione per sponsorizzarsi con Jack Nicholson come futura star di Hollywood, proponendosi come prossimo protagonista del film Batman: immaginabile la reazione di stampa e trasmissioni TV, a metà tra divertimento e imbarazzo. Si trasferisce poi a New Orleans, firmando un miglior contratto con gli Hornets nel 2004. Durante il suo secondo anno, ad un test antidoping vengono rilevate nel suo sangue sostanze proibite, che certo non mancavano nella vita sregolata del californiano-texano. Viene squalificato per 24 mesi (per sua fortuna, spesso casi simili venivano puniti con sanzioni a vita) e manda definitivamente sulle furie la madre, che da allora non gli parla.
Al termine della squalifica torna nel roster di New Orleans. Dichiara di essere tornato uguale a prima, ma di aver rimosso dalle proprie giornate quelle sostanze che lo avevano rovinato. “La squalifica mi ha salvato la vita e portato lontano da pessime abitudini”, dirà poi. Si descrive maturato e cresciuto nel periodo di inattività, essendo diventato una persona più matura e intelligente e “un tiratore da tre devastante”. Sulle abilità balistiche qualche dubbio può sorgere, ma sicuramente qualcosa nella sua testa è cambiato. Il suo look si avvicina sempre di più, attraverso vari passi, a quello attuale: cresta punk/moicana, fascetta, pelle ricoperta di tatuaggi.
Alcuni salti lo rendono disumano: vola ad altezze cui solo lui e le aquile possono arrivare, tanto che ha due ali tatuate (prima con soli contorni neri, ora coloratissime) dalle ascelle ai gomiti. A fine contratto i Nuggets lo richiamano, per la gioia dei tifosi di Denver, che ritrovano il loro idolo al Pepsi Center. Qui elargirà 2.42 stoppate ogni partita, diventando il secondo migliore della Lega in questa particolare graduatoria. Dopo ognuna di questa, mima con le braccia il volo di un uccello, che diventa il suo marchio di fabbrica. Nasce il soprannome “Birdman”, che lo accompagnerà per il resto della carriera.
Il suo stile spopola nel pubblico, che si presenta al palazzo con parrucche a forme di cresta, o reali acconciature per i più fanatici, o magliette raffiguranti i suoi tatuaggi. Sul campo, ripaga la fiducia concessagli da coach Karl, giocando una memorabile serie contro i Lakers in finale di Conference nel 2009. Contro la squadra più fisica dell'Ovest, regala ai propri tifosi 5.68 stoppate/48 minuti. Vincono i gialloviola alla fine, più che altro per la non irrilevante presenza di tale Kobe Bryant.
La pelle nuda inizia a non vedersi. I tatuaggi, quasi tutti legati al mondo dell'ornitologia, coprono ogni arto del suo corpo. Sulle braccia, oltre alle ali, ha raffigurate tre aquile e un teschio incoronato; uno stormo di uccelli “vola” sul polpaccio sinistro; sulla pancia porta la scritta “Honky Tonk” (ben descrive la sua figura), mentre sulla schiena il suo soprannome “Birdman” arriva da una spalla all'altra. Il tutto naturalmente molto colorato e appariscente. Nell'ottobre 2011 si tatua la scritta “free bird”: potrete pensare che sia una cosa commerciale. Nient'affatto. Se lo scrive sul collo in caratteri colorati cubitali, su sfondo viola fiammeggiante e incorniciato da catene. Diventato una celebrità per il suo stile (JR Smith lo ha definito “una rockstar prestata al basket”), figura sulla copertina di Peta, rivista contro la caccia agli animali, accostato allo slogan “ink not mink”, “meglio tatuato che impellicciato”, letteralmente. Nel servizio ci sono diversi scatti in cui Andersen è completamente nudo, mostrando al mondo l'arte del dipingersi il corpo.
Nel luglio 2012 i Nuggets non sono più interessati a “Birdman”, avendo in squadra Faried e McGee che hanno caratteristiche simili, e decidono di “amnistizzarlo”. Voci di pedopornografia infangano ancora una volta la sua reputazione, anche se nel processo è stata dimostrata la sua innocenza. Nel gennaio 2013, compiuti i 34 anni, dopo mesi di inattività, Miami gli offre un contratto di dieci giorni, una sorta di prova, che si estende poi per altre due settimane. Alla fine, l'8 febbraio, Pat Riley si convince che Chris starebbe molto bene vicino a LeBron e lo firma fino a fine stagione. Incredibile e inatteso, anche se motivato, il suo impatto. Le prime perplessità, come immaginabile quando si ha a che fare con un personaggio del genere, riguardano il suo inserimento in uno spogliatoio coeso e compatto, composto in parte da forti personalità. Nessun problema: LBJ, Wade e compagnia instaurano subito un buon rapporto con lui. Arrivano addirittura commenti pubblici in suo favore da parte dell'MVP della Lega, che lo definisce il “miglior bloccante con cui io abbia mai giocato”.
Le sue caratteristiche sono perfette per il sistema di coach Spoelstra, cui mancava un lungo atletico. Il gioco, basato sui “random cut” degli esterni, esalta le qualità di “Birdman”, che ha spazio per muoversi lungo la linea di fondo e ricevere palla in situazione dinamica. Nel traffico è efficiente perchè ha un rilascio molto alto, ammesso che non debba affondare direttamente nel ferro, ed è elastico. Ha una particolare predisposizione a giocare con LeBron, perchè bravo a leggere gli spazi aperti dalle sue penetrazioni e perchè abile nel riaprire subito dopo il rimbalzo difensivo, parametri di grande importanza in una squadra che vuole fermare la palla meno possibile. Ovviamente il pubblico della “Triple A” impazzisce per i suoi voli e per tutto quello che è racchiuso nel personaggio, pur molto diverso dalla maggior parte degli spettatori al palazzo.
Nei Playoffs ha stupito tutti e tirato fuori dal cilindro prestazioni davvero notevoli: contro Milwaukee 8.3 punti e oltre 5 rimbalzi in poco più di 15 minuti di gioco in media; tira con più dell'80% dal campo, statistica senza precedenti, o quasi, nella storia del gioco in post-season; tutte le sere mette il pubblico in partita almeno due o tre volte, con stoppate o schiacciate da poster. Una radio locale della Florida ha rilevato il numero di decibel provenienti dal pubblico in vari momenti degli incontri: i livelli più alti si registrano regolarmente quando “Birdman” apre le ali e vola. In Gara 5 contro i Pacers, a palla lontana, rifila prima un'energica spallata e poi una spinta a Tyler Hansbrough (con cui forma un accoppiamento a dir poco scoppiettante in area). Erik Spoelstra scuote la testa, sa come andrà a finire: anche se non è stato espulso, la squalifica per G6 arriva il giorno seguente. L'ennesima della sua carriera.
Intervistato recentemente da un giornale sportivo americano, ha risposto riguardo allo stato attuale della cose in questo modo: “io sono quello che ero, solo meno stupido. Non ho pianto quando mi hanno squalificato, anzi. Io faccio quello che so fare: l'uomo. Se LeBron mi chiama, combatto. Altrimenti sto nel mio nido”. Già, nel suo nido, dove sparirà probabilmente quando avrà chiuso col basket giocato: difficile immaginare un personaggio del genere in un ruolo diverso dal suo.
Sua mamma ancora non gli parla e vive lontano da lui. Laddove non è costruttivo l'intervento delle sue possenti ali, laddove il tatto conta più della forza e laddove esistono anche regole esterne e non auto-formulate.. Birdman non vola, anzi. In fondo, però, anche mamma Linda sarà fiera di Chris, così lontano dall'omologarsi agli altri e letteralmente unico nel suo genere. “Birdman” non si diventa, si nasce: “Born to be wild”.