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NBA 11/12/2012, 09.48

Chicago's Finest, la storia della leggenda Ben Wilson

La storia di Ben Wilson, la stella del South Side di Chicago

NBA

On the bottom of Hell there’s a little dooor that opens on the South Side of Chicago

(In fondo all’inferno c’è una piccola porta che apre sul South Side di Chicago)

 

                                              - Poeta anonimo -


Ci sono quartieri brutti e bruttissimi, luoghi dimenticati da tutti, anche e soprattutto da Dio, in cui è impossibile respirare, sognare e vivere. Posti in cui tutto è sempre andato storto e, quel che è peggio, sembra che niente potrà mai cambiare la situazione.

Negli anni ’80, all’interno delle metropoli americane, di quartieri del genere, di ghetti, se ne trovavano a centinaia, da nord a sud, da est ad ovest: South Central e Compton a Los Angeles, una larga parte di Baltimore, quella dominata da Maurice “Peanut” King, il Bronx di New York e il South Side di Chicago sono solo alcuni dei più famigerati.

Alcuni di questi sono stati negli anni un minimo “rivalutati”, sempre con le debite proporzioni, ma nella zona di Chicago che va da Madison Street a State Street, il South Side appunto, lì le cose non sono mai cambiate. Il tasso di criminalità del 1985, ad esempio, è tristemente simile a quello del 2011 così come quello della disoccupazione. Nel South Side, si dice, si è persa la speranza, nonostante da lì sia passato anche un nero che proprio con la parola “Hope” ha vinto una campagna elettorale nella corsa alla Casa Bianca.

La verità però è un’altra. Nel South Side di Chicago una speranza ci fu e si spense nella notte del 21 Novembre 1984.

Quella speranza si chiamava Benjamin Wilson Jr, per tutti semplicemente Benji.

Gli Stati Uniti ed in particolare i quartieri sopracitati sono zeppi di storie di chi non ce l’ha fatta, di eccezionali talenti rimasti schiacciati dalla droga, dall’alcohol, dalla vita di strada. Eroi leggendari di cui ancora si narrano le gesta nei barbershop. Chicago può vantare una lunghissima lista di giocatori, da Billy “The Kid” Harris a Ronnie Fields che sarebbero potuti diventare stelle NBA se no fosse che invece di stringere la mano di David Stern l’avessero stretta prima a qualcun altro, magari uno dei tanti pusher che affollano la città.

Benji non è in quella lista. Benji ce l’avrebbe fatta. Senza alcun dubbio, sarebbe diventato una stella NCAA prima e NBA dopo.

Ben Wilson nasce il 18 Marzo 1967 figlio di Mary e Benjamin Wilson Senior, due modesti lavoratori del South Side.

Vice Lords, Gangsters Disciples, Latin Kings. Sono alcuni dei nomi cui fanno riferimento le terribili gang che dominano l’area di Chi-Town fin dai primi anni ’80 e che sparano ed uccidono per il controllo del territorio.

In posti come il South Side è facile immischiarsi, pochi dollari facili tentano e convincono migliaia di giovani ogni anno ad aderire alle gang. Anche perché non avere un gruppo di riferimento, essere identificati come “isolati” spesso può essere addirittura più pericoloso.

Alcuni però maturano una sorta di lasciapassare, gli atleti soprattutto. Loro possono anche rimanere lontani delle gang e dalla street life, hanno di meglio da fare e, per quanto incredibile, questo viene rispettato anche dai gangster.

E così Benji non cade nella trappola. Attorno a se vede di tutto, ma il suo obiettivo è più “alto”, più nobile. Quando alle medie viene chiesto ai ragazzi di scrivere quale High School sceglieranno e cosa intendono fare della loro vita Benji scrive Simeon High School e Basketball Player. Niente gang.

Fin da bambino Benji matura un amore spassionato per la palla a spicchi che a Chicago è il primo, secondo e terzo sport praticato. Gioca ovunque, nei playground, in palestra, agli angoli delle strade utilizzando i cestini della spazzatura come canestri, ovunque.

Ma spesso la grandezza nasce da umili inizi, e nonostante le ore passate con la zucca fra le mani, al primo anno di High School Wilson viene rilegato in panchina nella squadra composta da freshmen e sophomore.

Quello che però ha sempre contraddistinto i veri campioni dai buoni giocatori e la loro determinazione. E Benji ha dentro di se un fuoco implacabile. E non ci sta. Come se non bastasse nell’estate fra il primo e secondo anno cresce quasi 20 centimetri e si ritrova da point guard a centro. Un centro con piedi da ballerino e mani da pianista. La leggenda ha inizio.

Il suo nome comincia a circolare fra le buie strade della città. Come detto Chicago e da sempre una basketball city, la competizione è altissima, ma fra i suoi coetanei e non solo Benji fa parlare del suo incredibile gioco. Ben Wilson, il numero 25 dello Simeon High School, Got Game.

La sua definitiva consacrazione arriva nel suo anno da junior. Simeon High School è un eccellente istituto, sia dal punto di vista accademico che sportivo, ma nonostante questo non si è mai aggiudicata un titolo statale nella pallacanestro.

Benji lo sa e vuole a tutti i costi tagliare l’ultima retina a dimostrazione che nessuno in città è in grado di competere con lui.

Wow. E’ l’unica cosa che si sente dire agli spettatori delle parti di Simeon. Wilson è inarrestabile. Inarrestabile si, ma anche elegante, smooth come dicono dall’altra parte dell’oceano.

E’ un piacere vederlo giocare.

Trascina i suoi fino alla finale statale e si aggiudica anche l’ultimo referto buono, venendo ovviamente nominato MVP.

A Chicago, nel 1984, nessuno, nemmeno Tim Hardway, anche solo si avvicina al livello di Benjamin Wilson. La città è sua, ma lui non si lascia distrarre. Ad ogni intervista Ben mostra la sua timidezza, quella di un bambino che gode di un’attenzione spropositata da parte dei media. E traspare anche la sua determinazione nel diventare quello che ormai tutta la città si aspetta.

Sonny Vaccaro nel circuito cestistico americano è un’icona. E’ l’uomo che ha portato Michael Jordan a firmare l suo primo contratto con la Nike, nonché colui che ha ideato l’ABCD Camp sponsorizzato dall’Adidas, un camp che raggruppa i migliori liceali della nazione. La prima edizione si svolge proprio nel 1984 e Benji viene invitato.

Se chiedete oggi a Sonny Vaccaro chi sia il miglior giocatore mai visto al Camp (che ha visto la sua ultima edizione nel 2007) non vi risponderà Kobe Bryant, Shaquille O’Neal, Chris Webber, Kevin Garnett o Stephon Marbury, che sono solo un pugno dei grandi nomi che hanno giocato all’ABCD.

No il nome è quello di Ben Wilson.

Numero 25 nella sua High School, numero 1 fra i liceali d’America. Ben ce l’ha fatta. E’ il giocatore più forte non solo della sua città o del suo stato, ma di tutta la nazione. I College si fanno avanti con mezzi e mezzucci di tutti i tipi. Il telefono squilla ad ogni minuto, e di fronte a casa Wilson c’è letteralmente la fila di coach che lo vogliono nella loro squadra. Ma Benji, in cuor suo,lo sa già, andrà a De Paul, l’università locale.

Si perchè il Nostro è più di un’icona nella sua città: è un personaggio riconosciuto al pari di altri che faranno la storia della city come Ophra Wingfield, Walter Payton, Michael Jordan, o, prima di tutti, Bill Russell.

No, non può non diventare anche il re di De Paul.

Mai fino ad allora, un giocatore figlio della città del vento era stato nominato numero 1 della nazione, nemmeno Isaiah Thomas o Tim Hardaway o Mark Aguirre. Come detto Wilson è alto 2 metri e 3 centimetri, palleggia come un playmaker, passa come un playmaker, ma tira da fuori con una naturalezza è un’efficenza degna di un guardia. In più arpiona ogni rimbalzo e vola sulla testa dei centri per tonanti schiacciate. “Magic Johnson con il tiro da fuori” ecco la definizione perfetta, coniata dall’allenatore della Simeon Bob Hambric , per descrivere il gioco di Benji. Un fenomeno.

Ma l’estate del 1984 porta altre novità in casa Wilson. La famiglia si allarga, Benji ha un figlio con la sua storica ragazza, Jetun Rush.

Ben Wilson, il giocatore e il papà.

Mai nessuna squadra nella storia delle High School dell’Illinois ha vinto due titoli statali consecutivi e nel tentativo di raggiungere questo obiettivo, ben recluta un suo amico che sarebbe anche un più che discreto giocatore di basket, tale Nick Anderson.

Ma avere un figlio a 17 anni non è una cosa facile. In mezzo ai coach, ai compagni di squadra, alla famiglia, ai media, Benji deve trovare il tempo anche per il suo piccolo Brandon e non sempre ce la fa.

La mattina del 20 Novembre 1984, Benji apre gli occhi e sa che quella sarà una giornata importante. Fin troppo

Ha paura Benji. La pressione intorno a lui è decisamente eccessiva per un ragazzino di 17 anni. Tutti parlano di lui come se ce l’avesse già fatta, ma la realtà è un’altra, abita ancora nel South Side con la sua famiglia e vive tutti i giorni ancora i problemi di una realtà povera, troppo povera per far finta di niente.


Suo fratello Curtis continua ad uscire con alcuni membri dei Gangsters Disciples e teme che possa accadergli qualcosa di terribile. In più c’è un figlio, suo figlio, di appena dieci settimane. Jetun è stanca e lui non ha la minima idea di cosa fare.

E se l’essere padre fosse un problema per il college?

Intanto per la sera è prevista la prima partita dl campionato e le aspettative su di lui e sulla squadra sono altine soprattutto dopo l’aggiunta a roster del suo amico Nick.

Un sospiro, un bacio generale a tutti i membri della famiglia e via a scuola. La determinazione a Benji non è mai mancata.

A pochi chilometri di distanza Billy Moore è davanti allo specchio di camera sua. Guarda se stesso con aria da duro e con la mano destra accarezza il manico della pistola che ha nella sua tasca destra. Ha paura Billy, una paura tremenda. A 16 anni non ha più un futuro, che forse non ha mai davvero avuto. Non ha una ragazza, a scuola ormai non ci va più da un pezzo e il college è qualcosa che neanche riesce ad immaginare. E non è finita qui. Tira una brutta aria nel quartiere, le gang sono sul piede di guerra e può bastare uno sguardo storto per far scatenare l’inferno.

Billy ha paura sì, ma è anche tanto tanto arrabbiato. Ce l’ha con il mondo, con il sistema, con suo padre che l’ha abbandonato troppo presto, ucciso dal cancro, lasciandolo solo in quell’inferno. E’ arrabbiato Billy, anche per questo ha rubato la pistola a sua zia, una vecchia rivoltella che probabilmente neanche sapeva di avere.

Alle 13:10, Benji sta camminando a poche centinaia di metri dalla Simeon. Con lui c’è Jetun e un’amica. Benji è nervoso. I problemi con la sua compagna non si sono ancora risolti, discussioni di una giovane coppia con un figlio a carico. I compagni di squadra sono andati a pranzo e Ben li raggiungerà non appena avrà accompagnato la sua ragazza alla fermata del bus. La discussione tra i due è accesa e si avviano velocemente alla meta.

Sulla loro via c’è un piccolo ristorante, un lunch store dedicato agli studenti che affollano la zona. Billy Moore è appoggiato al muro appena fuori dall’entrata. Sta aspettando con il suo migliore amico, Omar Dixon, un altro a cui la vita ha regalato poche gioie, Erica Murphy, una studentessa della Simeon compagna di classe proprio di Benji. I due amici non sono andati a scuola e hanno approfittato della pausa pranzo alla Simeon High School per “reclutare” Erica e andarsi a fumare un po’ d’erba insieme, che è entrata nel negozio a prendere qualcosa da mangiare.

Moore vede i ragazzi della scuola passargli davanti. I sorrisi, le chiacchere, gli sguardi. Billy osserva disgustato. E invidioso. Lui quello sguardo che infonde serenità, tipico dei giovani adolescenti, non lo ha mai avuto.

Poi l’urto. Qualcuno venendo da dietro lo colpisce. E alto, molto alto quel qualcuno.  E soprattutto non si volta, non bada minimamente a quello che è appena successo. Benji sta discutendo con la sua ragazza e probabilmente non si accorge dell’incidente o banalmente non lo reputa degno d’attenzione. Ma questo Moore proprio non può tollerarlo.  Anche Omar non gradisce. Il rispetto, o più correttamente quella forma di rispetto che un sedicenne del South Side di Chicago può concepire, non glielo può mancare nessuno nemmeno il gigante che si crede qualcuno. Billy urla qualcosa.

Benji potrebbe tirare dritto, forse lo avrebbe fatto in tutti gli altri giorni della sua vita. Ma quel giorno è un giorno storto anche per lui. Si volta, risponde. Vola qualche parola.

Poi BUM. Il colpo parte dalla pistola di Moore davanti a tutti.

Il panico. Un fuggi fuggi generale, l’ambulanza che non arriva, le lacrime, le urla isteriche di Jaton e di altri conoscenti di Benji e la corsa in ospedale.

Hanno sparato a Ben Wilson. Hanno sparato al miglior giocatore di High School d’America. Hanno sparato alla speranza. L’unica rimasta nel South Side.

L’ospedale in cui arriva Benji non è adatto alla sua ferita. L’ambulanza lo porta lì, al St. Bernard perché è il più vicino al luogo della sparatoria, ma le attrezzature presenti sono insufficienti. Anche per questo, dopo un rincorrersi di notizie circa le sue condizioni che parevano migliori del previsto,nella notte Benjamin Wilson Jr. muore.

La notizia scuote tutto il paese. Il reverendo Jesse Jackson partecipa attivamente ai funerali, così come tantissime altre figure di spicco della Chicago dei tempi.

Ma Benji ormai non c’è più.

Da quel giorno, poco o nulla è cambiato. Sono state fatte promesse e lotte, ma il South Side rimane un posto dove non c’è spazio nemmeno per la speranza.

I ragazzi della Simeon giocarono e vinsero la partita d’esordio del campionato, nonostante Benji fosse a lottare fra la vita e la morte. Nick Anderson ha poi giocato per 13 stagioni nella NBA indossando sempre il numero 25 in onore del suo grande amico.

Quel numero venne ritirato dalla Simeon High School in una cerimonia commovente a dir poco.

Da quel giorno la tradizione ha voluto che fosse il miglior giocatore della squadra, eventualmente, ad indossarlo.

L’ultimo a farlo un altro ragazzo di Chicago, che è poi diventato il più giovane MVP della storia della NBA, Derrick Rose, mentre il nuovo fenomeno della Simeon Jabari Parker, gioca con il 22, ma ha il 25 inciso sulle sue Nike.

Il 25 di Magic Johnson con il tiro da fuori. Il 25 di un successo. Il 25 di una speranza che non fu.

Riposa in pace Ben.

PS: La strepitosa serie di documentari prodotta da ESPN, “30 for 30” ha di recente rilasciato quello che io considero, personalmente, il migliore del lotto, “Benji”, proprio su questa storia. Il consiglio è chiaramente di darci, almeno, un’occhiata. 

 

© Riproduzione riservata
E. Carchia

E. Carchia

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Comments Occorre essere registrati per poter commentare 11 Commenti
  • DAVE88 12/12/2012, 14.18

    Visto, veramente bello! Consiglio anche di vedere quello su Len Bias

  • dawkins 12/12/2012, 10.13

    Qualche anno fa un mio amico USA mi aveva parlato di questo ragazzo, che lui aveva visto giocare in un playground. Diceva che era un fenomeno, con movenze alla Doctor J....

  • johnny 12/12/2012, 10.06

    DOCUMENTARIO BELLISSIMO SU UNA STORIA BRUTTISSIMA!!!!!!!!!!

  • Goooo 11/12/2012, 23.55 Mobile

    che tristezza...

  • MaestroStockton 11/12/2012, 21.57

    Visto,molto bello,ma la serie di ESPN è praticamente tutta interessante.la storia di Ben Wilson la conoscevo già da tanti anni grazie ad American Super basket,per chi ancora se lo ricorda

  • Baker 11/12/2012, 21.13

    Non ho visto il documentario........ma la storia è veramente toccante...........peccato x la fine assurda.........

  • dariosk 11/12/2012, 17.14

    che storia......l'America è questa nel bene e nel male

  • Daca 11/12/2012, 15.42

    Visto, davvero molto bello.

  • David 11/12/2012, 15.29

    Storia fortissima.

  • Pito 11/12/2012, 15.27

    gran bel documentario...da come parlano di lui doveva essere davvero un fenomeno......

  • Vittorio 11/12/2012, 15.19

    Visto! Bello! come tutti i documentari prodotti da ESPN.