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NBA 25/09/2012, 09.46

The Franchise. L'elettrizzante carriera di Steve Francis

La storia di Steve Francis, the Franchise. Raccontata dal nostro Edoardo Tamalio

NBA

Lo faremo prima che il sole tramonti definitivamente. Prima che svanisca anche il ricordo di quello che fu. Prima che il tempo annebbi le immagini e la verità si tramuti in leggenda.

Ricorderemo per un’ultima volta Steve Francis. Glielo dobbiamo. Ce lo dobbiamo. Poi rimarranno solo le statistiche, i video su youtube, i racconti. Ma prima che accada dobbiamo ricordare chi in 8 anni e poco di più di NBA ha scalato vette impossibili e fatto parlare di se dentro e fuori dal campo come nessuno. 

Per poi scomparire in silenzio.

L'atleta nero, cresciuto nel ghetto da una madre single nella totale povertà è, purtroppo, ormai un cliché, ma quella di Steve Francis è stata ed è una vita al di sopra di ogni comparazione anche quando alcuni dei suoi tratti sono comuni ad altri. Diciamo che i suoi sono un po’ più scuri anche di quelli di molti dei suoi colleghi già di per se abbastanza dark.

Il luogo di nascita di Steve porta il nome di Takoma Park, appena fuori Washington D.C., 17.000 anime, povertà e crimine che vanno di pari passo e l’ombra della droga che sembra inghiottire tutti. 

Il padre di Francis è un eroinomane che Steve non conoscerà mai e viene cresciuto dalla madre e dalla nonna. 

Fin da subito fa amicizia con una cosa al tempo più grande, letteralmente di lui, e che gli salverà la vita: la palla da basket. Al campetto, a scuola, persino a letto, SF l’ha sempre con sé. 

Gioca tutto il giorno e si nota perché al playground, anche a 8 anni, se la vede con leggerezza con i ragazzini di 12. Bassino e magro come una spiga in giro lo soprannominano “Wink” (più o meno “strizzata d’occhio”). 

Passa il tempo e Wink cresce ed è sempre più forte e quando arriva il momento dell’high school Francis sembra destinato a dominare con le sue giocate il campionato statale. 

Ma nubi nere come la pece scuriscono il cielo della famiglia di Steve ed il suo futuro, che pareva radioso. 

Al primo anno di Liceo Francis fa conoscenza con le attrazioni di Takoma Park, non le più costruttive del mondo. Le sue frequentazioni, che definiremmo "poco raccomandabili" lo portano a marinare la scuola, bere e fumare. Niente di anormale per un adolescente del luogo, ma Steve normale non è: dovrebbe essere la giovane promessa della Montgomery Blair e invece trascura proprio il suo amore. Salta gli allenamenti e complice la sua non attitudine al gioco di squadra viene prima rilegato in panca per poi essere espulso definitivamente dalla scuola. 

A questo punto se qualcuno avesse scritto la parola fine sulla cartiera cestistica del nostro, non si sarebbe discostato troppo dalla realtà.

Francis cambia scuola, nel suo anno da sophomore, ma i voti scarsi e le regole statali gli impediscono di giocare. 

I suoi higlights vengono tutti dal playground dove non conosce rivali, ma se solo pochi anni prima sembrava destinato ad una grande carriera adesso qualcuno lo comincia ad etichettare come l’ennesima promessa della zona, rimasta tale.

Poi la tragedia. La madre di Steve e dei suoi fratelli si ammala di cancro e muore. Com’è facile da comprendere in una famiglia già disagiata di suo una perdita tale può significare l’annientamento di una vita intera. E Steve, parecchio emotivo, la prende male, malissimo. 

In giro non si vede più, nemmeno al playground dove era solito passare gran parte delle sue giornate. Non ce la fa più Steve e lascia la sua anima vuota di ciò che la riempiva quasi completamente, il basketball. 

Lo molla per 2 anni, per ben 730 giorni Steve Francis non tocca la palla da basket. La leggenda di Steve Francis sembra vedere la fine prima ancora che abbia avuto un vero e proprio inizio.

Ma la notte, si sa, è sempre più buia prima dell’alba. 

Steve molla la pallacanestro, ma non il contrario. Il re dei campetti di Takoma Park ricomincia a sentire antiche emozioni rinascere dentro di se. Non può mollare con quel talento e senza una prospettiva di vita degna di questo nome. 

E così torna a giocare, frequentando le partite organizzate dai vigili del fuco locali. Si avete letto bene, i vigili del fuco. E nonostante i mesi d’inattività Francis è inarrestabile. La voce si sparge di nuovo e in palestra accorrono molti dei migliori giocatori dell’area metropolitana di Washington. Tutti vogliono vedere di che pasta è fatta il ragazzino e lui lo mostra a tutti, distruggendo letteralmente qualsiasi point guard si trovi davanti, sia questa un fireman o un giocatore di Division 1. 

Fra gli spettatori delle partite anche tale Lou Wilson, un allenatore del circuito AAU, che convince SF a giocare nella sua squadra. Steve accetta e torna a giocare un basket organizzato. Poi una tournée in Florida dove Francis affronta alcuni dei migliori liceali della costa est e gli annichilisce uno ad uno con giocate incredibili ancora oggi raccontate in molti dei barbershop di Takoma Park. 

La leggenda continua.

Steve Francis adesso non è più solo un fenomeno dell’area di D.C., ma il suo nome circola a livello nazionale. 

E’ un senior Steve, con alle spalle una non-carriera all’high school e risulatati accademici deludenti, ma il talento è strabordante e questo è sufficiente a Scott Gernander, il coach del San Jacinto Junior College (una struttura scolastica intermedia biennale), per reclutarlo.

Steve accetta e arriva in Texas come la point guard titolare di una squadra ambiziosa. Il suo compagno di stanza è Alex Scales, che anni dopo giocherà anche in Italia e in Europa.  

Francis sorprende tutti. Trascina San Jacinto alla finale del torneo dei Junior College ed è all’unanimità considerato il miglior giocatore dell’anno. 

Ma il Texas è lontano, troppo lontano da casa e SF decide i trasferirsi in una struttura più vicina per il suo secondo anno, all’ Allegany College of Maryland. 

Con l’inizio della nuova stagione ormai non si parla di più di partite di basket fra due Junior College, ma di assistere allo Steve Francis Show. 

Numero 23, alto ormai 6'3 (192 cm) Steve Francis domina a piacimento il campionato. Le cifre dicono che è uno pronto anche per la Division 1, quello che non raccontano sono le giocate ad alta quota, le schiacciate terrificanti in faccia a tutti, gli assist al laser e soprattutto il carisma e la leadership di questo giovane 19enne, diventato ormai l'idolo di ogni ragazzino dello zona. 

Steve Francis adesso è Steve Wonder, Steve Meraviglia.

La salivazione degli scout NBA aumenta, ma quando Gary Williams giunge a casa Francis con una borsa di studio e una maglia della University of Maryland con cucito dietro il cognome giusto, Steve, in lacrime, accetta. 

E fa bene perché la sua unica stagione nei Terrapins è da antologia: 17 punti e quasi 5 assist per gara conditi da 3 palle recuperate. Maryland, nella quale presenziavano fra gli altri anche Juan Dixon e Terence Morris, arriva alle Sweet Sixteen del torneo NCAA e Steve viene nominato nel primo quintetto ideale della ACC. 

Ma come sempre c'è di piu. Il suo stile di gioco In Your Face, Steve Wonder lo perpetua anche in Division 1. Crossover e schiacciate  in testa ai lunghi della ACC come se non avesse fatto altro per tutta la vita (e per certi versi è così...) intervallati da assist al bacio e da un'innata disciplina tattica che rispedisce al mittente le molte critiche riguardanti la sua, presunta, avversione al gioco organizzato 5vs5. 

Quello che impressiona maggiormente però, non sono le sue straordinarie doti atletico-tecniche, ma le urla belluine che rivolge gara dopo gara a compagni e avversari, la sua capacita di essere clutch come dicono in America, decisivo quando serve e la sua leadership. In altre parole Steve gioca davvero con l'anima, una dote rara anche fra i cavalli di razza NBA. 

Ora, al Draft se ne vedono delle belle da sempre. Completi improbabili, dichiarazioni discutibili, lacrime e sorrisi. Ma quello a cui assistettero i testimoni quel 30 Giugno 1999, beh fu davvero inaspettatamente incredibile.

La selezione si svolge all’MCI Center (oggi Verizon Center) di Washington D.C. e c’è ovviamente moltissima attesa sul prodotto locale Steve Francis, che arriva accompagnato da mezza Takoma Park. 

Francis è in lizza per la prima scelta assoluta con Elton Brand, ala-pivot undersize di Duke ed il diritto di chiamata è nelle mani dei Chicago Bulls, in cerca di ricostruzione dopo l’era Michael. Un solo problema, alla 2 scelgono i Vancouver Grizzlies e Steve ha rilasciato un interessante dichiarazione poco prima del Draft: “Io non giocherò per i Vancouver Grizzlies, sono troppo lontani dalla mia famiglia ”. 

Inaccettabile che un ragazzo di poco più di vent’anni detti condizioni ancora prima di essere un giocatore NBA? 

E infatti con la prima i Bulls portano a casa Brand e con la secondo i Canadesi chiamano il nostro, in barba alle sue parole e ai suoi desideri. 

Vorremmo poter trovare le parole adatte per descrivere la faccia e la reazioni di Steve Francis nell’istante in cui sentì il suo nome pronunciato da David Stern e associato ai Vancouver Grizzlies, ma ci rimane impossibile. Se potete recatevi immediatamente su Youtube  e gustatevi la più incredibile reazione della storia del Draft NBA. Fate conto un uomo che si reca dal dentista accompagnato dai suoceri. 


Ma perché uno che solo 3 anni prima era un giocatore amatoriale di una zona poverissima degli Stati Uniti che faticava a mettere insieme il pranzo con la cena e che adesso si appresta a guadagnare milioni di dollari, abbia avuto una tale reazione e soprattutto un rifiuto totale verso una delle città più belle del mondo, non è dato saperlo. 

Se non con un: è semplicemente Steve Francis, prendere o lasciare.

E Vancouver, che solo pochi anni dopo si trasferirà a Memphis, lascia, cedendo Steve agli Houston Rockets in uno scambio che coinvolse ben 11 giocatori e 3 squadre, al tempo il più corposo della storia. 

Gli Houston Rockets, al tempo si trovavano in una delicata fase di transizione. Pippen era stato ceduto dopo solo una stagione in Texas, il sole della carriera di Olujuwon stava inesorabilmente tramontando e The Round Mound of Rebound, al secolo Charles Barkley, era ormai solo la prima parte del suo soprannome. 

Furono sufficienti una manciata di allenamenti per capire che Steve Francis sarebbe dovuto essere il futuro della franchigia: Steve Franchise.

A rendere il tutto ancora più eccitante, coach Rudy Tomjanovich che consegna le chiavi dell’attacco alla sua giovane point guard e il numero 3, ovviamente, non si fa pregare per prenderle.

The Franchise fa il bello ed il cattivo tempo anche nella NBA, giocando con la stessa aggressività vista sui playground di Takoma Park. Durante la sua prima stagione NBA non passa una settimana senza che sia nella classifica delle migliori giocate di NBA Action. La sua maglia è una delle più vendute d’America e alcune delle sue giocate vengono appese sui muri delle camerette statunitensi, e non, sottoforma di poster. 

Poster come quello in cui viene raffigurato ad Oakland, durante la gare delle schiacciate  persa in finale contro un inarrivabile Vince Carter, in una delle più belle edizioni che si ricordino.

Alla fine della stagione 1999-2000, chiusa con 18 punti e oltre 6 assist per gara, Steve viene nominato Rookie dell’anno, assieme al Bull Elton Brand. 

La NBA sembra aver trovato la point guard del futuro, la vetrsione ancora più elettrizzante di Allen Iverson, in soldoni “The Next Sensation”.

Ma c’è un problema. I Rockets non vincono. 

Almeno non a sufficienza. Se nella prima stagione di Francis il record recitava un comprensibile 34 W e 48 L, la stagione successiva Houston pur migliorando di 11 vittorie il proprio bilancio stagionale, manca di nuovo i playoffs. 

Il terzo anno in maglia Rockets di Steve Francis meriterebbe un capitolo a parte. Houston è nelle sue mani e l’annata 2001-2002 sembra destinata a vedere finalmente brillare la stella di Steve anche ai playoffs. Ma come spesso è accaduto nella vita di questo incredibile uomo, qualcosa va storto. Francis comincia ad avvertire nausea e debolezza sempre più spesso, accompagnate da terribili emicranie. 

Viene vistato dallo staff medico dei Rockets, ma nessuno pare trovare una spiegazione a tutto ciò. 

Incredibilmente Steve Wonder continua a sbalordire, a tal punto da essere votato dai tifosi come starter nell’All Star Game. 

Poi finalmente la diagnosi. Steve soffre di sindrome di Ménière, una sintomatologia causata da un aumento della pressione dei fluidi dell’orecchio interno (labirinto), che provoca attacchi ricorrenti di sordità, acufeni (ronzii o fischi in una o ambedue le orecchie), vertigini (gravi problemi di equilibrio), nausea, vomito, una sensazione di pressione aumentata all'interno dell’orecchio. 

Inoltre è accompagnata da sudorazione e nistagmo (movimenti ritmici orizzontali a scatti incontrollabili degli occhi).

Anche solo pensare di poter scendere in campo soffrendo di tali disturbi è impensabile, figuriamoci giocare come un All Star!



Steve perde comunque numerose partite a causa del suo problema e di un infortunio alla gamba. I Rockets chiudono l’anno con un deprimente 28-54.

Fra i corridoi NBA qualcuno comincia a pronunciare l’aggettivo perdente accanto al nome Steve Francis e la cosa non piace ai Rockets che invece credono molto nel loro numero 3. Per dimostrarlo lo invitano, come rappresentate, a presenziare alla lotteria del Draft NBA. 

Com’è come non è The Franchise la spunta anche in questa occasione e Houston si aggiudica la prima scelta assoluta nonostante le basse probabilità.

La scelta si traduce in uno dei giocatori più incredibili della storia della NBA, il cinese Yao Ming, 2 metri e 31 centimetri pronti a diventare la cosa più dominante della decade successiva. Ma questa, si sà, è un’altra storia.



Steve adesso è pronto per portare i Rockets ai playoffs con Yao ed il suo amico e compagno di reparto Cuttino Mobley. 

Houston si trasforma in una squadra strana: energica da un lato, con Steve e Mobley, e tecnica dall’altro con il totem orientale. 

Il nuovo one-two-punch della lega parte in quintetto all’All Star Game di Atlanta (nell’elezione di Yao pesarono leggermente i voti cinesi, che furono tanti, ma proprio tanti...), ma nonostante questo la squadra di coach Tomjanovic fallisce ancora una volta la qualificazione alla post season. 

Steve è, numeri alla mano (21 punti, 6 assist e 6 rimbalzi di media), una delle migliori 5 point guard del campionato, ma ancora all’asciutto di playoffs. Non un bel segno visto anche la presenza di compagni più che validi al suo fianco.

La dirigenza decide, quindi, di voltare pagina e assume come head coach Jeff Van Gundy, ex Kincks, ex figlioccio di Riley che con Rudy T e la sua filosofia di gioco fatta di emozioni ed isolamenti ha poco, molto poco, a che fare. 

I Rockets arrivano finalmente fra le 16 che contano, ma i numeri di Steve calano vertiginosamente. Senza la palla in mano continuamente e con le attenzioni del suo coach rivolte più alla difesa che all’attacco, Steve produce “solo” 16 punti di media e non viene selezionato per la partita delle stelle dopo 3 apparizioni consecutive.  

Come potete facilmente immaginare The Franchise non è esattamente uno che le manda a dire e gli scontri con il suo allenatore si susseguono per tutta la stagione al termine della quale viene dunque ceduto, assieme al suo amico Mobley, agli Orlando Magic in cambio di Tracy McGrady. Le prime dichiarazioni di Steve fanno pensare ad un Vancouver-gate bis, ma dopo poche settimane Francis è il nuovo idolo della O-Arena e lui gradisce. 

In Florida Steve Wonder rimane due stagioni. 




Una prima eccellente dal punto di vista della produzione offensiva (di nuovo oltre 21 punti di media conditi da 7 assistenze) e degli highlights che come sempre non si fanno mancare. 

La seconda meno. La società decide di spedire il suo gemello Cuttino Mobley a Sacramento e Steve la prende male e più o meno la sua carriera finisce qui. 

Si, avete capito bene.


Viene sospeso dalla squadra e poi ceduto al circo satanico dei Knicks di un tempo (oddio non che quelli attuali siano così diversi) a fare coppia con Stephon Marbury. 

L’esperimento dura poco più di un anno e Steve, rallentato da numerosi infortuni, viene ceduto di nuovo, stavolta ai Blazers, senza lasciare grandi ricordi dalle parti del Madison. 

Portland preferisce pagare un buy-out di 30 milioni piuttosto che accollarsi Steve Francis.

E’ l’estate 2007 e Francis, free-agent, si accorda per una grande ritorno in quel di Houston. 

Ma sfortunatamente non è più lo Steve di una volta. Non ha più la stessa aggressività negli occhi e gli infortuni gli hanno fatto perdere anche un po’ di esplosività.

E così a solo 8 anni dal suo esordio nella NBA, quella che era stata la guardia più elettrizzante della storia recente, virtualmente si ritira , sparisce nel nulla, come se avesse imboccato una porta d’uscita laterale. 

Perché Steve Francis non ha mai giocato per i soldi o per la fama, ma solo con e per la sua anima. Anche a costo di rifiutare contratti più che onerosi gli sono stati offerti immediatamente dopo il 2008 come quello dei Memphis Grizzlies, declinato aggiungendo: “Non faccio il cambio di Conley.”

Oggi Steve è un businessman. Investe i soldi che ha guadagnato nella NBA in linee d’abbigliamento e in una cosa discografica, la Mazerati Music (in contrapposizione con la ben più celebre Maybach Music di Rick Ross). Lo si può vedere anche in un video musicale in cui si cimenta come rapper. 

Probabilmente questa è l’ultima volta che sentirete parlare di Steve Francis, la point guard più elettrizzante  dei primi 2000, Russell Westbrook prima di Russell Westbrook, l’highlight vivente e l’unico che nel bene o nel male è sempre sceso in campo per genuino amore del gioco.

Un tributo questo. Glielo dovevamo.

© Riproduzione riservata
E. Carchia

E. Carchia

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Comments Occorre essere registrati per poter commentare 7 Commenti
  • Baker 25/09/2012, 17.32

    Peccato!!Uno dei tanti giocatori..ke non c'è l'ha fatta..a spaccare fino in fondo....ps.me lo ricordo ai Knicks......meteora....

  • Zappateer 25/09/2012, 15.57

    Mai piaciuto...

  • Marat 25/09/2012, 15.47

    Il tiro alla sirena da Knick contro Washington fu da brividi....

  • ap2311 25/09/2012, 14.33

    Giocatore elettrizzante, per chi non l'ha mai visto giocare un westbrook senza durant, con carta veramente bianca...per un paio di anni è stato veramente uno spettacolo da vedere!!!

  • harrycallaghan 25/09/2012, 12.29

    lieto di avere notizie su Steve Francis, giocatore fantastico di cui veramente non sapevo più nulla... Tributo più che doveroso per un ragazzo che, fosse stato più fortunato, avrebbe tranquillamente potuto essere un dominatore! Gli auguro i migliori successi nella sua vita ormai fuori dal basket

  • DAngeloRussell 25/09/2012, 11.24

    mamma mia grande Steve, era uno dei miei preferiti insieme a Iverson e a Kobe

  • Yaomingmania 25/09/2012, 10.55

    grandissimo tributo per non dimenticare questo giocatore inarrestabile e sfortunato contemporaneamente, bei ricordi con Yao Ming