Nano Press
Facebook Twitter Instagram Google+ YouTube RSS Feed Italiano English Türkiye
NBA 25/03/2012, 19.55

Live From NYC

La settimana di un fan incallito nella grande mela

NBA

Day 1

 

Eccomi finalmente al JFK dopo il consueto lungo e scomodo viaggio necessario per attraversare il grande oceano. Appena uscito dall'aeroporto scorgo subito un paio di maglie numero 17 di Lin, ma ancora non immagino la follia per l’americo-taiwanese che si è abbattuta sulla grande mela. Il tassista che mi accompagna a Manhattan è un portoricano sulla cinquantina di nome Edgar. Il tragitto è interessante: si attraversa grande parte del Queens e per questo mi capita di osservare alcuni dei playground calpestati negli anni da migliaia di giocatori, molti dei quali divenuti poi professionisti. Sullo sfondo tanti, troppi housing projects le tristemente famose case popolari erette dalle amministrazioni locali degli anni '60 che sarebbero dovute diventare un tetto per chi un tetto non se lo poteva permettere e che invece si sono trasformate in luoghi dove povertà e malaffare si mescolano in una miscela di pericolosa e deprimente. Nonostante si legga spesso che New York sia da tempo rivalutata nelle sue aree peggiori, ancora oggi molte zone del Queens non appaiono come posti sani in cui vivere.

 

Sono le 16 quando arrivo nell'isola di Manhattan e nell'intraprendere un piccola passeggiata esplorativa m'imbatto in uno dei tanti negozi sportivi che affollano le vie della City. Lo scenario è da pazzi, Jeremy Lin campeggia su ogni tipo di T-Shirt, canotta, tazza, portachiavi, braccialetto, felpa e bandiera in vendita nell'esercizio. I Jets campioni NFL sono rilegato in un angolo buio del negozio. Incredibile.

Continuo la mia camminata e non credo a quello che vedo, Linsanity è davvero ovunque compreso in bar sulla 42esima dove servono il “Lin Tonic”. In serata mi ritrovo a fare due chiacchere con un barman di un locale molto trendy che mi dice che Jeremy era passato alla sua locanda a farsi un succo di frutta. Chiedo se anche Melo o Stat si facciano vedere ogni tanto, ma la risposta è fin troppo vaga: "Don't know...." 

Jeremy Lin è l’assoluto monarca della città.

 

Day 2 

 

La mattina è di quelle buone visto il cielo azzurro e un caldissimo sole. Mi dirigo sulla 5a, non prima di aver comprato un giubbotto Adidas con un piccolo logo dei Knicks sul petto. Più che un logo diventerà un distintivo. La 5a strada ospita anche l'NBA Store, spostatosi di recente un po' più a nord rispetto alla precedente ubicazione e notevolmente ridottosi come metratura. Un breve tour all'interno è più che sufficiente date le taglie medie delle jerseys più accattivanti, mai sotto la doppia XL. In ogni caso, porto via con me la maglia numero 35 di OKC.

 

Day 3

 

E' il giorno della gara che vedrà i Knicks affrontare i derelitti Trail Blazers e ho i biglietti. Come antipasto decido per una piccola visita presso "The West 4th Street Courts" meglio noto come "The Cage", il famosissimo campetto del Greenwich Village regno di molti ball players poi divenuti pro. Sono appena le 15 e il campo è vuoto, ma nonostante sia stato lì anche in un mio precedente viaggio, l'emozione è forte nell'imaginarmi Stephon Marbury schiacciare in penetrazione, magari in faccia a “Half Man Half Amazing” non Vince Carter, ma bensì un eroe del locale plyground reso famoso dalla AND 1. Prendo la metro per tornare verso l'albergo, situato ad un paio di isolati dal Madison e mentre esco dal sottopassagio un 30enne di colore mi ferma indicandomi il loghetto dei Knicks cucito sul mio capo: "Yo you know the news?" Sorpreso a dir poco dall'interrogazione, sussurro un no poco convinto, ma l'enfasi del mio interlocutore è troppo forte e nemmeno ascolta la mia risposta: "They fired D'Antoni!" 

Ancora non realizzo bene e di nuovo il mio sguardo appare disorientato. Il moro ripete la frase aggiungendo che suo fratello lo aveva saputo non so come e gliel’aveva appena comunicato. Scambio due parole su come sia di nuovo fallito il progetto di rinascita dei Knicks e su come fosse prevedibile una mossa del genere vista la serie di sconfitte consecutive che stava accompagnando i blu-arancio. Sono sconvolto e allungo il tragitto verso Time Square dove uno dei 1000 maxi schermi affissi sulla piazza saprà darmi conferma. Così è: su un' enorme led targato ESPN passa la news "D'Antoni resigns as Knicks coach." 

Un tizio di fianco a me commenta il fatto con un "It was inevitable with Melo" e io concordo. 

La verità è che Mike sarebbe stato un ex allenatore gia a Gennaio, se non fosse scoppiata la Linsanity; il suo attacco e in generale il suo approccio mal si dicono con uno come Carmelo Anthony che ha bisogno continuo di palla in mano e uno contro uno. It was inevitable.

 

Il Madison Square Garden è un qualcosa di indescrivible. Le luci e l'atmosfera rapiscono tutti, figurarsi un patito della palla a spicchi e ancora una volta l'essersi già stati non cambia assolutamente niente. Arrivo circa 30 minuti prima della palla a due e nel posto dov’è nata, la Linsanity assume caratteri soprannaturali. Se non avete almeno un capo o un gadget che riporti il nome del 17 sembra che tifiate per gli altri. Un ragazzo all'entrata offre di tagliare i capelli alla Jeremy Lin. Scusate ma in che senso alla Jeremy Lin? Voglio dire, posso capire alla Ron Artest, ma Lin ha uno dei tagli più banali e meno cool che io ricordi. Tant'è.

Mi siedo al mio posto mentre i Knicks stanno facendo riscaldamento. Sorridono tutti e aleggia una sensazione di sollievo, soprattutto sul viso di Melo. Si dice che sia stato lui a silurare D'Antoni dopo un alterco in spogliatoio circa lo stile di gioco offensivo e che abbia messo il proprietario Dolan alle strette nella più classica delle situazione "lui o me". Sebbene entrambi smentiranno nelle prossime ore questa ricostruzione tutta NY sa che è andata più o meno così.

Arriva la presentazione dei padroni di casa e poichè si celebra la Noche Latina, Los Knicks vengono introdotti in spagnolo da nientepopòdimenoche Felipe Lopez, ex superstar delle High School newyorkesi, figlio del Bronx. Su di lui si potrebbe scrivere un buon libro, dalla copertina di Sports Illustrated a 16 anni con lui che schiaccia alla Michael con sfondo la skyline della mela alla deludente carriera NBA. Il ritmo domenicano manda in estasi tutto il Madison compreso chi scrive. Quando però viene introdotto Anthony la felicità collettiva si tramuta in coro di buu. Mi chiedo se davvero il pubblico stia contestando colui che, nativo di Brooklyn, dovrebbe essere il salvatore dei Knickerbokers. Ma non riesco a finire il mio pensiero che vengo travolto da un boato che ricordo di aver sentito solo ad un paio di concerti quando il frontmen appariva sul palco. La voce di Felipe si sente a malapena, poi capisco. E' stato introdotto Jeremy Lin.

La partita è tale solo per i primi 5 minuti di gioco, ai quali segue un garbage time di 3 quarti e mezzo. I Blazers giocano male, senza energia e palesemente disuniti mentre i Knicks giovano della novità Woodson e la loro palla sembra semplicemente più leggera. Alla seconda tripla di Melo il pubblico del Garden si è già scordato di averlo fischiato pochi minuti prima e il 7 è di nuovo il preferito di casa, dopo Lin ovviamente. Le bombe di Novak e Smith e le schiacciate di Stoudamire e Shumpert rendono questa non competitiva quantomeno divertente.

Al termine del match, fuori dal Madison, in molti parlano di “new style”, ma io ci credo poco.

 

Day 4

 

E’ un’altra di quelle mattine primaverili, calde e serene, in cui New York sembra davvero la città giusta per tutto. Esco presto e nella subway compro il New York Post che dedica la copertina ai Knicks. Il titolo è inequivocabile “Il Coach dei Knicks fuori dopo uno scontro con Carmelo” e con il 7 immortalato in una schiacciata il cui pallone è però sostituito con il volto dell’ex Olimpia. A caratteri cubitali “Slam Dump” dove dump è inteso come scaricare. All’interno del quotidiano un paio di articoli interessanti a firma Peter Vecsey e Mike Vaccaro intenti a spiegare come l’attacco di Woodson ai tempi degli Hawks, fatto soprattutto di isolamenti per Joe Johnson, possa essere più congeniale ai vari Melo e Amar’e. Francamente non pensavo a Mike D’Antoni come l’allenatore giusto per questi giocatori, ma che la soluzione sia Woodson, mi lascia comunque perplesso.

 

Day 5

 

Stasera i Knicks ospitano i Pacers in quella che si prospetta come gara dal grande interesse anche perchè Indiana, a differenza di Portland è una squadra molto solida. Ad aggiungerci un po’ di peperoncino ci ha pensato Danny Granger che ha definito “winnable” (letteralmente “vincibile”) il back to back dei suoi contro i Knicks (la seconda partita si sarebbe giocata in Indiana). Purtroppo non ho i biglietti per questo giro, ma decido di fare un tentativo al botteghino del Garden. Mi chiedono di separarmi da più di 400 bigliettoni, decisamente troppi per le mie scarse possibilità. Peccato.

Mi consolo guardando un po’ di NCAA in uno dei tanti bar che trasmettono la March Madness. Le partite non riservano nessuna sorpresa, ma il tizio accanto a me continua ad insistere che sarà Baylor a tagliare per ultima la retina. Sebbene i Bears siano una squadra di indubbio talento io rispondo che sia North Carolina che Syracuse mi sembrano superiori oltre a Kentucky che in singola serata può battere tutti. L’uomo, un bianco di chiare origini europee, mi liquida con poche parole. 

Al bar trasmettono anche i Kincks, che vincono facilmente contro i Pacers, sfoggiando grande entusiasmo. Chissà che invece non sia proprio coach Woodson l’uomo giusto per questi ragazzi.

 

Day 6 

 

La giornata è grigia e mentre esploro la parte nord di Brooklyn scorgo un playground, ovviamente popolato di giocatori, nonostante il tempo, appunto, non sia dei migliori. Mi chiedo se esista nel mondo un’altra metropoli con così tanta passione per il basket. Credo di no. 

 

Day 7 

 

Oggi lascio la grande mela per fare ritorno a casa. Il tassista che mi accompagna al JFK è un pakistano oltre la 50ina di nome Arif. Mi racconta di essere arrivato a New York ormai 27 anni fa. Chiedo che effetto abbia fatto la vittoria del Superbowl da parte dei Jets, ma la risposta è scontata: “Yeah that was good, but you know, nobody cares about football, here’s all Basketball....” Questa me l’aspettavo. Iniziamo una lunghissima chiaccherata sulla palla a spicchi newyorkese, favoriti dal traffico domenicale che ci rallenta non poco. Arif è un vero esperto e conosce più o meno tutti i giocatori che negli anni hanno vestito la maglia bianco-blu-arancio. Il suo preferito all time è il grande Anthony Mason, ala dal fisico granitico nato e cresciuto proprio nella grande mela. Attraversando il Queens, grazie ad una piccola deviazione, mi mostra anche uno dei playground  in cui The Mase faceva il bello ed il cattivo tempo, ma Arif precisa che i playground più competitivi si trovavano e si trovano tutt’oggi ad Hollis una zona del Queens che il mio driver definisce come “...Di gran lunga la più malfamata della città” . Stavolta niente deviazione. Il mio uomo mi racconta, con un velo di malinconia, anche di come molti giocatori NBA negli anni ’90 erano soliti tenersi in forma sui campetti newyorkesi durante il periodo estivo e di come questa tradizione si sia estinta col tempo. Chiedo ovviamente di Jeremy Lin, ma il pakistano lo bolla come un “average player” un giocatore normale e dice che la follia è esplosa solo perchè il 17 ha origini asiatiche, l’etnia che in questi anni va per la maggiore non solo a NY, ma in tutti gli states. 

 

La virata dopo il decollo dell’aereo mi concede un ultimo sguardo alla city e, da super appassionato cestistsico quale sono, penso che ancora una volta New York mi ha emozionato come raramente è accaduto nella mia vita. Poi vedo la statua della libertà e capisco: dopo tutto anche lei sembra chiedere palla in post basso....

© Riproduzione riservata
E. Carchia

E. Carchia

Potrebbero interessarti
Comments Occorre essere registrati per poter commentare 1 Commento