Chandler Parsons su The Players' Tribune: Una pagina per Memphis
La traduzione del pezzo scritto da Chandler Parsons su The Players' Tribune
Memphis, sarò di ritorno sul parquet questa stagione quindi voglio prendermi un attimo per buttare giù alcuni pensieri. La strada è stata tutta in salita da quando sono arrivato qui due anni fa ma me ne assumo tutta la responsabilità.
Due anni sembrano un tempo lunghissimo - per me ma credo anche per voi, ne sono sicuro. Non abbiamo vinto quanto avremmo voluto o potuto. Ho dovuto affrontare diversi infortuni, come anche Marc e Mike. C'è una cosa però che è vera oggi come lo era due anni fa: io voglio giocare a Memphis. Due anni fa, a luglio, ho avuto un meeting con i Grizzlies da cui sono uscito sicuro della mia scelta. Ho scelto Memphis, e l'ho fatto perchè era la situazione migliore per me. Mi piaceva la gente, la cultura, il modo in cui la città si sentiva come fosse proprietaria della squadra. Inoltre ho un gran rapporto con JB Bickerstaff da quando era a Houston prima di spostarsi a Memphis. Crescendo in Florida, molte cose di Memphis sembravano familiari, sentivo che poteva essere la mia casa per anni.
Poi mi sono infortunato. Credevo di sapere a cosa stavo andando incontro e invece no, non ne avevo la minima idea. La guarigione è stata molto più dura e lunga del previsto. Ho dovuto affrontare la frustrazione, dentro e fuori, ho dovuto imparare tanto... A rivolgere indietro lo sguardo, non l'ho fatto velocemente come avrei voluto. Non ho avuto l'esperienza necessaria per sapere come reagire propriamente alle critiche.
Continuo a credere che Memphis sia al 100% il posto giusto per me, ma so che voi ragazzi non mi avete praticamente mai visto indossare la divisa dei Grizzlies e non è bello. Questa stagione sarò di ritorno, mi sento bene, mi sento forte. Voglio guardare avanti ma prima voglio velocemente parlare del passato, ve lo devo.
Prima dell'NBA, prima della AAU ero un grande appassionato di basket. La mia famiglia viveva a Winter Park, una cittadina poco fuori Orlando. I Magic erano la mia squadra, li ho tifati e li ho caldeggiati a chiunque ne parlassi ma sembrava che fossero come lasciati nel dimenticatoio. Non rispettati, perfino. Eppure in quegli anni '90 ci si divertiva, avevamo un grande team. Gli anni di Penny e Shaq furono tutto ciò che un tifoso Magic potesse desiderare e anche se ero piuttosto giovane all'epoca, ciò che quei ragazzi fecero fu rendermi un vero fan dei Magic.
La cosa strana è che, dopo tutti questi anni... il ricordo più vivido è uno negativo.
Quando Shaq partì per Los Angeles affrontammo anni perdenti. Mi ricordo il giorno in cui tutto sembrò poter cambiare, avevo 11 anni. Ci fu la notizia dell'arrivo di Grant Hill, a quel tempo ero un suo fan sfegatato, avevo il poster in camera e perfino le divise di quei Pistons con quelle scritte così strane... erano bellissime. Grant aveva uno gioco fluido sia fuori che in post, poteva segnare in sospensione e batterti in palleggio per andare a schiacciare. Era la notizia migliore del mondo per me a quell'età: il mio giocatore preferito che veniva a giocare nella mia squadra del cuore, quante volte capita? Avrei comprato la sua maglia non appena fosse stata in vendita.
Poi nulla andò come previsto. Grant Hill affrontò infortuni su infortuni e giocò circa 200 partite in oltre sette anni per i Magic. Quando se ne andò nel 2007 lo accusavo dei fallimenti della squadra. L'avevo presa sul personale, come se ci avesse lasciato in quel modo solo per deludermi.
Ci ho pensato spesso questa estate. E' curioso accorgersi di rivivere la stessa situazione ma stavolta come giocatore. Non sono Grant Hill, ma come lui sono andato in una nuova squadra e mi sono infortunato subito. Due anni sono passati e, da quando sono a Memphis, non sono mai stato così vicino dall'essere il giocatore che ero prima dell'infortunio. Ma durante molti di questi giorni credo di aver dimenticato il modo in cui mi sentivo da tifoso di pallacanestro. Quando mi piombavano addosso le critiche vorrei essermi ricordato meglio di come mi sentivo a 11 anni riguardo la mia squadra.
Non sono l'unico giocatore NBA che ha saltato molte partite per infortunio, lo so da prima di farmi male. Ho imparato però alcune altre cose con le cattive. Sono piuttosto sicuro che la maggior parte dei giocatori infortunati non rispondono ai tifosi su Twitter, mettendosi sulla difensiva o in modo competitivo o che ne so. Io l'ho fatto più di una volta ed è stato stupido.
Sono anche sicuro che molti altri giocatori infortunati non si arrabbiano quando i giornalisti chiedono conto dei progressi della riabilitazione o sulla tua vita privata. Ho fatto anche quello, qualche volta. Stupido. Ho lasciato che alcune di quelle cose mi entrassero sotto pelle. Per come la vedevo io, ero frustrato perchè non ero in campo. Era la mia parte competitiva a parlare ma tant'è, mi ritengo comunque responsabile. Ci è voluto un po' di tempo ma ora riesco a vedere come pur credendo di essere coinvolto in e con Memphis… non lo ero affatto.
Sono un tifoso di basket e so come, da tifoso, senti di dare molto alla tua squadra e che i giocatori non riescano a pareggiare tutto questo. Vorrei aver saputo di dover essere molto più disponibile e molto più aperto durante l'infortunio poichè nessuno avrebbe potuto vedere il mio contributo in campo. Invece, quando mi avete visto in vacanza o paparazzato durante una cena o a postare cose su Instagram probabilmente è sembrato che non mi importasse nulla della squadra. Quando oggi ripenso a queste cose e mi ricordo di quando ero un fan dei Magic ormai tanti anni fa credo di aver capito da dove sia nata questa situazione.
Sì, gli infortuni sono stati una sfortuna. Mi sono fatto male e non ho potuto giocare lo sport che amo. Essere infortunati per più anni di fila rende facile il cadere in un posto buio da cui riemergi più scontroso e da cui credi di non poter più tornare il giocatore che eri prima. Il processo di guarigione è tedioso, non è una grande novità, ma nel il modo in cui l'ho affrontato non c'entra nulla la sfortuna. Ero io.
Sono assolutamente cambiato anche come giocatore. Ho modificato molto della mia routine - dal cibo, all'allenamento, alle abitudini quotidiane. Questa estate ho lavorato sodo come non mai, negli ultimi due mesi la giornata tipo partiva presto e senza la palla. Si cominciava con il lavoro sul corpo, forza e equilibrio. Subito dopo sollevamento pesi: squats, jerks, stacchi da terra e simili. Sollevare pesi non è una novità ma questa volta ho imparato a riprogrammare ogni piccolo movimento. Ho dovuto fare attenzione al modo più efficiente per completare un esercizio e farlo senza mettere su troppa massa muscolare per prevenire altri infortuni. E' stato un po' come analizzare al microscopio il tiro in sospensione. Dopo i pesi un po' di yoga e poi, finalmente, qualche ora di allenamento con la palla.
Ne ho fatta di strada dai giorni in cui non potevo fare un 5 contro 5 a velocità partita. Credo di aver dato per scontato il saper lavorare sul mio gioco e di aver preferito le partitelle durante la off-season. Le mie ultime due estati hanno cambiato tutto questo, ho passato quattro ore al giorno per la riabilitazione invece che concentrato sul gioco. Questa estate ero al 100% e ho potuto incontrare Blake, PG, Courtney Lee, Marcus Smart e altri giocatori per fare qualche partita e allenarsi insieme. E' stato bello correre con questi ragazzi, ne era passato di tempo dall'ultima partita con dei professionisti. Ed è stato bello vedermi ai livelli a cui ero prima dell'infortunio, era come ai vecchi tempi.
So che l'ultima cosa che volete sentire da me sono promesse sulle mie prestazioni future – e so che devo mostrarlo sul campo. Ciò che credo di voler dire è che semplicemente... sono qui. Sono a Memphis, continuo ad amarla. Ho avuto le mie difficoltà qui ed è per questo che voglio mettermi alla prova più di ogni altra cosa. Sono qui per lavorare e di lavoro da fare ce n'è. Non sono fiero di come ho gestito pubblicamente il mio infortunio. Di positivo c'è che mi sento più forte mentalmente e fisicamente di due anni fa. Quindi ho intenzione di fare adesso ciò che volevo fare allora... Una nuova partenza da nuovo giocatore, con molto da dimostrare.
Traduzione di Michele Da Campo