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NBA 22/03/2018, 14.44

Caron Butler su The Players' Tribune: Sedici anni, nove squadre, un amore

La traduzione dell'articolo scritto da Caron Butler su The Players' Tribune per annunciare il suo ritiro

NBA

SEDICI ANNI, NOVE SQUADRE, UN AMORE

 

La prima volta che mia mamma ha volato su un aereo si è spaventata a morte. Credo che, sotto sotto, potrebbe ancora avercela con Pat Riley.

 

Era il giorno dopo il draft NBA 2002 ed eravamo a 30,000 piedi di altezza da qualche parte tra il Wisconsin e la Florida. Gli Heat mi avevano appena scelto al draft. Pat Riley mi aveva mandato l’aereo privato della squadra. Se chiudo gli occhi posso ancora ricordare mia mamma, Mattie, sul suo comodo sedile, che guardava me a destra e a sinistra fuori dal finestrino. Che combinazione di immenso orgoglio e assoluto terrore!

 

“L’aereo è tutto per noi?” diceva. Non ci poteva credere. Eravamo solo la mia famiglia – io, mia mamma, la mia fidanzata e mio fratello – e due delegati degli Heat.

 

Questa cosa lasciava di stucco anche me, però cercavo di rilassarmi. Mentre mi mettevo a sedere cercavo di far uscire l’aria dal naso. Il delegato degli Heat aveva fatto vedere sia a me che a mio fratello dove Alonzo Mournig e LaPhonso Ellis sedevano quando la squadra viaggiava. Non ci sembrava vero.

 

“Questa cosa non è normale” dissi a mia mamma.

 

Continuavo a ripetermi, “Ti devi comportare come un membro degli Heat ora”. Probabilmente non ero stato ingannato da nessuno. Insomma, avevo già preso l’aereo per andare alle partite quando ero a UConn, ma mai in prima classe o in qualcosa del genere. E questo aereo? Andava al di là della prima classe. Era la Pat Riley class. Nella mia testa pensavo: “Ok, stai calmo. Ce la stai facendo, Caron. Sei il migliore. Comportati come se non fosse la prima volta.”

 

Quando ci penso ora, mi appare divertente. Stavo provando a mantenere sotto controllo le aspettative di mia madre. Ma la verità è che ero terrorizzato.

 

È successo 16 anni fa, quando arrivai a Miami per iniziare la mia carriera NBA. All’epoca se mi avessero detto che avrei giocato per 9 squadre diverse, per più di 15 anni, avrei avuto la medesima indescrivibile espressione di mia mamma sull’aereo.

 

Ma eccomi qui. È stato un grande viaggio e una vera benedizione. Ogni cosa procede seguendo il suo corso, anche le cose buone. Oggi, mi sono ritirato dalla NBA.

 

Sapete, ho pensato di scrivere a un me stesso più giovane, poi mi sono ricordato… “Nah, Caron 12enne non avrebbe ascoltato un cazzo di quanto gli veniva detto.” Non avrebbe contato nemmeno il fatto che sarei tornato indietro dal futuro solo per consegnargli la lettera. La avrebbe gettata nella spazzatura nel preciso istante in cui avrebbe scoperto che nell’involucro non c’erano soldi. Poi, probabilmente, si sarebbe preso gioco della mia testa rasata e mi avrebbe dato dell’anziano.

 

Voglio raccontarvi di alcune persone che hanno reso la mia carriera NBA “un sogno che si realizza”.

 

Inizia tutto con Pat.

 

Sono cresciuto a Racine, Wisconsin, ed era tutto ciò che conoscevo per circa 18 anni della mia vita. Non avevo mai lasciato lo stato, veramente. Voglio dire, avevo sentito parlare di Chicago. Avevo visto una volta qualcosa su le persone che facevano volare gli aquiloni sulla spiaggia di Miami. Ma oltre ai due anni vissuti in Connecticut, Racine era la mia unica realtà sociale. Le grandi città erano nei film e in TV.

 

Poi improvvisamente ero al telefono con Pat Riley. Dal momento in cui riattaccai il telefono dopo la nostra prima telefonata avvenuta il giorno del draft, al momento in cui misi piedi dentro alla facility (impianti di allenamento) dei Miami Heat, fu come un’esperienza extra corporea. Mi sentivo come se ce la avessi davvero fatta, come se stessi per diventare qualcuno, sapete cosa voglio dire no? Ero semplicemente il ragazzo più felice del mondo. Volevo rendere la mia famiglia e Racine orgogliosa di me. Ero pronto a dedicare me stesso al basket finché il mio corpo me lo avrebbe permesso.

 

Pat stava per farmi vedere che ancora non sapevo un cazzo.

 

Non c’era un party ad aspettarmi a Miami quando arrivai in palestra il primo giorno. Non aveva niente a che vedere con l’andare a divertirsi in discoteca con sigari e tutto il resto, anzi.

 

Fu così: “Il tuo armadietto è laggiù. Se arrivi all’allenamento un’ora prima – sei in ritardo. Dovresti iniziare a lavorare domani mattina. E puoi dirmi di nuovo il tuo nome?”

 

Quello è ciò che ho sentito quando sono arrivato lì. Quella era l’atmosfera degli Heat. Era un cambiamento tosto – aereo privato, limousine, con cui andare a giro in una città nuova con la mia famiglia e tutti che erano orgogliosi di me – e poi iniziare realmente ad allenarsi… perché è lì che vede l’altro lato di Pat Riley. È tutto quello che gli ha permesso di vincere quegli anelli. È Pat che in pratica ti dice: “ Vai ad allenarti nel modo giusto oppure non fai parte della squadra.”

 

Ero fortunato perché ero già passato attraverso un sacco di cose nella mia vita. La reputazione di Miami per la vita notturna avrebbe potuto far deragliare qualche ragazzo, ma non mi ha mai preoccupato. Avevo avuto il mio primo bambino a 14 anni. Ero stato arrestato più di una dozzina di volte durante la mia adolescenza. A 16 anni, fui messo in carcere dopo che la polizia aveva trovato droghe e una pistola nel mio armadietto a scuola. Ho perso praticamente tutto più di una volta e ho perso molte persone a me care quando ero molto giovane. Quindi non ero in cerca di divertimento, non finché sarei stato in NBA. Oltre a ciò, il basket era qualcosa che avrei protetto ad ogni costo. Ero arrivato troppo lontano per lasciarmi distrarre dal rumore della vita notturna.

 

Ma ero ancora giovane, cavolo. Avevo la giusta attitudine mentale, ma non sapevo davvero come lavorare.

 

Quei primi mesi era cruciali per definire la mia carriera. Non posso dire di più – i Miami Heat sono il motivo per cui sono stato in grado di resistere così a lungo in NBA. Mi buttai dentro con, credo, un solido atteggiamento mentale per iniziare – il desiderio, la forza di volontà, con qualunque parola tu la voglia dire. Ma giocare a Miami – giocare per Pat Riley e Stan Van Gundy – in cui c’era una cultura sul duro lavoro che mi lasciò sbalordito. Loro mi hanno insegnato il modo giusto di allenarmi, di prepararmi alle partite. Tutte quelle piccole cose che fanno la differenza. Quel genere di cose che non si vede quando vedi i giocatori NBA su TNT ogni sera.

 

Forse, fortunatamente, capii davvero presto che il talento non è così importante in NBA come potreste magari pensare. Il talento è fondamentale, ma iniziai a imparare che se dai del tuo meglio ogni partita – se entri in ogni singola partita pronto a buttare sul campo tutto quello che hai – avrai sempre una chance di vincere, anche se sei inferiore in quanto a talento. La “garra” vince le partite nel basket. Che una vera e propria “garra” non sia importante ai livelli più alti è un mito.

 

Coach Riley mi ha insegnato cose in molti modi diversi. Una cosa che faceva, e che non dimenticherò mai, è che lasciava dei bigliettini nel mio armadietto. Alcuni giorni li trovavo prima dell’allenamento. A volte era un appunto su qualche aspetto del mio gioco o un fondamentale su cui dovevo lavorare e, altre volte, era solamente una frase di incoraggiamento. Questi bigliettini contenevano al massimo una o due frasi, ma ogni volta che ne ricevevo uno faceva un grande effetto su di me. Era come se avessi una conversazione top secret con il padrino della pallacanestro – era come se avessimo avuto un linguaggio tutto nostro. Sentivo che, in qualche modo, ogni singolo bigliettino mi stava rendendo un giocatore migliore.

 

Alcuni anni dopo, ad Oklahoma City, iniziai a fare la medesima cosa con Kevin Durant. KD è sempre stato per me come un fratello minore. Quando mi ringraziò, durante il suo discorso da fresco vincitore del premio di MVP, di aver fatto ciò ne rimasi sorpreso e felice, ma nella mia mente stavo solamente trasmettendo quello che avevo imparato da Pat Riley, che, in pratica, mi ha insegnato tutto ciò che so.

 

Proprio per questo mi fece davvero male quando scoprii che fu Pat Riley che aveva deciso di scambiarmi con L.A. dopo la mia seconda stagione a Miami. Pensavo che io e Pat avessimo questo tipo di legame speciale con la pallacanestro.

 

Voglio dire, dannazione, mi sarei scambiato anche io con Shaq. Se riesci a guardarti allo specchio e a dire che sei più utile ad una squadra rispetto a Shaq, allora non so proprio cosa dirti. Hai un problema con il tuo ego.

 

Il dolore per questa operazione non durò così a lungo. È qualcosa che viene da sé nel crescere in questa lega. Come ho detto, ero abituato a rimanere in un posto per aver modo di crescere sotto tutti i punti di vista quindi mi aspettavo di rimanere a Miami per tutta la mia carriera. Questi primi anni passati a giocare con D-Wade, Brian Grant, Eddie Jones, Alonzo, furono veramente un’esperienza di apprendimento incredibile.

 

Ma così va la vita. In un lasso di tempo molto breve, mi spostai da South Beach a Los Angeles. Da Dwayne Wade a Kobe Bryant. Dwayne Wade è uno dei miei migliori amici in assoluto, ma è difficile per chiunque lamentarsi di dover affrontare un bel viaggio insieme a Kobe. Una volta arrivato ad L.A., era forse una settimana dopo, non ricordavo nemmeno il motivo per cui ero così arrabbiato per la trade.

 

Rimasi a L.A. solo per una stagione e poi fui scambiato a Washington. È strano, quella seconda trade non mi fece poi così male. A quel punto capii che quella era stata solamente una buona decisione. Gli Wizards avevano un gruppo di giovani giocatori di talento, ed ero entusiasta di avere un’opportunità di giocare lì.

 

Per i successivi sei anni sarei stato uno Wizard, un All – Star e avrei vissuto alcuni dei migliori anni della mia vita, giocare con Antawn Jamison, Brendan Haywood e quel ragazzo di nome Gilbert Arenas, che predicava pallacanestro in ogni palazzetto – e ancora non si faceva chiamare Hibachi. Ricorderò sempre quanto le persone a Washington amassero quella squadra – L.A. e Miami erano grandi città in cui giocare, ma D.C. è stato il luogo in cui ho passato la maggior parte della mia carriera e la considererò sempre come la mia seconda casa.

 

Essere scambiato mi ha aiutato a capire la verità sul business che ruota intorno al basket. In qualsiasi posto sono andato ho provato subito ad essere un esempio in allenamento, nel modo in cui avevo imparato a Miami – sempre in palestra, cercando di migliorare attraverso le piccole cose. E in qualsiasi squadra abbia giocato, mi sono fatto degli amici. Insomma, quando stai insieme a un gruppo di ragazzi ogni singolo giorno, ci sono sempre dei modi per creare dei legami, se ovviamente li cerchi e sei aperto ad essi.

 

Non posso dire che è stato altrettanto facile per la mia famiglia. Ho giocato per nove squadre diverse nel corso della mia carriera. Una volta ci siamo spostati a Phoenix per trenta giorni. Mia moglie, Andrea, doveva sopportare molti spostamenti. I miei figli erano sempre i nuovi ragazzi nelle loro scuole. Mia mamma – è stata praticamente sempre orgogliosa di me per tutto il tempo della mia carriera. Potevo segnare anche solo due punti ma lei sarebbe rimasta lo stesso sorpresa dal fatto che non fossi stato nominato “Player of the game”. (Grazie mamma).

 

Ma la mia famiglia ha sacrificato molto per permettere di farmi avere una carriera. Questa cosa non la prendo alla leggera.

 

Inoltre, tuttavia, sono veramente molto fortunato e benedetto solo ad essere qui – ad essere vivo. È qualcosa di molto vicino ad un miracolo. Quando lo dico, sto veramente parlando di vita e di morte. Questo ultimo weekend, sono tornato a Racine per partecipare ad un funerale. Era per un ragazzo di 26 anni di Racine a cui la polizia aveva sparato varie volte mentre era in fuga con la sua auto. Non lo conoscevo personalmente, ma in certo senso sì. Io e i miei amici cresciuti a Racine, sapete, ci sentiamo come se poteva capitare a noi. So come ci si sente ad essere intrappolati qui, a Racine – perché praticamente è così che mi sentivo da piccolo. Sono stato fortunato. Conosco troppe persone che non ce l’hanno fatta – o sono stati uccisi o sono stati beccati mentre conducevano uno stile di vita “sbagliato”. Sono stato a molti funerali. Non è mai facile. Ed è strano, arrivi ad un certo punto della tua carriera, come ho avuto io, in cui le persone ti dicono che ce l’hai fatta… e pensi: “Dannazione, ce l’ho fatta sul serio!”. In un certo senso è vero, ma non è così semplice. Continuo ad andare avanti e lo farò sempre.

 

È importante per me che i bambini e i ragazzi che vengono da Racine, o da posti simili, vedano che sono esattamente come loro. Provengo dallo stesso luogo in cui sono loro e sono stato anche io un bambino. Ho fatto cose stupide. Ma ho imparato. Non è stato facile imparare quelle lezioni e sono sicuro che ci è voluto più tempo di quanto sarebbe piaciuto a mia madre, però alla fine ho imparato. E una volta raggiunto un obiettivo, non ho mai mollato. Non volevo deludere le persone che credevano in me.

 

E sono stato fortunato ad averne così tante.

 

Qui alla fine dell’articolo, vorrei fare dei ringraziamenti speciali ad alcune persone. Potrebbe sembrare una lunga lista di nomi, ma non potete pretendere che un ragazzo che ha girovagato nella lega per così a lungo non abbia una piccola città di persone da ringraziare. Porgo in anticipo le mie scuse alle molte persone che ho sicuramente dimenticato.

 

Prima che giocassi la mia prima partita NBA, mia moglie disse che la mia famiglia sarebbe venuta con me in qualsia luogo avessi giocato a basket. È sempre rimasta fedele alle sue parole e le sono più grato di qualsiasi altra cosa nella mia vita. È e sarà la cosa più bella che mi sia mai capitata.

 

Quando penso al percorso che ho fatto nella mia carriera, penso a BJ Evans, Rob Wilson, Tim Donovan, Andy Elisberg, Jay Sabol, Marjie Kates, Shivani Desai, Tim Grover e a tutta la famiglia Arison.

 

Penso alla famiglia Buss a Los Angeles. Mitch Kupchak, Magic Johnson, Alison Bogli, Eugenia Chow.

 

A Washington: Ernie Grunfeld, Milt Newton, Tommy Amaker, Sashia Jones, Candace, Susan O’Malley.

 

A Dallas: Mark Cuban e Rick Carlisle.

 

La mia squadra dei Clippers: Blake Griffin, DeAndre Jordan, CP3 – voi, ragazzi, mi avete dato nuova linfa vitale quando sono tornato a Los Angeles dopo un anno di infortunio. Matt Barnes, Lamar Odom, Chauncey Billups, il mio idolo Grant Hill. Mai avrei immaginato in un milione di anni che sarei stato capace di poter condividere il palcoscenico con qualcuno come te.

 

Milwuakee. È sempre stato il mio sogno avere la possibilità di indossare un uniforme dei Bucks. John Hammond e il Senatore Kohl lo hanno fatto accadere. Onestamente, tutti a Milwuakee lo volevano. Non c’è niente come giocare nel proprio Stato di origine. Grazie a tutti per essere stati parte di quella esperienza.

 

Ad OKC: Sam Presti, KD e Russell Westbrook.

 

A Detroit: Tom Gores. È stato fantastico ricongiungersi con Stan Van Gundy e giocare con i miei fratelli Andre Drummond, Reggie Jackson e KCP.

 

Vlade Divac – che mi ha chiamato mentre ero sul mio divano nel 2016, ed io che stavo pensando che la mia carriera fosse finita, e invece ho passato un anno a giocare con Rajon e Boogie a Sacramento.

 

I fratelli Raymond, la NBPA e Michelle Roberts, Melvin Claybrook, Jarvis McMillan, Richard Butler, David Stern, Adam Silver, Kate Skidmore, Chrysa Chin, Britney Thompson, Carmen Wilson. Il padre che non ho mai avuto, il coach di UConn Jim Calhoun. Il mio allenatore del liceo Max Goode. Steve Springer, Dana Newman, Mark Wahlberg, Rick Martinez, i miei agenti Kelly Swanson e Lisa Milner…

 

Questo ragazzo merita un paragrafo a parte: per sempre mio fratello, Rasual Butler, che è scomparso recentemente. Ricorderò sempre noi due che entravamo insieme in questa lega. Come me, Rasual ha giocato per alcune squadre nella sua carriera e aveva tutte quelle cose che ammiro in una persona, non solo in un giocatore di basket – duro lavoro, professionalità, positività, sportività. Lui era il compagno di squadra migliore del mondo. Mancherai alla famiglia NBA, amico.

 

E un grazie ai fan – non saprete mai la gioia che mi avete portato. Mi auguro che quando pensiate al nome Caron Butler, voi vi ricordiate quanto io abbia amato e rispettato il gioco. Spero che abbiate l’immagine di un ragazzo che ha dato tutto quello che aveva sia fisicamente che mentalmente. So che è un cliché, ma questo per me era molto più di un semplice gioco – è stato ciò che mi ha salvato da un triste e cupo futuro.

 

Penso ancora con affetto a quel primo volo verso Miami del 2002, quello con la mia famiglia sull’aereo privato degli Heat – non perché fosse lussuoso o stravagante o perché, per la prima volta, fui portato su una spiaggia. Il motivo è che per la prima volta nella mia vita stavo andando da qualche parte.

 

Giocare nella NBA è stato un sogno – ho passato sedici anni con questi fantastici compagni di squadra e allenatori. È stato meglio di quanto avrei potuto immaginare. Mi sarò anche ritirato dal basket giocato, ma ci rimarrò molto vicino. Vi graviterò intorno in un modo o nell’altro.

 

Voglio solo che sappiate che ho vissuto i migliori momenti della mia vita e voi mi avete aiutato a renderlo possibile.

Traduzione di Davide Battente 

 

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Comments Occorre essere registrati per poter commentare 10 Commenti
  • FromTheOrigins 22/03/2018, 21.09 Mobile

    Bellissima intervista anche questa. Ne vogliamo altre!!!!!!

  • TrueBryan 22/03/2018, 18.59

    just beat it #teambattente #dacaisdead #whatisthisIdontknow


    [ link ]

  • Daca 22/03/2018, 18.46 Mobile
    Citazione ( )

    *** Commento moderato da Sportando ***

    Sta cosa che continui a sopravvivere aL disqus mi perplime... Quanto li paghi? Di chi sei parente? Denunziati per Dio.

  • Daca 22/03/2018, 18.10 Mobile
    Citazione ( AVS 22/03/2018 @ 17:28 )

    Veramente stupenda, questa me l'ero pescata, bravo Daca https://i.pinimg.com/originals/92/f8/72/
    92f87294a7f7925d433f8397f87ead93.jpg

    ......................... Sai com'è fatta l'India?

  • AVS 22/03/2018, 17.28 Mobile

    Veramente stupenda, questa me l'ero pescata, bravo Daca [ link ]

  • RosetoBasket 22/03/2018, 15.32

    L'esultanza più bella della storia del basket!!!

  • David 22/03/2018, 15.17

    Bellissimo. Bravo Caron

  • TakeThisLife 22/03/2018, 15.06

    bello.
    ma nulla supera le conversazioni aeree Francis rappettone vs Olajuwon