After the Process: Incontro con Sam Hinkie 2.0 (pubblicato anche il 5.12 su Sports Illustrated)
La traduzione di un pezzo su Sam Hinkie dello scorso dicembre
Nota di Redazione: Il pezzo è dello scorso dicembre, per la traduzione c'è voluto più del previsto ma abbiamo comunque deciso di pubblicarla visto l'impegno di Luca nel tradurla.
Cosa faresti appena ottenuto il lavoro dei tuoi sogni? Un sacco di gente – probabilmente la maggioranza di noi – non prenderebbe rischi. Dopotutto, hai appena ottenuto il lavoro dei tuoi sogni. Non avrebbe senso perderlo.
Altri, però, potrebbero fare qualcosa di innovativo, perfino audace. Dopotutto, hai appena ottenuto il lavoro dei tuoi sogni. Non avrebbe senso sprecarlo.
E poi c’è Sam Hinkie, l’ex GM dei 76ers. Hinkie ha saltato la parte dell’audace, ed è passato direttamente al “mi stai prendendo per il c**o?!”. Ha fatto quel tipo di cose di cui la gente parla a fine serata, dopo tre birre, perché teoricamente potrebbero anche funzionare, ma nessuno ha il coraggio di provarle davvero. Poi ha dato fuoco alle scialuppe di salvataggio. E a seconda del punto di vista da cui si guarda, il suo piano o ha funzionato (più o meno) o è fallito in modo spettacolare.
Questa storia parla di cosa è successo dopo. Di cosa succede quando hai 38 anni, hai già fatto saltare in aria una franchigia e sei allo stesso tempo un eroe di culto e un esempio da non seguire.
Che fai poi?
Caffè. Per prima cosa bevi un sacco di caffè. Hinkie ne prende una prima tazza alle 6.30 di mattina quasi tutti i giorni, poi un’altra mezzora dopo. Quando lo incontro, alle 9 di una recente mattina di ottobre al Blue Bottle Coffee di Palo Alto, California, è alla terza tazza. Siamo circondati da mamme salutiste, fondatori di start-up e circa 250.000 dollari di MacBooks.
È un momento interessante per stare con Hinkie. La sera prima, i 76ers – i suoi 76ers – sono scesi in campo per il loro debutto stagionale, che hanno perso. Ma a nessuno importava del risultato perché tutta l’attenzione era sul debutto di Joel Embiid, il centro camerunese di 2.13m scelto al draft 2014 da Hinkie, che ha trascorso le ultime due stagioni a bordocampo per infortuni ai piedi. Si potrebbe dire che è andata bene. In 22 minuti Embiid ha segnato 20 punti, preso 7 rimbalzi, e in generale è sembrato la copia pirata di Hakeem Olajuwon.
La prestazione ha fatto felici molti. Embiid, ovviamente. I proprietari dei Sixers, che, incalzati dalla lega, avevano spinto fuori Hinkie la primavera scorsa. E, forse più di tutti, i tifosi dei Sixers, alcuni dei quali reagirono come se avessero visto la Madonna. Durante la partita “Sam Hinkie” era un trend su Twitter. Alla fine, Embiid ha twittato “Trust the Process”.
E Hinkie? È triste? Arrabbiato? Discolpato? No, dice di essere felice. Felice per Embiid. Felice per tutte le persone che lavorano ai Sixers.
Non è molto interessato a parlarne, comunque. Hinkie vuole essere quello con “lo sguardo più lontano”, ed è attualmente focalizzato sul futuro. Apprendimento automatico. Intelligenza artificiale. Sviluppo tecnologico industriale. Bloccato da una “non-compete clause” (patto di non concorrenza) fino al termine della stagione, vede questo “anno sabbatico” (parole sue) come un’occasione per rivalutarsi, reinvestire su se stesso e cambiare la sua immagine pubblica.
Di sicuro sembra diverso. A Phila aveva le guance rasate, portava una perfetta riga a sinistra, come un personaggio di Mad Men che ha preso vita. Possedeva 25 blazer blu, tutti taglia 40 regolare. L’obiettivo: ridurre lo stress decisionale, il fenomeno psicologico per cui più decisioni siamo costretti a prendere in ogni giorno della nostra vita, più peggioriamo nel prenderle. Quindi, come Steve Jobs (dolcevita nero, jeans) e Barack Obama (completo blu o grigio), stabilì un’uniforme e le restò fedele. Boom! Decenni di scelte eliminati in un colpo.
Ora, invece, i suoi capelli marroni diradati sono rasati alla stessa lunghezza di una barbetta nascente da informatico, e indossa pantaloncini, maglietta e maglia di lana. Sembra sia appena arrivato per l’asta del fantacalcio. Alla fine della sua avventura a Phila, Hinkie non poteva ordinare da GrubHub senza che il fattorino gli chiedesse di posare per un selfie (foto che avrebbe fatto in garage per non svelare il suo indirizzo). Da quando si è trasferito a Palo Alto, ad agosto, deve ancora essere riconosciuto una volta.
Oltre alle ragioni più ovvie – meteo, cultura, contatti lavorativi, anonimato – ,Hinkie è venuto qui per stare tra coloro che chiama “la mia gente”, quants (esperti di matematica e scienze affini, che applicano le loro conoscenze alla gestione finanziaria e alla borsa), sognatori, nerd con la passione per l’intelligenza artificiale, e visionari. All’opposto del mondo dello sport, che a prescindere dalle varie sfaccettature che può avere è sempre lento ad accogliere il cambiamento, nella Silicon Valley la rottura è attesa. Qui nessuno prova a replicare lo status quo o accettare la mediocrità. Qui le compagnie lavorano per anni senza registrare profitti, nel bene e nel male. “Quando incontro qualcuno qui, dico: ‘In questa fase sto valutando varie opportunità professionali’”, dice Hinkie. “O, se voglio essere carino, a volte posso dire: ‘Oh, sono tipo il fondatore di una compagnia che è stato cacciato perché volevano una gestione più professionale’, e loro rispondono: ‘Oh, è la prima volta? A me è capitato nell’85, nel ’93 e nel ‘02’”. Prende una pausa. “Non c’è quel senso di vergogna per il fallimento che è presente invece da altre parti.”
Hinkie ha fallito? Quando ha preso in mano le redini di Philadelphia nel maggio 2013, la squadra era assolutamente mediocre e per di più in peggioramento. Pochi asset. Brutti contratti. Hinkie fa il paragone con l’entrare in una partita a Monopoly che è già a metà, solo che “Tu non hai nessuna proprietà, tutte le banconote da cento sono andate e gli altri hanno Viale dei Giardini”. Allora ha fatto uno studio di ingegneria inversa su come avere successo nell’NBA, e ha deciso che il risultato assomigliava molto a Magic Johnson e Larry Bird e Shaquille O’Neal. Ovvero: stelle. E il modo migliore per prendere le stelle, ha stabilito Hinkie, è attraverso il draft, sebbene le probabilità siano basse anche lì. Quindi Hinkie si è liberato dei giocatori migliori e ha costruito i Sixers prima per perdere, e poi per perdere un po’ di più. Per tutto il tempo ha messo da parte talenti oltreoceano (come Dario Saric), e preso big men infortunati con grandi margini di crescita (Nerlens Noel ed Embiid).
Il progetto non fu accolto particolarmente bene. La lega, temendo possibili emulatori di Hinkie, si sbrigò per riformare il sistema della lottery, in modo da ridurre le probabilità per la squadra con il record peggiore di ottenere la prima scelta (ma i voti non furono sufficienti). La critica accusò Hinkie di essere non competitivo e di dimenticare che alla base degli sport professionistici c’è l’intrattenimento: str**zo, secondo te come dovrei spiegare a mio figlio di nove anni che la sua squadra del cuore ora è una serie di fogli Excel invece degli eroi della città?
Hinkie non reagì. Una persona di buon senso può non essere d’accordo con i risultati scarsissimi, e infatti molti non lo sono stati, spesso manifestandolo in modo acceso (una gran quantità di materiale da leggere vi aspetta online se siete curiosi).
Il giudizio del pubblico alla fine dipenderà da cosa succederà in futuro. Se Embiid e Ben Simmons diventeranno due dei migliori lunghi della lega, e Saric continuerà a crescere, la storia potrebbe essere riscritta. Invece, se i Sixers continueranno a faticare, la gente potrebbe dire: “Te l’avevo detto”.
Entambe queste reazioni non centrerebbero il punto, secondo Hinkie.
“Perché guardiamo le partite di basket dall’inizio alla fine?”, chiede Hinkie. “Perché non guardarle al contrario, fuori dagli schemi?”
Due settimane dopo siamo insieme a San Francisco, su una Uber, tra il secondo meeting del giorno di Hinkie, con il fondatore di una start-up in ambito sanitario, e il terzo, con un vecchio amico di Stanford che ora gestisce un fondo speculativo. Mentre la città scorre davanti a noi, Hinkie discute di uno dei suoi argomenti preferiti: la narrativa.
Facendo le cose in ordine cronologico – leggere le risposte di un candidato per un lavoro, guardare video di un giocatore – lui pensa che si finisca per sopravvalutare il contesto. Mi sono piaciute le prime tre risposte del candidato, quindi sono predisposto a farmi piacere anche la quarta.
Il problema con le narrazioni è che contengono eroi, cattivi, protagonisti, cambi di indole dei personaggi, redenzione e vendetta, e ognuno di questi fattori può oscurare fatti, verità, realtà. Queste reazioni derivano, secondo Hinkie, dalla parte più istintiva del cervello. Il che significa che sono semplicistiche e, per un uomo che crede che ci siano duemila sfumature di grigio, questo è fonte di preoccupazione e timore.
L’altro problema con le narrazioni è che, ti piaccia o no, sono potenti, davvero potenti. Uno studio citato frequentemente ha scoperto che se inserisci dettagli in una storia, questa ha fino a 22 volte più possibilità di far presa. Ricordate Cecil il leone? Certo, perché un dentista un giorno ha ucciso un caro e grazioso animale, e improvvisamente tutti ci siamo interessati alla protezione dei leoni. Ma se un’organizzazione avesse comunicato solo l’informazione “leoni africani stanno venendo uccisi a un ritmo insostenibile”, probabilmente non sarebbe penetrata nella tua coscienza.
Hinkie è consapevole di questo fenomeno. “Sono superappassionato di questo argomento” dice, il che non sorprende. Hinkie è superappassionato di un sacco di cose. Parliamo di un uomo che ascolta libri al triplo della velocità e cura il suo account su Pocket come altri uomini hanno una curato forse una volta nella vita l’album dei ricordi, perché se vuoi davvero capire qualcosa non c’è modo migliore che dedicare sei ore a leggere un libro su cui qualcuno ha speso cinque anni di ricerche (densità d’informazione!). Ha fatto sua una mentalità improntata alla crescita e l’abilità di essere un lifelong learner (per questo è un grande fan di Steve Kerr).
Quindi, dopo anni di riservatezza che quasi sfociava nella paranoia, scomparendo dai riflettori per settimane e concedendo pochissime dichiarazioni – perdendo controllo della narrazione di sé, essenzialmente per paura che spiegando troppo avrebbe perso il suo vantaggio strategico – Hinkie ora, un po’ esitante, si sta mettendo in rapporto col mondo. A settembre è comparso su Twitter con il suo vero nome, inviando una serie di dieci tweet terminata con la richiesta di consigli di lettura (a cui in centinaia hanno risposto, compreso Embiid che inviò un link a un articolo su lui stesso). In realtà Hinkie è su Twitter da dieci anni – è la sua principale fonte di notizie – ma questa era la prima volta che si palesava al pubblico. Come ha detto a un certo punto: “Ho imparato che non posso permettermi di stare sempre zitto.”
Il che ci porta alla storia che state leggendo. Non era un’idea di Hinkie. Al contrario, teme che essa possa dare l’impressione che lui sia in un “tour di riabilitazione pubblica”. Questa è la ragione per cui ci è voluto un mese di corteggiamento per convincerlo ad accettare, con molti vincoli. Parlare con la moglie? No. Con i genitori? No. Una foto? Per quanto riguarda questa, Hinkie ha avuto bisogno di dormirci su. Poi ha deciso che era accettabile.
Ciò nonostante, è ansioso. “La parte peggiore del lavoro di general manager è che è pubblico”, dice. “E quindi faccio il possibile per proteggere la gente che amo perché sono stato io a scegliere questa vita, non loro.”
All’inizio, dopo essersi dimesso, Hinkie voleva fuggire da tutto. Magari un viaggio in Patagonia, o “uno di quei posti dove è sempre estate”. Ma poi pensò ai suoi quattro figli – Tyler, nove anni, Hudson, sei, e i due gemelli di due anni Cooper e Cole – e, parole sue, “realizzai che non sarebbe stata la cosa più da papà da fare”. Amici della NBA lo hanno incoraggiato a mettersi in forma, magari fare triathlon, ma non gli interessa. Invece ha seguito il consiglio di Paul DePodesta, ex GM dei Dodgers e discepolo del Moneyball, che ora è ai Cleveland Browns. “Prendila come una rara possibilità di riconcentrarti sui prossimi venti anni della tua vita”, gli ha detto DePodesta. Quindi, Hinkie pensa al disegno globale mentre definisce obiettivi piccoli e realistici, come fare una lezione a Stanford il prossimo semestre e insegnare a Hudson ad andare in bicicletta. Nel frattempo, i tre maschi più grandi di casa Hinkie, Sam compreso, vanno a scuola in monopattino tutte le mattine. “L’ultima volta che sono stato disoccupato era il 1989. Ho visto la ricerca sui pensionati e come si sentono”, dice Hinkie. “Per come sono fatto io, non posso sicuramente di dire che la mia pensione andrà benissimo”.
Per combattere questo, si è creato un arsenale di suggerimenti. Ogni ora tra le sei di mattina e le sei di sera, il suo orologio Fitbit vibra. Non per ricordargli di fare esercizio; come dice Hinkie, “non mi sento costretto a fargli buona impressione”. Invece, è un segnale per valutare l’ora precedente. È stato produttivo? Ha raggiunto i suoi obiettivi? Poi trascorre i successivi sessanta secondi esaminando l’ora seguente. Una volta essersi centrato a dovere, Hinkie riprende la sua giornata.
Se quel giorno è lunedì, mercoledì o venerdì, raramente include email. Allo stesso modo, non controlla i messaggi di mattina perché “non puoi permettere all’agenda di qualcun altro di influenzare la tua giornata”. Se sua moglie Ali ha bisogno di lui, chiama due volte di fila. Altrimenti, raramente risponde al telefono. “Se non crei una struttura, il tuo tempo verrà mangiato velocemente”, allerta Hinkie. “E l’alternativa è più dura di quel che pensi, perché il mondo lo risucchierà”.
Le mattine sono riservate a compiti creativi perché il cervello è fresco. I pomeriggi ai meeting. Nel mezzo ci sono “opportunità per colpi di fortuna”. Durante una di queste finestre, al Blu Bottle, un vecchio amico lo vide e menzionò il fatto che stava andando a pranzo con l’uomo di Google Translate. Sam voleva andare? Sì, sì, voleva. Due ore più tardi, dopo un profondo tuffo nell’algebra lineare, Hinkie aveva ottenuto una nuova serie di conoscenze.
Uno dei giorni in cui l’ho seguito, Hinkie aveva messo un meeting di seguito all’altro per ottimizzare il tempo (alcuni erano con gente che l’aveva cercato, con la speranza di chiedergli un consulto, mentre altri erano stati fissati da lui). Incontrò studenti di Laurea Specialistica in Business Administration di Stanford pieni di speranze, tutti che sembravano voler gestire una squadra un giorno. Ascoltò il rigido fondatore di una start-up descrivere la sua ricerca di un’ottimizzazione della vita, che includeva mangiare lo stesso cibo, un curry raccomandato dal dottore, ogni giorno per nove mesi. Si trovò d’accordo con il capo della Positive Coaching Alliance, di cui è membro del comitato consultivo nazionale, e gli raccomandò di contattare Stan Van Gundy (“Fagli richiesta di una clinic. È come una calamita per i Van Gundy”). Una mattina ci siamo trovati in una sede di Facebook, dove Hinkie aveva appena finito di parlare allo staff della realtà virtuale. Un altro pomeriggio facemmo una camminata di quattro miglia – la ricerca dimostra che camminare migliora le capacità cognitive, dopo tutto – e parlammo dell’essere genitori e della “Bayesian probability” (per chi vuole farsi un’idea, https://en.wikipedia.org/wiki/Bayesian_probability; ndt).
Quando la gente incontra Hinkie per la prima volta, rimane spesso sorpresa. In primo luogo, perché è più divertente di quanto ci si aspetti (a un certo punto fa una battuta: “Se Pop trasforma David Lee in un grande difensore, significa che è un mago e dobbiamo bruciarlo vivo”). Ma soprattutto per il contrasto tra l’indole amabile e la sua capacità di analizzare criticamente situazioni in modo scientifico e senza pietà. Will Weaver, che ha lavorato per i Sixers e ora è special assistant di coach Kenny Atkinson ai Nets, ha incontrato Hinkie per la prima volta a metà anni 2000, quando stava cercando di entrare nel mondo del basket. Dice Weaver: “Le cose più carine che diceva di me non suonavano come complimenti. Aveva l’abilità di fare valutazioni senza farsi coinvolgere emotivamente”. Quando Weaver ebbe lasciato il meeting, dopo un’ora e mezzo, chiamò la madre e le disse due cose. La prima: “È una persona con cui un giorno voglio lavorare”. Seconda: “È il tipo più strano che abbia mai incontrato”.
È una tema ricorrente quando si parla di Hinkie. “C’è una grossa differenza tra chi è Sam e chi il mondo pensa che sia”, dice Than Powell, un amico dei tempi dell’università. Ma è vero a metà, perché da un certo punto di vista Hinkie è esattamente chi pensi che sia. Ovvero: quando lui e Ali sono volati a Palo Alto quest’estate per cercare casa, Sam ha usato il wi-fi sull’aereo per affittare un software di ottimizzazione di strade e percorsi da un’impresa di trasporti. La sua logica: una percentuale delle ventiquattro case che avevano già selezionato poteva essere eliminata anche solo passandoci davanti con la macchina, perché a volte lo senti subito se è quella giusta o no. Quindi Sam pianificò un percorso per l’auto ideale, e la mattina dopo, prima di incontrare il vero agente immobiliare, lui e Ali tagliarono dodici delle ventiquattro case dalla lista in due ore. Questo fece risparmiare un giorno di ricerche, che usarono per godersi una rarissima giornata insieme senza figli.
Tuttavia, Hinkie non è sempre così. È allo stesso tempo super razionale e un uomo di profonda fede. È il tipo di persona con cui vorresti andare a bere una birra – buona compagnia, pungente –, solo che lui non beve. È freddo ma anche sentimentale. Un amico racconta come, nella fase dei primi corteggiamenti ad Ali, Hinkie trascorse le sue ferie invernali a infilare spiccioli in un telefono a gettoni per chiamarla dalla portineria di Disneyworld, dove si trovava la sua famiglia (gli Hinkie amano Disneyworld). Poi Sam convinse la portineria a vendergli quello stesso telefono, che ora si trova nella loro casa a Palo Alto. Possiede anche una stecca della panchina di Parigi dove chiese ad Ali di sposarlo.
Con i Sixers, Hinkie era celebre per il suo distacco emotivo. “Capitavano giornate brutte, e lui era esattamente come quando Robert Covington segnava quaranta punti e noi sembravano bravi ad averlo firmato”, ricorda un collega. “Non c’era mai nessuna variazione nel suo modo di affrontare le cose e questo ha mandato fuori di testa qualcuno, lo so”. Però Hinkie era conosciuto anche per la sua empatia. Un esempio: portò Evan Turner in macchina all’aeroporto dopo averlo scambiato. “Non si potrebbe trovare un gruppo di persone più disponibili e gentili” dice un collega di Sam e della sua famiglia. “E poi lo vedi comportarsi come Jerry Maguire la sera del draft e pensi ‘ca**o, questo tipo è unico’”.
Nello staff dei Sixers, i giovani hanno spesso visto Hinkie come un mentore. Dopo che Hinkie scrisse ai piani alti di Phila la famigerate, e trapelate, tredici pagine di lettera di dimissioni – in cui ha alternativamente difeso il suo credo, indicato la strada da seguire e citato chiunque da Atul Gawande a Max Planck – il vice presidente delle basketball operations dei Sixers Sachin Gupta, che Hinkie aveva inizialmente assunto a Houston e poi portato a Phila, scrisse a sua volta una lettera privata ad Ali e agli Hinkie boys, dicendo “quanto grato fosse a Sam per averlo formato come individuo”.
Nella lettera Gupta faceva riferimento a una serie di esempi del carattere di Hinkie, inclusa la storia di Marlene Barnes, la storica segretaria dei Sixers che Hinkie “ereditò” al suo arrivo. Alla Barnes fu diagnosticato un cancro. Hinkie fu tra i pochi nell’organizzazione a cui lei lo disse. Organizzò per lei e la sua famiglia un viaggio a New York, per vedere il musical Hamilton. Quando la Barnes lasciò il lavoro la scorsa primavera, per via del peggioramento del cancro, ringraziò pubblicamente Hinkie. Due mesi dopo, morì. La funzione in suo onore finì per tenersi proprio il giorno dopo quella dedicata all’assistente dei Sixers Sean Rooks, tragicamente morto a causa di una malattia cardiaca. Dieci persone furono presenti a entrambe le celebrazioni per portare i loro saluti ai defunti. Nove viaggiarono a spese della società su un jet privato. L’altro era Hinkie, non più un dipendente dei Sixers, che viaggiò a sue spese e prese un volo notturno da Los Angeles a Philadelphia, l’unico volo non privato che gli avrebbe permesso di essere presente.
Neanche la storia personale di Hinkie combacia con la sua figura pubblica. A meno che la vostra versione non racconti di lui che cresce in una piccola città in Oklahoma che produceva soprattutto olio, sopporta con dolore a diciassette anni la morte del fratello (un argomento di cui Hinkie non parla), e poi vede la migliore amica d’infanzia, Kimberly Hampton, diventare la prima pilota americana donna a essere uccisa in battaglia, in Iraq nel 2004. Hinkie è rimasto vicino alla sua famiglia ed è ben presente in “Kimberly’s Flight”, libro sulla sua vita.
Il padre di Sam, Rom, lavorava per Halliburton. Sua madre, Sarita, stava a casa coi ragazzi. Quando Sam aveva dieci anni, la famiglia si trasferì dal South Carolina a Marlow, una cittadina di 4.600 abitanti a un’ora a nord dal confine del Texas. Sam fu straordinario fin dall’inizio. “Nato in terza base” come dice lui, non perché la famiglia fosse ricca ma perché considerava l’intelletto, e non la classe sociale, il nuovo fattore chiave nella società. Il suo professore di biologia della superiori dava un test a lui e un altro al resto della classe. Sam tenne il discorso di commiato alla consegna delle lauree, fu presidente della classe per quattro anni, e fu votato “Most Likely to Succeed”. Alto 1.80m e 66kg di peso, giocava nella squadra di football come safety ed era playmaker di quella di basket. Era esattamente il tipo di giocatore che ci si aspetterebbe. Combattivo. Celebrale. Un leader in campo. Si allenava duramente in quelle ingombranti scarse Jumpsoles. Quando si laureò, allo squat faceva 225kg. A Stanford – dove prese la laurea specialistica in Business Administration dopo la triennale in Oklahoma – era quello che spingeva il suo malconcio Chevrolet Tahoe nel campetto all’aperto, con le luci accese, così che il tre-contro-tre improvvisato potesse continuare.
Non sorprende, quindi, che Hinkie avesse un debole per quelli con una mentalità simile alla sua. Lavoratori. Rompi scatole. Durante la sua esperienza come assistant GM a Houston, il giocatore preferito di Hinkie era Chuck Hayes, uno che metteva in campo impegno e senso della posizione. Allo stesso modo amava Kyle Lowry. Ed è affasciato da Kobe Bryant. A un certo punto del tempo trascorso insieme, ha incontrato un gruppo di otto studenti di legge in una sala conferenze a Stanford. “Un dato che avrei desiderato avessimo” ha detto loro, “è la somma totale dei punti segnati in ogni partita mai giocata. Uno-contro-uno, due-contro-due, contro la sorellina o i figli, cinque-contro-cinque, allenamento, prestagione, gare di playoff”. Fece una pausa. “Non so dire cosa mostrerebbe, ma immagino sarebbe fantastica. Immagino direbbe che Kobe Bryant è Genghis Khan”.
In queste giorni Hinkie è alla ricerca di nuove conoscenze al di fuori del mondo del basket. Eccolo in una mattina di pochi giorni fa, in attesa dell’ascensore negli uffici del centro di San Francisco di HVF Labs, un incubatore creato da Max Levchin, uno dei cofondatori di PayPal.
Ben Jun, la cui moglie andava a scuola con Hinkie, ci saluta dalla reception. Come la maggioranza degli amici di Hinkie, Jun è sia molto intelligente che di grande successo. Si è laureato a Stanford, ha progettato il lettore Audible originale, si è occupato di crittografia per blu-ray e chip di carte di credito, e ora guida HVF. La sigla sta per “Hard, Valuable, and Fun”, che sono le tre condizioni che Levchin considera necessarie per affrontare un problema, e forse l’acronimo che ha mai meglio rappresentato la Silicon Valley.
In una conference room dalle pareti in vetro, Jun sparpaglia una catasta di report farmaceutici, dai quali sta provando a ricavare dei dati. Ben presto la conversazione si sposta sul convincere le persone della bontà dei propri progetti. “Una delle cose su cui perdiamo più tempo a pensare è come cambiare una persona”, dice Jun, appoggiandosi indietro su una sedia girevole.
“Sicuramente”, dice Hinkie. Siede su un divano di fronte, in jeans e camicia abbottonata fino al colletto, le braccia incrociate così strette che sembra si stia abbracciando da solo, cosa che ho poi capito significare che è davvero galvanizzato. (Se sembra che abbia un’emicrania, gli occhi chiusi e i pollici che premono negli occhi, significa che sta riflettendo o ascoltando con attenzione). “Ma certamente, ci penserei partendo da ‘non presumere che la gente cambi’”.
Hinkie cita un esempio dalle sue sei stagioni come assistente GM a Houston, dove forniva analytics a coach Rick Adelman. “Gli davano le informazioni nel modo che gli piaceva e che si confaceva a lui”, dice Hinkie. “Quando Rick si sedeva sull’aereo con un bicchiere di vino, qualcuno andava da lui con due fogli di carta, glieli lasciava in grembo e se ne andava. In quei fogli c’erano cose importanti per la prossima partita, perché quello era il momento in cui lui pensava alla prossima partita”. Continua Hikie. “Non era un’email quotidiana automatica delle 8 di mattina a cui avrebbe reagito con ‘Cancella, non controllo le email’, o ‘mi distraggo con altre email’. No, facevamo sì che il sistema fosse funzionale a lui. Visto che era l’head coach, lui era superimportante. E comunque, poteva essere che non avesse gli occhiali addosso, e quindi il font era tipo 25”.
Mentre Hinkie parla, Jun annuisce. Come a molti degli amici di Hinkie, non gli interessa il basket. Tuttavia, non appena aver saputo che Hinkie aveva lasciato i Sixers, Jun provò a convincerlo a unirsi a HVF, invano. “Ci sono infiniti modi per impiegare Sam”, dice Jun. “Conosco sei persone che sperano che non torni nell’NBA perché vorrebbero assumerlo. È bravissimo a comprendere settori industriali regolati. Noi tutti guardiamo allo sport come qualcosa di diverso da un settore industriale regolato, ma è quello che è”.
Ray Bradford, un amico che è il fondatore di Spruce Health, descrive così il punto di forza di Hinkie: “Guarda costantemente ai problemi in modo generale e trasferibile”. Nelle riunioni Hinkie fa insistentemente le pulci alle idee, finché non trova buchi o errori. Usa analogie per raccontare idee complesse, adattandole all’uditorio. (Nello spiegare le difficoltà di attrarre free agents in una pessima squadra, chiede agli studenti di Stanford “Cosa ci vorrebbe per convincervi a scegliere Florina Atlantic invece di Stanford?”). Per via del suo modo di comportarsi genuino, sa essere molto diretto e senza peli sulla lingua. Una lista di esempi di cose che dice nelle riunioni include:
“Quello che dici ha senso e non è molto diverso da quel che mi aspettavo avresti detto, ma penso tu abbia lasciato alcune cose non dette”. Traduzione: finora non sono impressionato e penso tu mi stia nascondendo qualcosa.
E: “Dammi qualche informazione in più perché penso che tu abbia delle riserve non dette ad alta voce. Non è un problema eh”. Traduzione: a quanto pare non capisci, e continuo a pensare che tu mi stia nascondendo qualcosa.
E, prima di dare un’opinione tagliente (in questo caso, che un amico gli stia facendo perdere tempo con il suo essere troppo generico e approssimativo): “Questo potrebbe essere terribile da sentirsi dire e non penso che in molti te lo diranno…” Traduzione: potrebbe fare male, ma è per il tuo bene.
Col tempo, la visione del mondo di Hinkie tende a diventare contagiosa. Trascorrere tempo vicino a lui significa cominciare a organizzare in modo maniacale le cose, considerare l’abuso dell’email, e pensare più in là di, diciamo, due settimane (come dice un ex collega ai Sixers: “Io parlavo di come dovessimo imparare a camminare prima che potessimo correre, mentre Hinkie era focalizzato sul costruire una bicicletta migliore”). Alla fine del periodo trascorso insieme, tornato a casa mi ritrovai a parlare come Hinkie, con grande divertimento di mia moglie. “Provalo per tre anni!” dice Weaver, ex scout dei Sixers. “Mia moglie sarebbe stufa del mio provare ad analizzare e selezionare le sue opportunità di far carriera”. Continua. “Mi ha fatto il lavaggio del cervello. Ma uno dei motivi per cui è affascinante, è che ho avuto la possibilità di vedere molti esempi di vita reale di come questo abbia funzionato. Si può applicare una teoria a un draft o alla ricerca di un appartamento o a un sito di appuntamenti. Parte di questa assuefazione è data dal vedere che funziona e abituarcisi, ma per la maggioranza dipende da quanto Hinkie sia bravo a raccontare e coinvolgere”.
Quelli che vanno contro il sistema, gli innovativi, tendono a provocare sentimenti forti, e la partenza di Hinkie da Philly fu festeggiata da molti, nella lega, per tante ragioni (agenti si sentivano sottovalutati, ad altri sembrava che non rispettasse il gioco).
Altri rimangono suoi ammiratori. “Sono un grande fan di Sam”, ha detto Mark Cuban a settembre. Daryl Morey, ex capo di Hinkie a Houston, è ovviamente di parte, ma è anche ottimista. Quando gli è stato chiesto se la metodologia di Hinkie verrà applicata di nuovo, ha risposto: “Al cento per cento. Per prima cosa, Philly farà bene, molto bene. È una lega di copioni. Secondo, ogni anno ci sono proprietari migliori e più intelligenti”. Morey ha detto che avrebbe assunto di nuovo Hinkie come assistente senza pensarci un attimo, ma che “non credo ne sarebbe interessato. È destinato a cose ben più grandi”. Aggiunge Morey: “Il mio consiglio è di scommettere su Sam Hinkie. È destinato ad avere enorme successo”.
Un’altra mezza dozzina di GM ed executives – un campione non scientifico – ha espresso sentimenti molto simili. Alcuni hanno fatto notare che mentre i fan e i media rimangono legati al racconto e alla narrazione, nella lega si volta pagina più velocemente. “Sam è molto rispettato, e questa è sicuramente la cosa più importante”, dice un GM. Un altro evidenzia che con il solo avere fiducia nelle sue idee, Hinkie attrae i proprietari. Perché, prima di tutto, quanta gente è davvero in grado di fare il GM NBA? E in questo sottoinsieme, quanti di questi hanno davvero un piano? (Vedere gli ultimo dieci anni a Sacramento). A Philly, Hinkie si fece la fama di spietato negoziatore, a volte a suo stesso danno. Ma un GM rivale pensava che Hinkie si fosse guadagnato la sua buona reputazione perché la sua combinazione di sicurezza e pazienza era intimidatoria. Sapeva quello che voleva ed era disposto ad aspettare per averlo. Questa non è la norma negli sport professionistici, dove, come un executive dice, “A essere onesti, la maggioranza di noi viene trascinata dalla corrente”.
Su una cosa sono tutti d’accordo: per avere ancora la possibilità di guidare una squadra come GM, invece di un ruolo di consulenza o assistenza, Hinkie deve dimostrare di aver imparato dai propri errori. “La comunicazione ora è una parte importante del lavoro”, dice un GM. “Non si può ignorare”. Alcuni ex colleghi fanno notare come il suo abbracciare “l’idea di sacrificarsi per il bene comune” a volte lo porti fuori rotta. “Riguardando indietro, penso che la sua strategia mediatica fosse sbagliata”, dice uno. “Credo che le intenzioni fossero buone. Pensava che fare rivelazioni, o dire cose che ne ingigantissero la figura, si sarebbe ritorto contro la franchigia e avrebbe cancellato il vantaggio sulla concorrenza”. Ancora quella maledetta narrazione. È difficile capire qualcuno che non conosci.
Da parte sua, Hinkie è sostenitore dell’importanza di frequenti auto valutazioni. Abbraccia l’idea di scrivere i propri pensieri su un quaderno – ne porta con sé uno rilegato in pelle – perché ti costringe a confrontarti con le previsioni iniziali e le opinioni. Ora ammette che sì, probabilmente avrebbe dovuto essere più cortese con gli agenti dei giocatori. “Avrei potuto portare fuori a pranzo David Falk e chiedergli scusa”. E sì, avrebbe potuto comunicare meglio. “Ora, seduto dove sono, dico che forse avrei dovuto concentrarmi di più sulla storia”, dice. (La “non-compete clause” impedisce a Hinkie di fare commenti negativi sui proprietari, però dice: “Comunque, non ho che cose positive da dire su di loro”). E per quanto riguardo il suo status di cult hero – giovani uomini intelligenti e barbuti con indosso magliette con la faccia di Hinkie alle partite dei Sixers – afferma di essere disorientato. Quando vede di persona i suoi accoliti, dice che il suo consiglio è “Calma”, perché “Non c’è modo in cui possa essere all’altezza delle loro aspettative esagerate”.
A oggi (30 novembre, data di pubblicazione dell’articolo, ndt), Hinkie dice di essere stato contattato informalmente da due franchigie, ma ogni discussione formale sarà rimandato a fine stagione, quando scadrà la sua “non-compete clause”. Questo è, se vuole tornare nel basket. Quando l’ho incontrato per la prima volta a ottobre, mi sembrava insicuro. Doveva valutare. Trovare qualcosa su cui concentrarsi. “Lavoro più o meno 30 ore la settimana, e a essere onesto preferirei fossero 50”, mi disse.
Col passare del tempo, comunque, cominciò a vederci più chiaro. All’inizio di novembre mi sembrava più sicuro. “Mi sembra che il mondo creda che io mi stia dedicando al riposo e alla ricerca, il che in parte è vero”, disse una sera. “Dirlo mi causerà problemi, ma credo piuttosto di stare affilando la spada in vista del mio ritorno”.
Hinkie avverte che questo non significa che non continuerà a concentrarsi sulla sua crescita personale. “Non andrò a 10 training camp NBA per ottimizzare le possibilità di avere un lavoro in 11 mesi”, dice. “Sono molto più interessato alla mia vita che alla probabilità di essere assunto entro la prossima stagione. Farò quel che posso per essere competitivo e al top nel 2017. Ma sono superconcentrato su come la vita sarà nel 2027 e nel 2037, e su come posso piantare ora semi che allora, o magari prima, saranno germogliati e avranno dato frutto”.
In particolare, Hinkie è superfocalizzato sui robot. I quali, non so come dire, arriveranno per i nostri lavori e i nostri bambini. Consiglia libri sull’intelligenza artificiale e articoli su come camion automatici (senza nessuno a guidarli) fotteranno la classe media. Fa domande come, “Perché insegni ai tuoi figli come usare una tastiera?” (Una domanda sensata, dice, perché presto sarà tutto gestito attraverso identificazione vocale). E: “Come stai preparando i tuoi figli a una vita con la disoccupazione al 60%?”
I modi in cui l’apprendimento automatico cambierà il basket non sono ancora chiari, ma non è questo il punto. Magari saranno combinazioni di giocatori e minuti, e chi tocca la palla. Magari contratti. Quel che conta, per Hinkie, è che i primi a controllarlo e saperlo sfruttare otterranno un vantaggio. In un mercato libero chiunque può entrare. Ma in un mercato chiuso di 30 franchigie, implementare nuove idee significa avere un vantaggio, anche se temporaneo. A proposito di questo, Hinkie è preoccupato da tempo che qualcuno molto intelligente compri una franchigia, assuma 1.000 ingegneri e li nasconda in un qualche edificio a Mountain View.
Tutto questo dovrebbe far capire che se Hinkie lavorerà ancora nell’NBA, non ripeterà necessariamente The Process. “È assolutamente troppo intelligente per farlo”, dice un GM rivale. “Faceva solo quello che aveva più senso per quella specifica squadra”. Invece Hinkie probabilmente si comporterà in base alla situazione che troverà, basandosi su come e dove possa guadagnare un vantaggio sul sistema. Ecco perché non ha mai avuto senso la paura di squadre scarse che imitino la strategia dei Sixers. Se dieci franchigie lottano per buone posizioni in lottery, tutto il vantaggio va perduto.
Adesso la ricerca è sul prossimo modo di ottenere un vantaggio. Quando incalzato, Hinkie menziona l’intelligenza emotiva (EQ) e “Human Optimization” (il pensiero va all’operazione Lasik agli occhi, obbligatoria per i battitori nel baseball per migliorare le loro capacità e prestazioni) come potenziali punti di differenziazione, mentre aumentare il livello delle skills dei giocatori, le tecniche di allenamento e l’apprendimento automatico ridurrà altri vantaggi. Infine, però, Hinkie crede che sarà la fortuna a ottenere la maggiore importanza. A parità di tutte le altre variabili, dopo tutto, è la fortuna che decide i nostri destini.
Hinkie è particolarmente attaccato al concetto. Quando gli viene chiesto di descrivere la sua storia, si fissa sull’idea di raccogliere le proprie cose, alzarsi e costruire la propria fortuna. Il che significa essere sempre pronti a cogliere le opportunità quando esse si presentano. Significa investire quando hai la possibilità di superare la concorrenza, come dice Warren Buffett, uno dei suoi eroi personali. E significa aspettare l’opportunità giusta – la tua grande opportunità – e andare all in.
Hinkie lo ha spiegato in mille modi nel corso del tempo trascorso insieme, ma probabilmente gli è riuscito meglio quando non lo ha fatto intenzionalmente, quando parlava una sera agli studenti di Stanford. L’argomento è la sicurezza, e Hinkie, forse sfinito da un lungo giorno di riunioni, o forse preso al momento giusto, fa un insolito esempio di vita personale. “Ero un ottimo studente finché non ho incontrato mia moglie”, dice alla sua ventina di ascoltatori. “Da lì, tutte le mie energie confluirono su di lei finché non di mi disse di sì”. Gli studenti ridono. “Non scherzo. Tutte le mie energie finirono lì. Per un anno e mezzo. Non diventai un cattivo studente, ma penso che la mia gestione del mio tempo fosse scioccante”. Si guarda intorno. “E comunque, la singola cosa migliore che abbia mai fatto, e con ampio margine, è questa. La più grande leva, la più grande spinta di tutta la mia vita. Niente ci si avvicina. E vedo alcuni dei miei amici – e prendo tutto sul serio – e chiedo loro, ‘Conta davvero?’ Sì? Allora mettici tutto te stesso. Cosa non pagheresti per realizzarlo, se è ciò che vuoi?”
Ora gli studenti si sono fatti silenziosi. Si stanno prendendo direzioni inaspettate. Stanno riflettendo sulle loro vite. “È un esempio”, dice Hinkie piegandosi in avanti. “E ovviamente dovete essere attenti a pensare in modo ragionevole. Ma penso che sia giusto anche in altri contesti e ambiti. Le persone spesso si concentrano solo sugli obiettivi più vicini. La disciplina è la differenza tra cosa vuoi, cosa vuoi di più e cosa vuoi davvero… penso che la gente spesso non consideri le cose con questo tipo di rigore, neanche quelle più importanti. Perché le persone preferiscono prendere tante piccole decisioni che poche grandi”.
Con questo, Hinkie chiude, lasciando che i sentimenti e le emozioni restino nell’aria. Gli studenti sono seduti e guardano fissi di fronte a sé. E in quel momento, The Process ha molto più senso.
Un’immagine finale, per concludere. Campus di Stanford, a sud del cortile principale. Una passeggiata vicino all’osservatorio Wilcox Solar, dopo quello che è conosciuto come il “Dish”. Ragazze bionde incredibilmente in forma, che fanno power walking in pantaloni elasticizzati, ci superano.
Mentre camminiamo, Hinkie parla di Bill Belichick, il cui cervello lo affascina. E di quanto rispetti Danny Ainge. E quanto sia difficile trovare un buon allenatore per i lunghi. A un certo punto si ferma e raccoglie un po’ di sabbia. Alzala verso il cielo e oscurerà 10.000 galassie. È un esercizio utile per la prospettiva.
Normalmente, questo è il punto della storia in cui si mette tutto insieme. Si completa l’arco narrativo. Si mostra come il viaggio vissuto dal protagonista lo abbia cambiato, o come lui stesso abbia cambiato il mondo.
Ma è un espediente narrativo e sembra sbagliato usarlo quando si scrive di un uomo come Hinkie. Perché la sua storia rimane incompleta. È questo l’Atto II di Hinkie? Forse. Chi lo sa? Un uomo come Hinkie potrebbe avere molti atti. Potrebbe fare qualcosa di sorprendente o esattamente quello che ci aspettiamo. Potrebbe diventare un CEO, o un autore, o scomparire dai radar.
Quindi mi sembra più appropriato, e intellettualmente onesto, lasciare questa storia a metà strada, fermarla da qualche parte.
Come qui, per esempio.
Traduzione di Luca Bellana
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