NBA, gli awards della regular-season di Sportando
Con l'inizio dei playoffs, è arrivato il momento di analizzare la regular-season e assegnare gli awards
La regular-season NBA è finita e questa sera si parte con i playoffs. E' arrivato, dunque, il tradizionale momento degli awards di fine stagione, per celebrare quei giocatori che si sono distinti in maniera particolare. Come ogni anno, si tratta di valutazioni personali, dunque se non vi trovate d'accordo con diverse delle scelte, bè....è piuttosto normale. Ognuno si fa le sue idee ed è questo il bello di questo sport. Iniziamo
MVP: Stephen Curry (Golden State Warriors)
Dobbiamo seriamente iniziare anche una discussione su questo premio? Credo si possa essere universalmente d'accordo sul fatto che Stephen Curry abbia appena chiuso una regular-season che rimarrà nella storia del basket NBA. Molti dei numeri di Curry non hanno il benchè minimo senso ma la guardia degli Warriors ha dimostrato più volte che la logica è qualcosa di molto relativo. Curry ha chiuso la stagione con i seguenti numeri: 30.1 punti, 6.7 assist, 5.4 rimbalzi, 2.1 palle rubate, 50.4% dal campo, 45% da 3 punti e il 90.8% dai liberi. Si, Curry è entrato nel ristretto club del 50-40-90 segnando più di 15 punti di media a partita, il tutto accompagnato da una true shooting percentage del 66.9%, una delle più alte della storia. Senza contare il record di 400 triple realizzate, un altro numero senza alcun senso apparente. Curry è stato inoltre il trascinatore della stagione da record degli Warriors, che hanno chiuso con 73 vittorie in regular-season, andando a superare il record dei Chicago Bulls. Un altro dato curioso è che Curry è stato in grado di mettere insieme delle cifre così impressionanti giocando meno minuti rispetto alle sue medie in carriera. Quest'anno ha giocato 34.2 minuti a partita, rispetto ai 35 di media in carriera, ed è diventato anche il primo giocatore nella storia a chiudere la regular-season con più di 30 punti di media a partita giocando meno di 35 minuti a gara. Semplicemente impressionante. Per questi motivi e per altri cento almeno, Curry è l'MVP di questa regular-season. Sul podio menzioni d'onore per Kawhi Leonard e Lebron James.
ROOKIE OF THE YEAR: Karl-Anthony Towns (Minnesota Timberwolves)
I Minnesota Timberwolves hanno trovato il loro giocatore franchigia, senza offesa per Andrew Wiggins. Towns è il classico prototipo di giocatore che è in grado di svoltarti il futuro di una franchigia. Un lungo versatile, in grado di essere un fattore sia in attacco che in difesa e che rende migliore i compagni che gli stanno intorno. Towns ha chiuso la sua stagione da rookie con 18.3 punti, 10.5 rimbalzi, 2 assist e 1.7 stoppate a partita, il tutto tirando con il 54% dal campo e il 34% da 3 punti (statistica che è destinata a salire, perchè Towns ha un range pressochè infinito). L'ultimo rookie che aveva avuto una doppia-doppia di media durante la regular-season era stato Blake Griffin dei Clippers, prima di lui c'era riuscito Tim Duncan quasi 20 anni fa. Tra gli altri rookies che nella storia hanno chiuso la loro stagione di debutto ci sono solamente giocatori che hanno avuto un più che discreto impatto sulla lega: Shaquille O'Neal, David Robinson, Alonzo Mourning, Kareem Abul-Jabbar e Hakeem Olajuwon. Insomma, non una brutta compagnia per un classe '95. Il prodotto di Kentucky ha avuto immediatamente tantissime responsabilità e un minutaggio molto sostanzioso, 32 minuti a partita. Giusto per fare un esempio, Towns ha giocato 900 minuti in più di un altro dei principali candidati al titolo di rookie dell'anno, Nikola Jokic dei Nuggets. Il lungo dei Timberwolves sa fare praticamente tutto: è straordinario nelle situazioni in post, è un buonissimo tiratore, sa proteggere il ferro in maniera efficace, è un passatore di qualità e difensivamente sembra già avere quelle qualità da linebacker che gli permettono di muoversi per tutto il campo e trovare sempre la posizione migliore. Previsione abbastanza scontata: nel giro di un paio di stagioni Towns è destinato a diventare un giocatore da top-10 in questa lega. Sul podio menzioni d'onore per Nikola Jokic e Kristaps Porzingis.
DEFENSIVE PLAYER OF THE YEAR: Draymond Green (Golden State Warriors)
Questo è stato uno dei premi più difficili da assegnare in assoluto. Decidere a chi dare il titolo tra Draymond Green e Kawhi Leonard è stato davvero complesso, perchè entrambi hanno giocato una stagione difensiva clamorosa. La lotta è stata esclusivamente tra loro due perchè per questo premio il terzo candidato arriva sesto, tanto è il distacco qualitativo. Probabilmente Leonard è un miglior difensore sulle situazioni di uno contro uno ma l'abilità di Green di difendere 'per davvero' sui centri avversari è la chiave per sbloccare definitivamente quella monster line-up di Golden State, con lui da 5 e altri quattro tiratori intorno che è una cosa semplicemente illegale, è un fattore altrettanto importante. Le statistiche difensive di Green sono impressionanti, andando a guardare la sua shot-chart difensiva, a parte sotto canestro, non c'è una singola zona del campo dove Green concede più del 40%. Negli angoli Green è un difensore illegale, concedendo il 26% sull'angolo destro e il 12% su quello sinistro. Dal perimetro fa tirare gli avversari con poco più del 30% e con circa il 33% dalla lunetta. Solo al ferro Green concede il 50.7% agli avversari, dove ovviamente paga una taglia inferiore a molti dei giocatori contro i quali si trova contro. Ma in post-basso l'abilità di Green di difendere sui lunghi 'veri' è una cosa che non sta nè in cielo nè in terra. Se c'è un numero, però, che sottolinea l'importanza fondamentale di Green difensivamente per Golden State è il suo defensive rating. Quando Green è in campo, gli Warriors concedono 97.4 punti per 100 possessi, quando Green non c'è, Golden State subisce 110 punti per 100 possessi, un differenziale da -12.6 punti, la differenza tra il giorno e la notte. Ed è proprio questo fattore che alla fine mi ha spinto a scegliere Green su Leonard per questa stagione. Quando Leonard non è in campo, gli Spurs rimangono comunque una difesa di elite, per gli Warriors il discorso è totalmente diverso, perchè Green è troppo importante per i loro equilibri difensivi. Sul podio menzioni d'onore per Kawhi Leonard e Paul Millsap.
SIXTH MAN OF THE YEAR: Jeremy Lin (Charlotte Hornets)
La Linsanity è tornata!!!! E stavolta esce dalla panchina.....Devo ammettere che sono stato davvero sorpreso in positivo dalla stagione di Lin a Charlotte, la sua firma era passata completamente inosservata dopo l'annata non proprio fantastica ai Lakers ma il giocatore taiwanese è stato un fattore determinante in uscita dalla panchina per la squadra di Michael Jordan. In questa stagione Lin ha viaggiato a quasi 12 punti di media a partita in 26 minuti di impiego, chiudendo la regular-season con una effective percentage del 47% (la effective percentage è quella statistica che da maggior peso al tiro da 3 punti per calcolare la percentuale dal campo di un giocatore, ndr). Ma il suo reale impatto va oltre i numeri statistici, Lin è stato il vero e proprio leader della second-unit degli Hornets, riuscendo a dare sempre quel cambio di passo e di energia che serviva alla squadra. Il play è stato in grado di fare tutto quello che coach Clifford gli ha chiesto, riuscendo ad avere un discreto impatto anche in difesa. In diverse partite si è caricato il peso offensivo della squadra sulla spalle, andando a prendere anche il posto di Kemba Walker, il vero leader della squadra. Il sesto uomo dell'anno è un altro premio che avrebbe potuto essere facilmente assegnato ad altri candidati come Enes Kanter, Dennis Schroder o Jamal Crawford (che probabilmente è l'emblema del candidato a Sesto Uomo dell'Anno) ma considerando quanto fosse stata sottovalutata la firma di Lin in estate e il suo effettivo peso sulla stagione degli Hornets, la scelta è caduta su Lin. Menzioni d'onore per Ed Davis e Will Barton.
MOST IMPROVED PLAYER OF THE YEAR: C.J. McCollum (Portland Trail Blazers)
Se c'è una squadra che ha superato ogni tipo di aspettiva nei suoi confronti in questa stagione, sono i Portland Trail Blazers. In qualunque tipo di power-ranking pre-stagionale i Blazers erano sempre in fondo alla Western Conference (compreso il nostro power-ranking....quanto sono stato stolto). Ma se c'era un giocatore dal quale ci si poteva aspettare un salto di qualità importante, bè quello era sicuramente C.J. McCollum. E così è andata, i numeri di McCollum fanno impressione. 20.8 punti a partita, 45% dal campo, quasi il 42% da 3 punti, il tutto condito anche da 4.3 assist, 3.2 rimbalzi e 1.2 palle rubate a partita. La guardia di Portland ha giocato più del doppio dei minuti rispetto alla scorsa stagione (34.8 contro 15.7) ed è riuscito a migliorare le sue percentuali dal campo nonostante si sia preso il triplo delle conclusioni rispetto all'anno scorso (8.0 contro i 2.6 della scorsa stagione). Inoltre ha aumentato la sua media a partita di 14 punti in una sola stagione, cosa che in passato non era mai successa a nessun'altro giocatore. Certo, McCollum quest'anno ha avuto uno spazio che prima non aveva ma poi bisogna saperli mettere su certi numeri e l'accoppiata formata da Lillard e McCollum ha rappresentato uno dei migliori backcourt della lega, guidando Portland ad una stagione decisamente al di sopra delle aspettative iniziali. E potrebbe non essere finita qui...perchè Portland è la classica squadra che non vorreste mai trovarvi contro ai playoffs, tanti auguri ai Clippers. Menzioni d'onore per Kemba Walker e Rodney Hood.
COACH OF THE YEAR: Terry Stotts (Portland Trail Blazers)
Anche per questo premio rimaniamo a Portland. Terry Stotts è riuscito a fare un capolavoro, squadra totalmente smembrata in estate con le partenze di Aldridge, Batum, Matthews e Robin Lopez (quattro quinti del quintetto titolare) e gli arrivi di una serie di giocatori che avevano ancora tutto da dimostrare (Ed Davis, Noah Vonleh, Mason Plumlee, Maurice Harkless e Al-Farouq Aminu). Stotts ha dato un ruolo preciso in attacco a tutti, puntando sul fatto che i giocatori si sarebbero sentiti stimolati e avrebbero fatto di più anche sul lato difensivo, e così è stato. Il coach ha trasformato una difesa di basso livello in una di medio livello, nonostante due guardie come Lillard e McCollum decisamente più concentrati sul lato offensivo che su quello difensivo. La sua motion offense, fatta di un'infinità di blocchi e tagli random, è stata il vero segreto della stagione di Portland. Sarebbe molto riduttivo ridurre il tutto al talento di Lillard e McCollum, dietro c'è un lavoro tattico impressionante, sottolineato soprattutto dal numero di blocchi portato dai giocatori di Portland, per distacco il maggiore della lega. Stotts è riuscito a cementificare un gruppo al quale nessuno avrebbe dato una speranza ad inizio stagione, creando un'identità precisa e resistendo ad una Western Conference sempre di altissimo livello nonostante le tante perdite della off-season. Sarebbe stato facile fare anche il nome di Brad Stevens per questo premio ma, a mio modesto parere, i Celtics partivano da una base già più solida e strutturata rispetto a quella di Portland. Per questo motivo Stotts si merita il premio di coach of the year di questa stagione. Menzioni d'onore per Brad Stevens e Steve Clifford.
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