Darryl Dawkins: 1957-2015

Nella traduzione da Grantland di Giacomo Sauro si parla di Darryl Dawkins. Chocolate Thunder si è spento la settimana scorsa a soli 58 anni. Il pezzo è stato scritto da Charles P. Pierce ed ha come titolo Darryl Dawkins: 1975-2015.

Quando Darryl Dawkins entrò nella NBA, era una persona unica, ma anche l’epoca era unica. La lega non era ancora la macchina da soldi che è oggi. Nel 1975, quando arrivò Dawkins, direttamente dal liceo che aveva frequentato a Orlando, la pallacanestro stava per raggiungere il suo punto più basso; un abisso profondo dal quale Larry Bird e Magic Johnson l’avrebbero tirata fuori. Ma c’era qualcos’altro in ballo, qualcosa che avrebbe contribuito al rilancio della Association: c’era la concorrenza, vale a dire la ABA. Una delle cose che la ABA intenzionalmente ignorava era quel sistema di allevamento gratuito gestito dalla NCAA. Presto anche la NBA decise che in fondo non gli interessava poi tanto. Il primo a fare il salto dalla high school al professionismo fu Moses Malone, direzione ABA, seguito l’anno dopo da Dawkins, direzione NBA però. Il primo è diventato un Hall of Famer, il secondo una leggenda.

E non solo per le schiacciate che frantumavano il tabellone (sebbene nessuno abbia mai eguagliato le vette creative raggiunte dal nome con cui battezzò la prima terrificante schiacciata: If You Ain’t Groovin’ Best Get Movin’, Chocolate Thunder Flyin’, Robinzine Cryin’, Teeth Shakin’, Glass Breakin’, Rump Roastin’, Bun Toastin’, Glass Still Flyin’, Wham Bam I Am Jam!). E non solo perché Dawkins asserisse di essere un emissario venuto dal pianeta Lovetron (sebbene già solo questa fosse una figata che avrebbe potuto escogitare George Clinton per uno dei suoi tour). E non solo per il fatto che si fosse autonominato Chocolate Thunder (sebbene anche questo fosse un colpo di genio assoluto). Il fatto era che tutto questo fosse racchiuso in un unico, sorridente, contenitore chiamato Darryl Dawkins, e che questo contenitore partecipasse alla NBA (dove oggi le schiacciate sono sponsorizzate Gatorade e la psichedelia creativa non è propriamente di casa).

Dawkins aveva un talento enorme, ma nei suoi 14 anni di carriera non raggiunse mai la vetta assoluta. Oltre al marchio di fabbrica rappresentato dalla storica schiacciata del 1979, un’immagine indelebile che ho di Dawkins è quel momento veramente da brividi nelle finali NBA del 1977 in cui lui e il mio ex vicino di stanza al college, Maurice Lucas dei Portland Trail Blazers, si fronteggiarono a brutto muso. Due colossi, gambe larghe e piedi ben piantati a terra, pronti a far partire una mazzata clamorosa: un secondo caso Rudy Tomjanovich era davvero a un passo.

Se quella è un’immagine indelebile, un ricordo indelebile che ho di lui è quella storia che racconta Bob Ryan a proposito della partita decisiva durante le finali della Eastern Conference del 1982: ultimi minuti al Boston Garden, Celtics ormai sotto di brutto contro i Philadelphia 76ers, il pubblico inizia a cantare “Beat L.A.!” (i 76ers avrebbero affrontato i Lakers in finale). Ryan chiese a Dawkins cosa avesse provato quando sentì quel coro.

“Amico” rispose Dawkins, “quando ho sentito il coro mi è venuto duro”.

Così funzionavano le cose sul pianeta Lovetron. Era una grande e felice civiltà, ormai estinta. Darryl Dawkins non c’è più, ma quell’uomo portò il funk in un mondo cinico e diffidente.

Traduzione di Giacomo Sauro