Lowe intervista Saunders: baby Wolves, fortuna e Mountain Dew
La traduzione di Grantland è una intervista al coach dei Timberwolves
Torna la traduzione da Grantland di Giacomo Sauro. Quella di oggi è un'intervista di Zach Lowe al coach dei Minnesota Timberwolves
Flip Saunders non si sarebbe aspettato di passare dalla disorganizzazione della Continental Basketball Association degli anni ottanta e novanta alla posizione di enorme potere che ricopre oggi come capo allenatore, president of basketball operations e comproprietario dei Timberwolves. Saunders ha parlato con Grantland della sua carriera, della ricostruzione degli Wolves intorno a Andrew Wiggins e Karl-Anthony Towns, dei suoi esordi nella CBA, della grandezza di Kevin Garnett e di molto altro.
È risaputo che una squadra ha bisogno di molta fortuna, come la vivi? Due anni fa avevate una squadra in crescita e inseguivate l’ottava posizione; poi tutto precipita e Kevin Love se ne vuole andare. Quindi Cleveland vince ancora la lottery, LeBron torna a casa, Andrew Wiggins diventa disponibile e l’anno seguente siete voi ad avere la prima scelta assoluta. È o non è un gioco di coincidenze?
Due anni fa, quando lottavamo per l’ottava piazza, sapevamo di essere quelli che eravamo, non credevamo di poter ambire a molto; è questo che ha dato il via alla partenza di Kevin.
Tu però la chiami ‘fortuna’, mentre io preferisco ‘pazienza’. Non avrei avuto problemi ad avere e allenare Kevin nell’ultimo anno del suo contratto. Di solito non si rifiutano un anno extra e 30 milioni di dollari. Magari era intenzionato ad andarsene, ma io credevo che l’avremmo potuto tenere. Se sei paziente puoi dire “Questo è quello che ci serve per fare bene, e se non ci riusciamo, teniamo il ragazzo”.
Poi le cose si sono messe a posto da sole, con il ritorno a Cleveland di LeBron e l’arrivo di Wiggins da noi. Questa sì che la chiamerei fortuna.
Infatti mi avevi già detto che ti sarebbe piaciuto avere Kevin anche per l’ultimo anno e non mi era sembrato un bluff.
Non lo era, anche se tutti lo hanno pensato. Quando però ho annunciato di voler allenare forse qualcuno ha cambiato idea: quale allenatore non vorrebbe avere uno che per due volte è stato nel secondo miglior quintetto di tutta la NBA? Gli allenatori vogliono vincere subito. Io ora sono in una posizione strana, perché come allenatore vivo il presente, ma come GM guardo al futuro. Cerco di gestire i due ruoli. Comunque molti credevano che avrei allenato il ragazzo.
Poi tutti si infortunano, ma improvvisamente vi arriva Karl-Anthony Towns. Non malissimo.
Lo ripeto, a te piacerà chiamarla ‘fortuna’, per me sono sventure. Con Ricky Rubio, Nikola Pekovic, Corey Brewer, Mo Williams e tutti i giovani avevamo una buona squadra. Pensavamo di poter giocarci un posto ai playoff, però poi si sono fatti male tutti, e a quel punto lo sai di non essere una squadra da primi otto posti; potevamo solo far giocare i giovani e fare qualche scambio.
In quella situazione hai per caso detto a Rubio e a Pekovic di recuperare con tutta calma?
In realtà no, se sei in grado sei obbligato a giocare. Però è anche vero che se sei una squadra da playoff rischi un po’ di più. Ricky e Pek hanno provato a rientrare per il finale di stagione, perché volevo che giocassero un po’ con i giovani; ci serviva per il nostro sviluppo.
Ti ha sorpreso che i Knicks abbiano vinto due delle ultime tre partite e vi siano balzati davanti?
Decisamente sì! L’11 aprile, quando New York ha battuto Orlando, eravamo ad Oakland, mancavano cinque minuti ed eravamo sotto solo di uno. In quella gara Zach LaVine ne ha messi una trentina (per la precisione sono stati 37 con 13 su 21 al tiro, ndr). Una partita pazzesca, avremmo potuto vincerla. Non si può scherzare con gli dèi del basket, bisogna impegnarsi sempre.
Ma tu stavi guardando i Knicks, no?
Oh certo. Non era tanto per vincere la lottery quanto per non precipitare. Se parti secondo per la lottery il peggio che ti può capitare è la quinta scelta, se parti primo è la quarta scelta.
Torniamo al doppio ruolo, tecnico e dirigenziale. La storia ci dice che le fortune possono essere alterne. Tu come lo gestisci? Credo che durante la stagione tu non abbia molto tempo per visionare filmati di giocatori che vorresti prendere o di giovani prospetti, giusto?
In realtà guardo parecchi filmati. Bisogna però anche fidarsi delle persone di cui ti circondi. Sono nella NBA da diciotto anni, in generale conosco i giocatori e posso parlare con molti allenatori di squadre di college, quindi già prima che arrivino nella lega so molto delle nuove leve.
Bada però che ci sono aspetti sia positivi sia negativi. Devi pesare e soppesare le decisioni, non puoi lasciarti prendere dall’impulso. In questo sono aiutato dal fatto che vengo dalla CBA, dove tutti fanno tutto; per sette anni sono stato presidente, GM e allenatore. Alla fine impari a conoscere le zone grigie in cui gli affari e la pallacanestro si sovrappongono, perché gli uni e l’altra devono essere ugualmente vincenti. Impari a trattare con gli agenti e a costruirti rapporti di fiducia con loro, uno degli aspetti fondamentali della NBA di oggi.
Ogni reduce della D-League ha una storia sulle sue assurdità. Ci vuoi dire la tua?
La D-League non si avvicina per niente a quello che era la CBA. Proprio per niente.
Va bene, allora che storie tiri fuori quando gli altri ti chiedono delle follie della CBA negli anni ottanta e novanta?
Ce ne sono così tante, e alcune non si possono neanche rendere pubbliche. Comunque, per esempio a volte si trattava con altri GM alle tre del mattino, e non esisteva la trade call; si chiamava semplicemente l’ufficio di Jim Tooley (Tooley oggi è a capo di USA Basketball, ma al tempo ha ricoperto vari incarichi nella CBA, ndr), si lasciava un messaggio in segreteria e tac, lo scambio era sancito. Poi il giorno dopo magari quel GM ti implorava di annullare l’affare. Dovete capire che se beccate un allenatore a Cedar Rapids alle quattro del mattino dopo sei birre, quello è disposto a darvi qualcosa anche in cambio di nulla. Nei due anni in cui ho vinto il titolo ho ottenuto degli ottimi attaccanti alle tre del mattino senza dare niente in cambio.
Poi è capitato anche che un tifoso vincesse il concorso per il tiro da metà campo e che noi non avessimo i 7.500 dollari della vincita da dargli. Sono serio, a volte bisognava vendere un giocatore per pagare il tizio.
Il vostro nuovo impianto di allenamento ha sia l’ufficio dell’allenatore sia quello del president of basketball operations. Quale dei due usi?
Entrambi. Uno è al piano di sopra, dove si riunisce la dirigenza, mentre quello sotto si trova vicino alle stanze degli altri membri dello staff tecnico.
Usi due uffici? Ma dai.
Eh sì, lo scelgo a seconda dell’umore del giorno.
Quale personalità ha il sopravvento adesso, l’allenatore ossessionato dal vincere subito o il dirigente che guarda ai prossimi due o tre anni?
In questo momento della carriera penso più a costruire una squadra che un giorno possa vincere il titolo, non solo qualche partita nell’immediato. Il trucco è accogliere talenti giovani e farli crescere. È per questo che abbiamo voluto riportare qui KG.
Uno degli aneddoti più gustosi che circolavano a Las Vegas voleva che durante un allenamento KG si fosse incazzato pesantemente con Pek per non essere tornato in difesa, dandogli proprio dello ‘stronzo’. Pare che nessuno avesse mai visto qualcuno parlare così a Pekovic, grande e grosso com’è. Ti ricordi questo episodio?
È successo questa stagione, durante il primo allenamento di KG con noi. Tutti ne hanno parlato alla Summer League perché Garnett è venuto a fare una sessione di tiro con noi. Molti sono rimasti sorpresi dalla sua carica, allora noi abbiamo detto: “L’avreste dovuto vedere quando ha dato dello ‘stronzo’ a Pekovic per non essere tornato in difesa durante una partitella insignificante”. In effetti nessuno si era spinto tanto in là con Pek.
KG è fatto così. Ha sempre detto che essere all’altezza del contratto avrebbe significato dare il tutto in ogni momento, in allenamento e in partita, quindi si aspetta che anche gli altri facciano lo stesso. Uno come Pek non è mai stato incalzato così.
Come ha reagito Pekovic?
Ha abbassato la testa e si è messo a correre più forte. Quando KG è in campo è il più rapido a tornare in difesa. Se un Hall of Famer, una delle migliori ali grandi di sempre, si comporta così a 38 anni, gli altri non possono esimersi dal fare altrettanto.
Perché il fatto è che KG tiene il campo ancora alla grande.
Partirà in quintetto?
Sì, perché lui è KG, un titolare. È la migliore ala grande della nostra squadra. È il migliore ad andare a rimbalzo, ad aiutare in difesa e a comunicare in campo. In attacco sa il fatto suo ed è un ottimo passatore.
Tra le ali grandi includi Towns? O forse lui è un centro? O un ibrido? Ha importanza?
Non ne ha. Lui è un giocatore e le buone squadre hanno giocatori schierabili in più posizioni, cosa che li rende più difficili da marcare. Tra l’altro non parlerei del ruolo in cui giochi ma su quali ruoli sei in grado di difendere. In alcune partite Towns marcherà l’ala forte e KG il centro, in altre viceversa.
Quindi Towns in quintetto e Pekovic in panca?
Beh, al momento Pekovic è ancora infortunato. Poi abbiamo anche Gorgui Deng, un altro buon giocatore.
Avete molti lunghi, a maggior ragione ora che è arrivato anche Nemanja Bjelica.
Sì, sono molti. Si conquisteranno il posto al camp.
Vuoi dire che non schiererete più Shabazz Muhammad da ala grande in un quintetto piccolo?
Oh no, lo può fare, o ci possiamo mettere Wiggins. Siamo profondi e talentuosi, ma anche flessibili, roba che due anni fa non eravamo, perché costretti a giocare in un’unica maniera.
Quest’abbondanza non sembra essere una buona notizia per Anthony Bennett. Avete deciso se esercitare o no l’opzione per il quarto anno (le squadre hanno tempo fino al 31 ottobre per comunicare la decisione, ndr)?
Valuteremo quest’estate. Ha giocato dei buoni Giochi panamericani e il suo talento non è in dubbio, si tratta di entrare in condizione e lui ora lo è. Si giocherà le sue possibilità come tutti gli altri. Tra l’altro occhio a Bjelica, anche se nessuno ne parla.
Alcuni scout mi hanno detto che per Bennett è un problema di testa.
Di fiducia, direi. Il fatto è che da quando è uscito da UNLV non è mai stato completamente sano. Si ripete sempre ai giocatori di non lasciarsi condizionare dagli infortuni, ma a volte può succedere.
Per quanto tempo ancora vuoi allenare?
Adoro far crescere i giocatori, perciò fin quando mi resterà questa passione lo continuerò a fare.
Avevi invitato Mike Malone a unirsi a voi dopo che i Kings l’avevano esonerato. Andavate d’accordo; stavi pensando che sarebbe potuto essere il tuo successore a Minnesota?
Dentro di me sì, ma in realtà non ne avevamo mai parlato.
Parlaci della tua passione per la Mountain Dew.
Non bevo una Mtn Dew da 10 settimane, prima ne ero quasi dipendente. Ho smesso con le bevande gassate. Questo è un anno di cambiamenti, ecco il primo.
Di quante al giorno stavamo parlando?
Non ero uno di quelli che se ne sparano sei al giorno, mi limitavo a tre. Magari prendevo solo un sorso, la posavo e me ne dimenticavo. Comunque ogni tanto una ci sta bene.
Hai preso il vizio da Caron Butler a Washington? Lui ne andava pazzo; la chiamava semplicemente ‘la Dew’, mi ha sempre fatto ridere.
No no, mi piaceva già da prima. Poi io non uso la cannuccia come fa Caron.
Vedremo Wiggins più coinvolto nel pick-and-roll in questa stagione?
Ricorda: la prima cosa da fare è diventare capaci di giocare in post per segnare o subire fallo. Abbiamo fatto lo stesso con KG quando aveva 18 anni (Garnett ha compiuto 19 anni nel maggio 1995, un mese prima di essere scelto al draft, ndr). A quel punto non ti possono far marcare da uno più piccolo e rapido che ti ha tolto il gioco perimetrale, sono obbligati a metterlo in panchina.
Volevo che Wiggins giocasse in post. Nella seconda parte di quest’ultima stagione se la batteva con James Harden per numero di liberi tentati. Era un incubo per gli avversari.
Deve migliorare in altri aspetti. Ha iniziato subito a tirare e dopo un po’ non ce la faceva più, non era pronto per il logorio di una stagione NBA. Noi gli avevamo messo molta pressione perché segnasse tanti punti, poi verso la fine della stagione abbiamo iniziato a usare di più il pick-and-roll ed è andata meglio, ma deve comunque migliorare.
Sta lavorando al trattamento di palla; se migliorerà gli darò più responsabilità, altrimenti no. È come una tela bianca: sono pochissimi i giocatori che arrivano in questa lega e hanno una tela bianca su cui dipingere e creare il tipo di gioco che vogliono.
Quando sfrutta il blocco per andare a canestro è veramente esplosivo, tuttavia non ha quel repentino cambio di ritmo: o va forte al ferro o si arresta per il tiro.
È vero, stiamo lavorando anche su questo. È però una linea sottile, perché in realtà vogliamo che vada a mille. Anche LeBron quando va forte a canestro non ha bisogno di cambiare passo.
Però quel cambio di ritmo ti aiuta a vedere possibili scarichi, no?
Siamo noi che gli diciamo cosa fare, chi guardare. Ryan (Saunders, assistente agli Wolves, ndr) lavora sia con Drew che con Zach; ogni giorno guardano almeno un’ora di video su questa precisa situazione. Wiggins sta iniziando a studiare il gioco. È come giocare quarterback: più o meno sai quello che devi fare, ma più impari a capire come gli altri ti marcano più impari a trovare i compagni liberi o a vedere i tagli. Non si tratta più di una semplice reazione istintiva.
Se Rubio non impara a tirare come si deve questa squadra ha davvero futuro?
Ricky starà alla grande e sarà un buon tiratore. Il suo impatto lo dà con tante di quelle cose che non ha bisogno di essere un tiratore eccellente. Gli basta metterla dai 5/6 metri e da 3 dagli angoli, perché se il difensore si stacca, lui sfrutta questa pigrizia per attaccarlo e creare per i compagni.
Si può spaziare bene il campo con un playmaker che non sa tirare, almeno un’ala a cui piace andare in post (piace sia a Wiggins che a Shabazz) e due lunghi che producono fatturato principalmente dal gomito in giù?
Abbiamo bisogno delle triple? Sicuramente. Credo che Andrew diventerà un buon tiratore da 3, ma la morale è che ci si adatta a ciò che si ha. Se i tuoi migliori giocatori non sono bravi dall’arco non puoi chiedere loro di far piovere triple. Bisogna costruire intorno a loro e far allargare il campo ad altri giocatori.
La nostra fortuna è avere gente come Towns, KG e Adreian Payne che non sono lunghi da post ma hanno un ottimo piazzato dai 5/6 metri. Quindi non direi che ci mancano le spaziature.
A Kentucky Towns giocava parecchio spalle a canestro, però. Anche lui è in qualche modo una tela bianca, perché in attacco può fare tutto. Quale abilità pensi di cavalcare maggiormente? Dipenderà dalle esigenze globali della squadra? Correggimi pure se sbaglio.
Non sbagli. Towns farà un po’ tutto, ma sappiamo che i giocatori più giovani hanno bisogno di tempo per abituarsi alla fisicità della NBA. Devono sperimentare tutto; prima lo manderemo in post, poi lo sposteremo fuori.
Mi sembra di capire che ritieni che il gioco in post avrà ancora un ruolo di primo piano in una lega che si sta indirizzando verso i quintetti bassi, i passaggi e le triple.
Il motivo per cui le squadre non mandano i giocatori spalle a canestro è perché non hanno gente capace. Vorrebbero ma non possono. Il post è propedeutico per i quintetti piccoli: se un giocatore sa segnare da sotto, la difesa deve raddoppiare e si libera lo spazio per i tiri da tre, ossia quello che tutti vogliono.
Sono d’accordo. C’è però una cosa che mi lascia dubbioso: ora le squadre mandano aiuti da tutti gli angoli per evitare in tutti i modi che il lungo venga servito in post.
Sforzi inutili. I ragazzi che vengono dalla AAU non sono abituati, quindi non imparano a servire il lungo correttamente; non sai quanto mi innervosisce vedere un passaggio schiacciato a terra per un gigante di 2,10 spalle a canestro. Non va bene così. Il lungo deve alzare le braccia e tu gliela devi far arrivare là.
Ogni quanto ripensi all’infortunio a Sam Cassel nei playoff 2004? Mi pare fosse un problema all’anca prima delle finali di conference contro i Lakers…
Ci penso sempre. E sì, era l’anca. Ha segnato un canestro dall’angolo contro Sacramento in gara 7 (delle semifinali di conference, ndr) e ha fatto la sua Big Balls dance, creandosi una piccola frattura da avulsione all’anca. È ovvio che penso sempre a quel balletto. Ma questa è la NBA; per quattro anni di seguito sono arrivato alle finali di conference, con Minnesota e Detroit, e ogni anno abbiamo avuto problemi di infortuni. Di solito la squadra che vince il titolo è quella con meno infortuni.
Sembri fiducioso di poter agguantare un posto ai playoff.
Ecco quello che KG ha detto alla squadra: “Se pensate di venire al camp il 29 settembre con l’idea di non poter raggiungere i playoff, non vi presentate neanche”. Penso non ci sia da aggiungere altro.
Traduzione di Giacomo Sauro