I Golden State Warriors e la vittoria delle fiducia nelle idee
Si chiude il sipario sulla stagione NBA, i Golden State Warriors vincono meritatamente. Un'analisi sul trionfo della squadra di Steve Kerr e su quanto successo in questa stagione
Se c'è una cosa che questa stagione NBA ci ha insegnato, è che bisogna portare avanti le proprie idee fino alla fine, senza farsi condizionare dalle eventuali difficoltà temporanee o dalle critiche esterne. E' quello che hanno fatto i Golden State Warriors per tutta questa stagione, proponendo un'idea di basket molto precisa e portandola avanti sempre, anche quando c'erano stati dei piccoli scricchiolamenti. Un basket fatto di ritmo, spaziature, tanti possessi e un sistema difensivo ai limiti della perfezione. In realtà, la stagione degli Warriors non era iniziata necessariamente sotto i migliori auspici. L'addio di Mark Jackson, a causa delle divergenze sempre più forti con la dirigenza, le incertezze su Klay Thompson, sempre in bilico tra rinnovo e trade ai Timberwolves per arrivare a Kevin Love, per non parlare dell'arrivo di Steve Kerr come nuovo allenatore, considerato all'inizio troppo inesperto e incapace di far fare un salto di qualità alla squadra.
Proprio l'arrivo di Kerr ha rappresentato il vero punto di svolta per la stagione degli Warriors. Quando l'ex guardia dei Bulls sembrava ad un passo dal diventare il nuovo head-coach dei Knicks, Golden State si è inserita e lo ha convinto a cambiare idea. E' stato Kerr ad impuntarsi e a non volere che Thompson venisse inserito nella possibile trade per Love, finito poi a Cleveland, è stato sempre Kerr a chiedere con forza la presenza nello staff tecnico di due assistenti come Ron Adams e Alvin Gentry, elementi chiave nella cavalcata di Golden State. Kerr ha preso quanto di buono Jackson aveva fatto, soprattutto a livello difensivo, e lo ha portato ai massimi livelli, modificando però pesantemente il sistema offensivo, dando molta più liberta a Curry e Thompson, innalzando ancora di più il ritmo e la fluidità di gioco, dando totale fiducia a Draymond Green, uno dei punti cardini di questa vittoria.
I Golden State Warriors sono stati in grado di dimostrare che si può vincere anche senza il lungo dominante, che si può arrivare in fondo anche prendendosi tanti tiri da 3 punti e vivendo di spaziature e gioco perimetrale, cosa che a tanti presunti "esperti" di questo gioco è sempre risultata particolarmente indigesta. 67 vittorie in regular season, uno dei migliori net rating di tutta la storia della NBA, altissime percentuali di tiri assistiti (da gara 4 a gara 6 delle Finals quasi il 72% dei tiri realizzati da Golden State sono arrivati su assist, un dato che fa spavento), Steph Curry che ha stracciato qualunque tipo di record relativo alle triple realizzate durante la post-season, sfiorando quota 100 e distaccando nettamente un mostro sacro come Reggie Miller.
Perchè se riesci, per determinati momenti della stagione, a rendere dei produttivi membri della rotazione giocatori come Marreese Speights, che fino ad adesso aveva mostrato un livello di volontà e cattiveria pari a quello di un bradipo sotto tranquillanti, e Justin Holiday, il fratello meno conosciuto di Jrue che l'anno scorso era perso nei meandri della Lega Adriatica, vuol dire che questo titolo NBA te lo sei meritato e lo hai voluto fin dal giorno 1. E credo sia proprio questo il punto, gli Warriors la vittoria di questo titolo l'hanno legittimata fin dal primo giorno di regular season, con una continuità ai limiti dell'impressionante. Kerr è riuscito a creare una positività incredibile all'interno dell'ambiente e raramente ha fatto la figura del "principiante", aggettivo che molti prima dell'inizio della stagione gli affibbiavano. Il rapporto di collaborazione con il suo staff tecnico è stato continuo e assiduo, ha saputo prendere i giusti suggerimenti da allenatori che avevano più esperienza di lui come Adams e Gentry ed è riuscito a cucire il giusto ruolo attorno a giocatori come Iguodala e David Lee, con il secondo che anche quando era pressochè sparito dalle rotazioni non si è mai sentito lontano dalla squadra, proprio per il modo in cui Kerr lo ha trattato per tutta la stagione.
Mi sembra giusto soffermarmi almeno un attimo su Andre Iguodala, un giocatore che, personalmente, ho sempre adorato. La vittoria del titolo di MVP delle Finals per un giocatore come Iggy è il coronamento di una carriera, il segnale che non sempre serve essere il più talentuoso in campo ma spesso basta essere quello che ne ha di più e che è disposto a sacrificarsi in tutti i modi per la propria squadra. Iguodala è sempre stato un fantastico all-around player: uno dei migliori difensori della lega, un rimbalzista molto efficace, un passatore molto sottovalutato e un atleta notevolissimo (anche se adesso, inevitabilmente, un po' di atletismo è andato perso per strada). Per anni, però, è stato sempre parzialmente sottovalutato per la sua incapacità di essere uno scorer efficace. A Philadelphia gli era stata messa la squadra in mano dopo l'addio di Iverson, pretendendo che oltre alla difesa, ai rimbalzi e agli assist, Iggy facesse anche 25 punti a partita, cosa che, ovviamente, non era possibile per le caratteristiche intrinseche del giocatore. Per diverse stagioni, quindi, Iguodala è stato condizionato dal suo contratto e dai classici commenti "eh ma prende tutti quei soldi e a malapena fa 13 punti a partita". Quando, finalmente, gli è stato tolto di dosso il peso di dover essere il primo violino, Iggy è diventato tutto quello che sarebbe sempre potuto essere, una sorta di Scottie Pippen dei giorni nostri, fra l'altro suo idolo di infanzia. Questa è anche la sua di rivincita, più che meritata, il tutto senza partire in quintetto neanche una volta prima delle Finals.
Capitolo Cleveland Cavs. Oggettivamente, questi Cavs, senza Irving, Love e Varejao, non potevano fare molto di più in queste finals. Lebron è andato ben oltre i limiti di quanto dovrebbe essere concesso ad un essere umano, chiudendo la serie con una media di 35,8 punti, 13,3 rimbalzi e 8,3 assist a partita. Naturalmente, ci sarà sempre qualcuno che dirà "eh ma poteva fare di più"....Se voi vi divertite così, bene, io onestamente passo. Lebron è il vero MVP di questa serie perchè ha portato a gara 6 una serie che, senza di lui, non avrebbe avuto diritto ad esistere. In quei pochi minuti in cui James non è stato in campo, i tifosi dei Cavs hanno dovuto constatare la pochezza di un roster dove "il secondo violino" era Matt Dellavedova, una sorta di eroe contemporaneo, andato oltre ogni limite fisico possibile per un giocatore della sua taglia ma che non è stato necessariamente dotato da madre natura di un talento cristallino. J.R. Smith, dopo un inizio positivo in quel di Cleveland, ha completamente toppato la serie finale, non riuscendo mai ad essere un fattore. Per tutta la sua carriera J.R. ha cercato un'opportunità del genere, giocare per una contender, avere la possibilità di dimostrare il suo talento ad alti livelli. Gli è capitata tra le mani e l'ha toppata....tanto per cambiare. Atteggiamento fastidioso come al solito, tiri senza nessun tipo di senso per tutte le Finals e poi via su quella specie di skateboard tratto da "Ritorno al Futuro" che si porta dietro. Shumpert, a parte le prime due partite della serie, non è mai stato in grado di dare un contributo offensivo significativo alla squadra, e anche in difesa non è stato il fattore che ci si aspettava. A Tristan Thompson dovrebbe essere fatta una statua per l'intensità con la quale ha giocato per tutta la serie, ha tenuto a galla la squadra in diversi momenti grazie alla sua incredibile attività a rimbalzo offensivo. Peccato che, quasi certamente, in Estate gli si dovrà dare un contratto spropositato rispetto ai suoi limiti ma il ragazzo canadese è stato uno dei pochi a non arrendersi mai in questa serie. Anche Mozgov ha fatto tutto quello che poteva, ritrovandosi ad avere un ruolo offensivo che mai aveva avuto prima nella sua carriera. Quando Golden State ha deciso di andare all-in con 5 piccoli, inevitabilmente, il suo ruolo è stato limitato.
Adesso bisognerà capire cosa farà Love, che tipo di contratto firmerà Thompson, cosa potrà inventarsi Griffin durante la off-season per rendere ancora migliore questa squadra ma questi Cavs, per le condizioni con le quali sono arrivati alle Finals, hanno fatto tutto quello che potevano. Lebron ha fatto tutto quello che poteva ma, in fin dei conti, è un essere umano anche lui e la mancanza di lucidità può arrivare. Lo stesso James, a fine partita, ha dichiarato che non gli è piaciuto dover tenere palla per 20 secondi, con gli altri 4 compagni che lo stavano a guardare per vedere cosa succedeva. "Non è una pallacanestro vincente" ha dichiarato Lebron...e ha ragione, ma era l'unica che questa versione dei Cavs si potevano permettere in queste Finals. Probabilmente il titolo di MVP delle Finali lo avrebbe meritato lui o Steph Curry ma questo è un altro discorso, che conta il giusto, onestamente. Per quanto, poi, la vera MVP di queste Finals è stata per distacco Riley Curry...ma sorvoliamo.
Congratulazioni agli Warriors, che hanno creduto nelle loro idee fino alla fine, senza mai voltarsi indietro. Da domani si riazzera tutto e si ricomincia, è il bello della NBA. La prossima stagione potrebbero cambiare i protagonisti e nessuno si meraviglierebbe della cosa. Adesso potrò godermi una luuuuunga pausa....ah no, la prossima settimana c'è il draft. Niente pausa, si tira fino alle 6 di mattina come se non ci fosse un domani.
Per chiudere...Ognjen Kuzmic ha vinto un titolo NBA, il Rubinho della situazione. Fate le vostre dovute valutazioni.
P.s: nel suo tweet di congratulazioni Phil Jackson ha fatto i complimenti agli Warriors dicendo che sono una squadra fatta di grande difesa, consapevolezza degli spazi e in grado di giocare insieme. Neanche un riferimento al tiro da 3 punti....eh dai Phil, che ti costa? Tiro da 3 punti, che ci vuole?