Mediocrity or greatness: l'arte di costruire una contender
Costruire attraverso il draft, il metodo migliore per arrivare ad una superstar? Analisi sulla costruzione di una contender e sull'eterno dibattito sul concetto di rebuilding
30 squadre NBA, tutte con lo stesso identico obiettivo, ovvero quello cercare di vincere il titolo, possibilmente costruendo una squadra che non si fermi al primo anello ma che possa competere a lungo termine. Questo è il sogno di ogni dirigenza NBA ma ovviamente la realizzazione di questo desiderio non è esattamente una cosa immediata, anche perchè la NBA non è come la Serie A di calcio, non ci sono traguardi intermedi, non c'è il piazzamento Champions o quello Europa League. O vinci o perdi, logica essenziale e spietata (infinitamente americana aggiungerei ma questo è un altro discorso).
Costruire una contender è un lavoro lungo e non è detto che porti necessariamente ai frutti sperati. I modi per arrivare alle superstar che ti cambiano la squadra sono diversi, c'è chi usa prevalentemente la free-agency, chi preferisce arrivarci costruendo mega-trade e poi c'è chi cerca di costruire attraverso il draft, trovando tra i giovani in uscita dal college le star del futuro.
Anche in questo caso ognuno ha la sua opinione, che dipende molto anche dal proprio background storico. Dirigenti di vecchia data come Pat Riley preferiscono arrivare alle superstar attraverso trade e free-agency, non con le scelte al draft. Un GM come Sam Presti, invece, è riuscito a far diventare i Thunder una contender pescando quasi esclusivamente al draft le proprie stelle (Durant, Westbrook, Ibaka e Harden).
Guardando ai fatti, però, è molto difficile allontanarsi dal draft come metodo migliore per trovare una stella per la propria squadra e cercare di costruire attorno a lui una squadra da titolo. Basta guardare a squadre come Lakers, Spurs, Heat, Bulls, Celtics e Mavericks, tutte hanno trovato una stella la notte del draft. E' altrettanto evidente che le stelle si trovano quasi sempre nelle prime posizioni del draft. Certo, può capitare l'eccezione, un Paul Pierce alla 10 o un Dirk Nowitzki alla 9 (Nowitzki venne preso via trade ma pur sempre per altri giocatori che Dallas aveva scelto in quello stesso draft), oppure un ragazzino di 18 anni che spinge per ottenere una trade e andare a giocare nella sua squadra del cuore (Kobe Bryant, of course) ma si tratta, appunto di eccezioni. Quando si vanno a cercare le principali stelle della NBA, la maggior parte di essi sono giocatori scelti in top-5. Ma non si tratta di poter solamente scegliere giocatori che diventeranno delle stelle ma anche di poter utilizzare quelle scelte per arrivare a giocatori che ti svoltano la squadra (i Celtics, ad esempio, sono arrivati a Ray Allen scambiando una scelta in top 5 del draft. Senza quella scelta, cioè senza la stagione precedente di livello piuttosto infimo, Allen non sarebbe mai arrivato e i Big-Three non si sarebbero mai formati, o quntomeno non a Boston).
Le eccezioni, come detto in precedenza, ci possono essere. I Pistons di Larry Brown vennero costruiti soprattutto attraverso delle trades ma si tratta davvero di un eccezione, una sorta di mosca bianca all'interno del contesto degli ultimi 25 anni di NBA (sorvolando sulla debacle post-titolo e sulla incredibile quantità di fesserie fatte dalla dirigenza di Detroit dopo quel titolo vinto, che hanno condannato la squadra ad anni di mediocrità). Molti potrebbero obiettare a questa teoria, dicendo che superstar come Shaquille O'Neal, Lebron James e Chris Paul si sono mosse via trades. Vero, verissimo....ma Chris Paul non sarebbe mai andato ai Clippers se non ci fosse stato Blake Griffin, che Los Angeles aveva preso al draft, e New Orleans non avrebbe mai accettato la trade se non fosse stato inserito Eric Gordon, altro giocatore che i Clippers avevano preso al draft (il discorso si potrebbe ulteriormente allargare al fatto che Paul ai Clippers non ci sarebbe proprio andato se Stern avesse accettato la trade che New Orleans aveva realizzato con i Lakers...ma questo è ancora una volta un discorso diverso). Lo stesso vale per Lebron James, che non sarebbe mai andato a Miami, se non ci fosse stato Dwyane Wade, una stella che gli Heat avevano scelto al draft. Le superstar vanno, anche via trade, nelle squadre dove ci sono già altre superstar, che a loro volta, nella maggior parte dei casi, sono state scelte al draft.
Ma le obiezioni potrebbero non fermarsi a quanto detto in precedenza. Si potrebbe tranquillamente dire che il draft non garantisce nessuna certezza, che si possono "toppare" le scelte. Vero, verissimo anche in questo caso. Non c'è nessuna garanzia che il giocatore che viene scelto al draft si trasformi nell'uomo che ti cambia il volto della franchigia. Come tutte le strategie, anche quella di costruire una squadra attraverso il draft ha bisogno della sua buona dose di fortuna...e possibilmente di una persona competente che prende le decisioni. Se il GM della squadra non sa fare bene il suo lavoro sbaglierà le scelte al draft, è ovvio...ma farà gli stessi tipi di errori anche nella free-agency o nelle trades. Le garanzie non ci sono in nessuna strategia perchè le sfere di cristallo non esistono e gli errori li commettiamo tutti. Senza competenza e una buona dose di culo non si va da nessuna parte, soprattutto nel mondo NBA.
Quello che in molti faticano a capire è che con il draft si ha ogni anno la possibilità di trovare un giocatore che può diventare davvero speciale, mentre nella free-agency si è quasi sempre soggetti ai "capricci" di superstar come Lebron James e Dwight Howard (magari hai apparecchiato la tavola nel modo giusto, hai creato lo spazio salariale necessario ma poi la superstar di turno decide di andarsene da un'altra parte...e la squadra rimane con il cerino in mano o peggio, strapaga un altro giocatore di livello inferiore solo per dare la sensazione che hanno comunque "investito" sul mercato), e comunque la possibilità di attirare un giocatore del genere senza avere già una stella in squadra sono davvero ridottissime.
Non ci sono garanzie assolute con il draft ma le probabilità di riuscire a trovare una stella sono superiori a quelle degli altri metodi (trades, free-agency). Questo, però, ci porta ad un altro annoso problema: la pazienza. E' bello riempirsi di parole e dire: "Vogliamo costruire attraverso il draft, abbiamo pazienza, vogliamo una squadra giovane, ecc ecc.". Poi, però, ci sono i fatti e lì le cose tendono a cambiare. Per poter avere davvero il tempo di costruire attraverso il draft si ha bisogno di una proprietà che sia disposta ad aspettare e che non inizi a fare pressioni per avere risultati immediati. Il GM può fare poco se non ha dietro una proprietà che ha totale fiducia nel suo lavoro e disponibilità ad aspettare lo "sviluppo della squadra". Per fare un esempio concreto: Sam Hinkie non potrebbe neanche lontanamente fare quello che sta facendo a Philadelphia, se non avesse un proprietario come Josh Harris che gli ha messo le chiavi della franchigia in mano e si è detto disposto ad avere pazienza. Magari le cose tra un po' cambieranno e Harris chiederà di affrettare i tempi e allora Hinkie sarà "costretto" a cambiare strategia ma finora le cose si sono sviluppate in questo modo.
Ed è proprio per questo motivo che spesso alcune decisioni dei GM sembrano "incomprensibili". Alcuni tifosi potrebbero pensare "ma non stiamo andando da nessuna parte perchè non cediamo un paio di giocatori e proviamo a ricostruire?", ragionamento logico ma il GM può fare poco se il proprietario gli impone sempre un certo tipo di obiettivo. Non puoi metterti a buttare giù una squadra se il tuo proprietario vuole raggiungere almeno il primo turno dei playoffs. In una franchigia NBA ci sono delle gerarchie precise e anche se diversi GM hanno una libertà d'azione piuttosto ampia, è difficile contraddire le indicazioni dell'owner. Faccio un altro esempio concreto di questa situazione. Billy King, attuale GM dei Brooklyn Nets ed ex GM dei Philadelphia 76ers, rilasciò queste dichiarazioni quando arrivò a Brooklyn: "Non starò seduto qui a dirvi che aspetteremo il futuro, perchè il futuro non è garantito per nessuno. Sono stato in situazioni dove c'era un piano di tre-quattro anni ma io non ero lì alla fine di quel piano"
Le dichiarazioni di King sono lo specchio del problema di cui parlavo in precedenza. Molti GM non hanno a cuore il futuro a lungo termine di una squadra non perchè siano delle cattive persone ma per il semplice fatto che temono per il loro lavoro. Cercano il tutto e subito perchè hanno paura che non rimarranno sulla loro poltrona il tempo sufficiente per vedere completa l'evoluzione della squadra. Le parole di King, ad esempio, risentivano ancora del licenziamento subito dai Sixers nel Dicembre del 2007, a poco meno di un anno dalla cessione di Allen Iverson ai Denver Nuggets. A King, dopo quella trade, era stato promesso tempo per poter ricostruire una squadra che aveva perso la sua stella più luminosa ma così non fu e dopo meno di un anno King venne licenziato. Ovviamente, non si tratta di difendere il lavoro di King (a Philadelphia commise moltissimi errori e ne ha pagato il prezzo, succede) ma di cercare di comprendere le mosse e le motivazioni di molti addetti ai lavori. Per questo motivo quando King è arrivato a Brooklyn, con un proprietario che voleva cercare di vincere nel più breve tempo possibile, ha subito cercato di impostare delle trade che migliorassero la squadra nell'immediato, cedendo moltissime scelte, visto che il futuro non era la priorità.
Un altro concetto che viene spesso tirato in ballo quando si tratta di costruire una contender è quello di tanking, cioè il perdere un buon numero di partite per aggiudicarsi una scelta migliore al draft. Questa strategia non mette al centro del programma le vittorie e i risultati immediati ma una costruzione più lenta, che accetta di dover passare attraverso almeno 2-3 stagioni negative, che possa permettere la crescita dei giovani interessanti e l'acquisizione di scelte che permettano di trovare altri talenti al draft. Quando si parla di questo tipo di strategia in ottica costruzione di una contender, vengono subito alla mente due esempi piuttosto lampanti: gli Oklahoma City Thunder e i San Antonio Spurs.
Sotto la guida di P.J. Carlesimo i Thunder fecero una stagione da 20 vittorie e 62 sconfitte, che gli permise di arrivare al draft successivo ad un giocatore come Russell Westbrook da aggiungere ad una superstar in crescita come Kevin Durant. Oklahoma non metteva certamente le vittorie in primo piano in quel momento. Ma un esempio ancora più interessante è probabilmente quello dei San Antonio Spurs e in particolare dello sfortunato e troppo spesso dimenticato coach Bob Hill.
Hill, nei suoi primi 2 anni sulla panchina degli Spurs, aveva condotto la squadra prima al secondo turno dei playoffs e poi ad un finale di Western Conference. L'anno successivo la squadra venne devastata dagli infortuni di David Robinson e Sean Elliot, che cambiarono completamente le prospettive della squadra. Hill venne licenziato dopo 18 partite e gli Spurs lo sostituirono con Gregg Popovich, che era stato anche il GM della squadra. Popovich chiuse la stagione con un record non proprio positivo, 17 vittorie e 47 sconfitte. Ovviamente San Antonio non andò male perchè Popovich cercava di far perdere la squadra ma per il semplice fatto che alcuni dei migliori giocatori rimasero fuori per tutta la stagione. Gli Spurs, però, ebbero la fortuna di fare una pessima stagione proprio quando nel draft c'era un giocatore fantastico come Tim Duncan. Avere la possibilità di aggiungere un giocatore come Duncan ad un nucleo già molto competitivo trasformò gli Spurs in una contender immediata e Popovich vinse subito il titolo al suo secondo anno in panchina. Possiamo quasi arrivare a dire che l'infortunio di David Robinson costò la carriera a Bob Hill (che dopo l'esperienza agli Spurs non ebbe più molta fortuna, solo una breve e poco brillante esperienza sulla panchina dei Supersonics) ma garantì un futuro lungo e duraturo agli Spurs.
Fortuna e competenza...siam sempre lì. Abbiamo parlato tanto di GM, di allenatori ma alla fine dei giochi la parte più importante nella costruzione di una franchigia di successo la svolge sempre l'owner. Se non c'è un owner competente e che si riesce ad affidare a persone in grado di gestire il lato tecnico nel modo giusto, la franchigia sarà condannata ad una spirale di mediocrità senza fine, commettendo sempre gli stessi errori e non arrivando mai alla tanto agognata svolta.
Mediocrity or greatness....è una linea piuttosto sottile ma fa tutta la differenza del mondo. A voi la scelta.
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