Rookie report: non solo Andrew Wiggins
Dopo la pausa dell'All Star game diversi rookie hanno iniziato a farsi notare

Del draft 2014 e dell’hype che ha generato se ne parla da un bel po’, anche perchè il campo non ha ancora legittimato tutta questa attesa.
Il motivo principale sono senza dubbio gli infortuni, che hanno colpito in ordine sparso almeno 6 dei primi 11 giocatori scelti, con Embiid e Randle che non sono scesi in campo praticamente mai, e Gordon che solo di recente è rientrato in rotazione a Orlando.
L’unico a tenere alta la bandiera è stato Andrew Wiggins, che da Dicembre viaggia a 17.3 punti, 4.5 rimbalzi e 2.2 assist, ed è riuscito a mantenere alto il suo rendimento dopo il rientro dei vari Rubio, Martin e Pekovic. Il rookie of the year è ormai nelle sue mani.
Dietro il canadese qualcosa pian piano si muove, se guardiamo le medie da dopo la pausa per l’All Star Game scopriamo che ci sono ben 14 rookies con almeno 7 punti a partita (anche Stauskas!!!), qui ne evidenziamo alcuni.
Nerlens Noel:
Nelle ultime 10 il big man da Kentucky viaggia in doppia-doppia di media con 11.8 punti e 10 rimbalzi, oltre a 1.7 assist, 2.7 recuperi e 2.9 stoppate. In attacco rimane un giocatore legato ai rimbalzi offensivi e alla capacità dei compagni di innescarlo, quando è costretto a mettere palla per terra le sue percentuali calano drasticamente. In difesa invece siamo già a livelli deluxe, sia per quel che riguarda la difesa del ferro (per player tracking 45% concesso in stagione, valore super se si considera la ‘qualità’ media dei compagni), sia lontano dall’area, dove Noel è in grado di stare con i piccoli senza andare sotto, ed ha mani velocissime ed istinti di alto livello che spesso gli consentono di uscire vincente dalle lotte per la palla vacante.
Nelle ultime 10 con lui in campo i 76ers hanno concesso 96.7 punti ogni 100 possessi, nei minuti in cui è in panchina invece il valore sale fino ad un abnorme 113.5. I numeri accumulati nel contesto attuale dei 76ers vanno presi con le pinze per una serie di motivi, ma una differenza del genere non può essere un caso...
Jordan Clarkson (Lakers):
l’atletico playmaker da Missouri è riuscito ad imporsi all’attenzione di coach Scott, da Febbraio in poi gioca 29 minuti a partita, nei quali produce 14.6 punti, 3.7 rimbalzi e 4.3 assist, tirando il 47% dal campo, il 32% da tre e l’82% ai liberi.
Per player tracking, durante questa serie di partite Clarkson ha preso il 43% dei suoi tiri in ‘pullups’, realizzandone il 41%. Numeri discreti, quasi inaspettati da uno che al college era emerso principalmente per la sua capacità di buttarsi in area. La penetrazione resta la sua specialità, ma con un ‘in-between’ game affidabile potrà sfruttare ancor di più il vantaggio fisico/atletico che ha su diversi pariruolo.
Qui lo vediamo in azione contro i Grizzlies:
La sua crescita non è coincisa con migliori risultati di squadra, ma è comunque un segnale confortante in prospettiva futura, anche riguardo alla capacità del front office nell’individuare il talento...
Tyler Johnson ( Heat): guardia ‘undrafted’ da Fresno State, nelle ultime 4 viaggia con medie di 15.5 punti, 2.8 assist e 1.5 recuperi, con il 66% dal campo, il 54% da tre e il 70% ai liberi.
Nella Miami che è tornata a puntare sui giovani, c’è anche Johnson tra i protagonisti. Atleta di buon livello con tiro pericoloso in situazioni di catch-and-shoot, non ha paura di buttarsi dentro anche contro la difesa schierata, grazie anche a discrete doti atletiche. Se riuscirà a rimanere su questi livelli nel tiro da fuori, potrebbe avere un futuro a lungo termine nel roster degli Heat.
Nikola Mirotic (Bulls): grazie ai tanti infortuni Thibs è quasi costretto ad utilizzare il suo rookie molto più di quanto vorrebbe. A Marzo in 5 partite ha medie di 21.4 punti, 7.2 rimbalzi e 1.2 stoppate, con il 40% dal campo ben compensato dall’81% ai liberi su ben 9.8 tentativi. Nei primi due mesi di regular season il suo tiro da fuori ha creato parecchi danni agli avversari, ora invece è la sua abilità nel metter palla a terra ed attaccare ogni miss-match che terrorizza le difese.
In attacco è ‘the total package’, un lusso che i Bulls non avevano dai tempi di Toni Kukoc...
Elfrid Payton (Magic): le difficoltà nel metter punti a referto erano preventivabili, ma non hanno impedito a Payton di stare in campo per più di metà partita, e di formare una buona chimica con Vucevic (destinatario di quasi un terzo dei suoi assist) e Oladipo. Gioca duro in ogni occasione, dopo il break viaggia con 5 rimbalzi, 7.8 assist e 1.4 recuperi, ed un +2 di plus/minus medio.
Sul jumper c’è da lavorare tanto, sono pochi i giocatori che riescono ad incidere nel suo ruolo senza esser almeno pericolosi dalla media-lunga distanza.
-Marcus Smart ha stupito tutti per il livello della sua applicazione in difesa, ma in attacco gioca con il freno a mano tirato, si butta dentro raramente, ed insiste troppo sul tiro dalla lunga distanza. Il ‘mindset’ è quello giusto, con l‘eccelsa guida di Stevens sicuramente riuscirà a trovare il giusto equilibrio anche nella metà campo offensiva.
-Rodney Hood dopo il break tira da tre con il 48%, Utah ha estremo bisogno di tiratori come lui per supportare al meglio la coppia Favors-Gobert…
-40% da fuori nelle ultime 8 anche per Langston Galloway, rookie dei Knicks che ha già mostrato il coraggio necessario per prendersi responsabilità nei momenti decisivi...
-più spazio anche per Markel Brown, che con il suo atletismo offre una nuova dimensione ad una squadra piena di veterani tra gli esterni.
-Mitch McGary a febbraio ha fatto registrare medie di 8.8 punti e 6.2 rimbalzi in 17 minuti, confermando il proprio potenziale come eccellente rimbalzista sotto entrambi i tabelloni