Hands up, don't shoot: i giocatori NBA e gli episodi di Ferguson
Quando essere neri è ancora una discriminante negli Stati Uniti. Cerchiamo di analizzare le reazioni dei giocatori NBA agli episodi avvenuti a Ferguson, soprattutto dopo la sentenza che ha scagionato l'agente Darren Wilson
Ferguson è un piccolo sobborgo nei pressi di St.Louis, nel Missouri. Una cittadina che conta poco più di 20.000 abitanti, che lo scorso 9 Agosto è salita alla ribalta di tutti i media americani a causa della morte del giovane Michael Brown, 18enne afroamericano, ucciso dall'agente di polizia Darren Wilson, 28 anni. Il giovane Brown, al momento del fatto, era disarmato e diversi testimoni hanno confermato questa analisi, accussando l'agente Wilson di aver sparato ad un ragazzo innocente e disarmato. Immediatamente dopo l'avvenimento si scatenerano moltissimi scontri tra la popolazione della cittadina di Ferguson e la polizia, tanto che ci fu l'intervento dell'esercito che impose il coprifuoco per riportare "l'ordine" nella cittadina. Questo clima di tensione si è protratto per mesi, con centinaia di manifestazioni di solidarietà organizzate anche in altre città degli Stati Uniti.
Tutto, però, è nuovamente esploso quattro giorni fa, il 25 Novembre, quando è arrivata il non luogo a procedere nei confronti dell'agente Darren Wilson, scagionato dal Grand Jury. Il verdetto emesso, composto da una giuria di 9 bianchi e 3 neri, ha fatto tornare la rabbia in tutta la comunità e le manifestazioni di protesta sono di nuovo esplose, spesso con eccessi di violenza. Più di 80 persone arrestate, macchine della polizia date alle fiamme e ancora una volta quella sensazione che essere neri negli Stati Uniti, ancora oggi, sia una condizione sfavorevole. Le reazioni alla sentenza sono arrivate da tutto il mondo e, naturalmente, non potevano mancare neanche quelle dei giocatori NBA, una lega composta per lo più da giocatori afroamericani, molti dei quali sono cresciuti in contesti difficili ed estremamente disagiati.
La sensazione che tutto quello successo a Ferguson sia andato oltre ad ogni limite di accettabilità è molto forte tra i giocatori NBA, che attraverso i social network hanno espresso fortissima indignazione per l'assoluzione dell'agente che ha sparato al giovane Michael Brown. Kobe Bryant usa Twitter e scrive: "Il sistema permette che giovani di colore vengano uccisi dietro la maschera della giustizia"
The system enables young black men to be killed behind the mask of law #Ferguson #tippingpoint #change
— Kobe Bryant (@kobebryant) 25 Novembre 2014
Anche Steve Nash, compagno di squadra di Kobe Bryant, è disgustato dalla sentenza di assoluzione ed esprime tutta la sua frustrazione su Twitter:
Disgusted by decision in furguson. Racism is learned. Accepted is systematic suffocation of education and opportunity. What are we saying?
— Steve Nash (@SteveNash) 25 Novembre 2014
Matt Barnes, giocatore dei Clippers, è lapidario e netto: 'Quindi uccidere le persone va bene? Basta che il ragazzo ucciso sia nero e il suo assassino abbia un distintivo. Un giorno triste non solo per la famiglia di Mike Brown e dei suoi amici ma per tutta la nostra nazione"
Anche Lebron James, stella dei Cleveland Cavs, parla di Michael Brown, invitando, però, la popolazione a non utilizzare la violenza come risposta: "Come società dobbiamo fare meglio e reagire nel modo giusto. Sono davvero triste per la famiglia della vittima, a loro vanno le mie preghiere. Ricordatevi che la violenza non è la risposta"
Molti altri giocatori hanno espresso il loro sostegno alla famiglia del ragazzo ucciso, invitando più volte alla non violenza, affermando che mettere a soqquadro la città non avrebbe risolto niente. I pareri sono diversi, come avete potuto vedere; c'è chi parla apertamente di razzismo, chi si limita a chiedere maggiore rispetto, chi invita alla calma e alla non violenza, chi, come David West dei Pacers, propone di boicottare il Black Friday (il giorno successivo al giorno del ringraziamento negli Stati Uniti, quando iniziano gli sconti nei negozi in vista del periodo natalizio).
La vicenda legata alla morte del giovane Michael Brown è molto complessa e diversi media americani, come purtroppo spesso accade, non l'hanno affrontata nel migliore dei modi. La FOX, come era prevedibile, si è scagliata sul passato turbolento del ragazzo e sul fatto che lo stesso giorno della sua uccisione fosse stato coinvolto in un furto in un mini market, santifcando, invece, l'operato dell'agente Wilson e di tutto il corpo di polizia di Ferguson. I network dedicati prevalentemente alla popolazione afroamericana, al contrario, hanno eccessivamente santificato la figura del giovane Michael Brown, che in realtà era un ragazzo con diversi precedenti e con un passato violento alle spalle. Media tendenzialmente più imparziali come la CNN sono stati trattati in modo vergognoso dalla polizia, arrivati al punto di essere bombardati di lacrimogeni mentre erano in diretta da Ferguson senza nessun tipo di colpa, se non quella di cercare di raccontare la follia di quei giorni estivi nel sobborgo di St.Louis.
Episodi legati a giovani di colore, quasi sempre disarmati e colpevoli semplicemente di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato, uccisi dalla polizia sono, sfortunatamente, una costante abbastanza frequente negli Stati Uniti. Il razzismo è ancora molto sentito, soprattutto in alcune zone del paese, e una cittadina come Ferguson, piccola e con diffusa povertà, sembra fatta apposta per uno scenario del genere. Nell'episodio della morte del giovane Michael Brown rimangono ancora molte domande senza risposta: per quale motivo il ragazzo è stato fermato dalla polizia? L'agente ha parlato di alcuni insulti dopo la richiesta di fermarsi per un controllo ma molti testimoni sulla scena del delitto danno una versione diversa. Perchè sono stati sparati diversi colpi di arma da fuoco dall'agente Wilson? Se il ragazzo era disarmato e stava scappando, che motivo c'era di sparare? Un inseguimento non era sufficiente? Che minaccia poteva costituire un ragazzo in fuga e che era disarmato per un agente di polizia addestrato e con un equipaggiamento efficace?
La morte di Brown ha riportato negli occhi di molti atleti della NBA quella di un altro giovane afroamericano, Trayvon Martin, un diciassettenne ucciso a colpi di pistola da un vigilante della sicurezza di una classica "gated community" della Florida perchè con la sua felpa nera e il cappuccio sulla testa era considerato sospetto. Anche in quel caso l'assassino del giovane Martin, George Zimmerman, è stato completamente assolto da ogni accusa e rilasciato. E' inevitabile che di fronte a casi del genere sorgano degli interrogativi che faticano a trovare risposta. Perchè nessuno ha pagato per la morte di due giovani ragazzi?
Tralasciando il discorso sul razzismo, che piaccia o no è comunque ancora presente in molte zone degli Stati Uniti, ritengo sia piuttosto normale chiedersi dove sia il limite che separa il mantenimento dell'ordine e della giustizia dalla violenza ingiustificata e dalla paranoia del controllo a tutti i costi. Michael Brown non era un santo e aveva alle spalle diversi reati ma si trovava in un periodo quantomeno sereno della sua vita, sua madre aveva fatto molti sforzi per farlo andare di nuovo a scuola e conseguire il diploma, riuscendo anche a farlo ammettere al Vatterott College. Forse, la verità in tutta questa storia risiede proprio nelle parole della madre del ragazzo: "Perchè mi avete preso mio figlio? Sapete quanti sforzi ho dovuto fare per farlo tornare a scuola e ottenere il diploma? Quanti giovani neri riescono a laurearsi? Non molti. Io stavo cercando in tutti i modi che mio figlio potesse avere un futuro davanti a sè. Per quale motivo trascinate giù questi ragazzi fino al livello in cui sentono di non avere nulla per cui vivere?"
Razzismo o no, la domanda che la famiglia di Michael si sta ancora facendo e che molti giocatori della NBA, che sono cresciuti in condizioni molto simili a quelle di Michael Brown, si fanno è: perchè?
Mike Brown, Trayvon Martin, Eric Garner e tanti altri episodi simili negli ultimi 10 anni...probabilmente è legittimo chiedersi almeno perchè, che c'entri il razzismo o meno.