San Antonio Spurs, l'atto finale di chi doveva essere alla fine
Gli Spurs raggiungono la finale per il secondo anno consecutivo
“Peccato per quel tiro di Allen in gara 6, quando ricapita agli Spurs di arrivarci alla Finals?”. “Stavolta sono davvero finiti”. “Ma Duncan a 38 anni non può fare più la differenza”. “Sono logori, non possono reggere una stagione da 82 partite e la difficoltà dei PO a Ovest”. Ottobre 2013, giù di li quello che abbiamo detto, sentito o nella migliore delle ipotesi pensato salvo poi cominciare a ricrederci subito a Novembre dopo le 11 vittorie di fila terminate con la sconfitta a casa di OKC. Ma i più scettici ancora non mollavano: “Alla lunga la freschezza atletica di OKC prevarrà sul basket ragionato della truppa Popovich”.
Intanto San Antonio continua a macinare vittorie e a tenersi ai vertici della Western Conference e, addirittura, piazza una serie spaventosa di 19 W consecutive interrotta, guarda un po’ il caso, ancora a casa di KD e soci. Segno tangibile di passaggio del testimone? Ma anche no.
I Playoffs sono arrivati, anzi sono già all’atto finale, e sappiamo tutti quello che è successo. Gli Spurs sono li a giocarsi la sesta Finale NBA dall’avvento di coach Popovich, e sono arrivati a sfidare gli Heat di LBJ battendo ancora una volta i Thunder. E non stiamo li a dire che è stata tutta colpa dell’assenza di Ibaka nelle prime due gare o altre congetture varie. La colpa dell’ennesima debacle della squadra di Brooks (forse al capolinea della sua esperienza a OKC) è da ricercare soprattutto nelle statistiche prodotte da questi Spurs in questi playoffs, finemente analizzate in un articolo di ieri da D. Skerletic, uno che qui su Sportando dispensa conoscenza di basket a palate.
Gli Spurs portano a referto praticamente tutti i giocatori della rotazione, ad eccezione di Daye e tutti sono in grado di fornire un plus/minus positivo (ad eccezione, ahinoi, di Marco Belinelli e dello stesso Daye) segno di un team che sa adeguarsi, sa stringere i denti anche di fronte a avversari sulla carta migliori o più esplosivi. Segno di mentalità costruita attorno al concetto che “tutti sono più importanti di uno” e che in caso di necessità non piange l’assenza di un eventuale giocatore chiave ma si trova la soluzione per sopperire a quella mancanza. Da questo punto di vista ricordiamo che gara 6, in casa di OKC, San Antonio l’ha vinta giocando metà partita senza Tony Parker, ampiamente il giocatore più importante per numeri degli ultimi anni.
Gregg Popovich ha costruito una macchina formata da intelligenze sopraffine lavorando sulla testa dei giocatori prima ancora che sul fisico, altrimenti non si può spiegare il rendimento di Timmy, al secolo Tim Duncan, che a 38 anni suonati impatta ancora a ritmo di doppia-doppia (16.5 punti e quasi 9 rimbalzi di media in questa post season).
Ora San Antonio può anche perderle queste Finals che comunque non annullano la cavalcata di quella che è una squadra che rimarrà nella leggenda del basket NBA.
Gli Spurs, già l’anno scorso, dovevano essere ai titoli di coda del loro straordinario ciclo e invece sono li, ancora contro gli Heat, ancora per l’anello.
E io, anche quest’anno, non me la sento di scommettere contro di loro.
Articolo di Amedeo Fine
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