Soundreef Mens Sana: parola al Team Manager Riccardo Caliani
In questo senso, dal 2013 la Soundreef Mens Sana è in più che buone mani con Riccardo Caliani, che ha tagliato quest'anno il traguardo delle dieci stagioni in biancoverde
Nella pallacanestro, come in ogni altro sport di squadra, la crescita dei singoli e la costruzione di un gruppo vincente dentro e fuori dal campo sono aspetti che passano per alcune figure chiave dello staff tecnico. Una di queste è il Team Manager, vero e proprio collante all'interno di un club. Un ruolo molto più complicato di quanto si possa credere, perché non è soltanto assistenza ai giocatori ma è la figura che “risolve problemi”. Uno su tutti, in grado di incidere durante una stagione: l'ambientamento dei nuovi giocatori.
In questo senso, dal 2013 la Soundreef Mens Sana è in più che buone mani con Riccardo Caliani, che ha tagliato quest'anno il traguardo delle dieci stagioni in biancoverde. Cuore, passione, esperienza e cura dei dettagli sono le caratteristiche che hanno permesso al Team Manager ed ex addetto stampa mensanino di guadagnare l'affetto e la riconoscenza di praticamente tutti i giocatori e i coach transitati in Viale Sclavo. Gli attestati di stima che ha ricevuto e continua a ricevere dagli ex biancoverdi ne sono la dimostrazione.
Riccardo, quest'anno festeggi “la decima”. Intanto, quali sono le tue sensazioni? Quanto è importante per te questo traguardo?
«Sarò banale, ma per me conta molto. Rappresenta quasi un terzo della mia vita trascorso seguendo una passione diventata lavoro. Nel 2008, quando ho iniziato, ho vissuto quell’opportunità come una grande botta di c…. diciamo fortuna. Avevo 24 anni e lavoravo con un ruolo importante in una delle società guida in Italia e ed in Europa. Credo non potesse esserci “palestra” migliore per crescere ed imparare un mestiere. Oggi sono più “maturo”…ma altrettanto onorato di fare ciò che faccio».
Il tuo ricordo indelebile in dieci anni alla Mens Sana?
«Ce ne sono tanti. Ogni momento lo conservo gelosamente dentro di me e fa parte della mia piccola storia. Dagli scudetti alle grandi notti di Euolega, dalle battaglie sul campo quando sapevamo che la nostra società era vicina al capolinea, fino alla promozione in A2 a Forlì del 2015. Ne svelassi uno soltanto farei un torto troppo grande a tanti altri».
Hai iniziato la tua avventura in biancoverde nell'ufficio stampa e poi hai cambiato “ruolo”: meglio giornalista o Team Manager?
«Nasco come giornalista sportivo e lavorare nell’ufficio stampa mi ha dato la possibilità di conoscere tantissimi colleghi e di fare il lavoro per il quale ho studiato. Il Team Manager è un ruolo molto più “interno” alla squadra. Mi piace vivere l’atmosfera dello spogliatoio, del campo e condividere certi momenti con i ragazzi. Sono felice di averli provati entrambi ed in quest’ordine».
Quali sono le difficoltà maggiori del ruolo di Team Manager?
«Il Team Manager è colui che, oltre a curare l’organizzazione, deve cercare di risolvere i problemi che puntualmente si presentano. Per questo a chi mi domanda che requisiti deve avere un buon Team Manager rispondo: la pazienza e la capacità di Problem solving. Diciamo che su entrambi questi aspetti c'è sempre qualcosa da imparare...».
Con i giocatori americani le difficoltà aumentano?
«Dal punto di vista burocratico certamente si. Per il resto con il passare degli anni ho imparato a relazionarmi con loro, con qualche parola di “slang” che arricchisce il mio inglese molto italianizzato. In generale è chiaro che chi viene da lontano può avere più bisogno di me rispetto ad uno nato e cresciuto nel nostro paese. Per me però conta molto il rapporto umano e da questo punto di vista posso dire di essere stato molto fortunato».
Stando sempre così vicino ai giocatori c'è il rischio di affezionarsi troppo e lasciare loro qualche libertà di troppo?
«Assolutamente sì. Non deve accadere, ma qualche volta accade. E’ importante capire dov’è il limite e non permettere che qualcuno lo superi».
In dieci anni di Mens Sana, c'è un giocatore al quale sei rimasto particolarmente legato?
«Anche in questo caso se ne citassi soltanto uno farei un torto a molti altri. Mi sento spesso con diversi ex mensanini in giro per il mondo. Uno con cui non ho contatti ma che mi ha sempre fatto impazzire è T-Mac, Terrell Mc Intyre. Quello che invece mi ha colpito di più per la sua metamorfosi è Erick Green. Arrivò a Siena da rookie ventunenne nell’estate 2013 e non aveva un’idea molto chiara di dove fosse finito. All’inizio sembrava che contasse i giorni che mancavano alla fine della stagione e dopo un mese a Siena confessò a me ed al fisioterapista Sebastiano Cencini che gli mancavano tremendamente la mamma e la sorellina lasciate in America. Cercammo, tutti quanti, di stargli vicino. A marzo venne a trovarlo sua mamma e ci ringraziò per quello che avevamo fatto per suo figlio che si era perfettamente ambientato e vedeva l’Europa come un’opportunità e non come un ripiego. A maggio scorso mi sono emozionato quando l’ho visto segnare i canestri decisivi nella semifinale di Eurolega con la maglia dell'Olympiacos. A fine partita gli ho scritto un messaggio, mi ha risposto dopo 30 secondi».
Qual è invece il giocatore che ti ha creato più grattacapi per il ruolo che ricopri?
«Grattacapi veri, per ora e per fortuna, non ne ho avuti. Uno dei più “buffi” è stato sicuramente Truck Bryant…bravissimo ragazzo, ma con un’innata capacita di combinare dei piccoli casini…».
Facciamo un passo indietro: come è nata la tua passione per il basket?
«All’età di 8 anni mia mamma mi portò a fare un allenamento. Da quel momento non ho più smesso. Era il 1992 e cominciai a seguire le partite della Mens Sana. Mi piacevano Maurizio Lasi, a cui cercavo senza successo di ispirarmi e che poi mi ha anche allenato, ed un certo Darren Daye. Purtroppo non sono riuscito a portare avanti una carriera da giocatore, ma la passione è sempre stata tanta ed allora ho provato a percorrere altre strade».
È vero che giochi ancora nei ritagli di tempo libero?
«Certo che si. Vedere gli altri giocare non mi basta e allora quando posso continuo ad allacciare le scarpe…I risultati però stanno andando in picchiata…forse sarebbe ora che quelle scarpe le appendessi al chiodo ma agli amici del Fomenta è difficile dire basta».
Sappiamo che oltre al basket segui praticamente tutti gli sport: ci raccontano di un Riccardo Caliani ottimo giocatore di beach volley...
«Mi piacciono praticamente tutti gli sport dove si gioca con palla o pallina rotonda. Purtroppo a calcio non so giocare, mentre con il Beach volley va un po’ meglio…ma direi di non esporsi troppo...».
E delle sfide memorabili a ping pong con coach Crespi cosa ci puoi dire?
«Il ping pong è una cosa molto seria. A 14 anni chiesi a Babbo Natale un tavolo da ping pong ed ogni sera dopo cena per cinque sei anni ci siamo sfidati con mio fratello nella cantina di casa…Poi avevo un po’ mollato, fino a quando non è arrivato Marco Crespi. Un giorno ci vedemmo recapitare in Mens Sana un tavolo da ping pong che Marco aveva acquistato e da quel momento è diventato un lavoro. Ogni giorno in pausa pranzo montavamo il tavolo sul campo centrale e giocavamo il doppio. Le squadre erano: Luca Banchi e Marco Crespi contro Federico Cappelli e Riccardo Caliani. Dopo la partenza di Luca abbiamo continuato soprattutto io contro Marco…non erano partite, ma sfide senza esclusione di colpi. Chi vinceva? Voci di corridoio dicono che il più talentuoso ero io, ma Marco, con la tattica e con una difesa incredibile, mi metteva in grande difficoltà. P.S. Aspettatevi la replica del diretto interessato appena leggerà questa intervista».
Si dice anche che il Team Manager biancoverde sia un appassionato di vini...
«Detta così sembra che sia un bevitore…ed invece non lo sono affatto. Mi piace provare e studiare cose nuove e così l’inverno scorso ho partecipato, insieme alla mia ragazza, ad un corso di assaggiatore di vino. Adesso posso dire di riconoscere ad occhio un vino bianco da uno rosso».
Da tifoso milanista con chi ti “scontri” maggiormente in casa Mens Sana?
«Purtroppo negli ultimi anni è toccato ingoiare bocconi amari...Sono alleato con il Ds Marruganti su questo fronte ma pur unendo le forze facciamo fatica. Meno male che in società c’è qualche interista».
Per chiudere: cosa ti aspetti dalla prossima stagione della Mens Sana?
«La squadra è molto intrigante. Sono convinto che possiamo fare un buon campionato, senza pressioni ma con giuste ambizioni. Non mi piace fare pronostici, anche perché non ci azzecco quasi mai. Mi piacerebbe vedere una squadra che cresce durante l’anno e che magari ai playoff possa vendere cara la pelle».