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Serie A2 Est 01/05/2017, 16.50

Alessandro Piazza: Faremo il possibile per tenere testa alla Fortitudo

Le parole di Piazza che parla anche della sfida playoff contro la Fortitudo

Serie A2 Est

11 squadre in 9 anni e poi quattro stagioni di seguito nello stesso posto. Sempre all’insegna del miglioramento, anno dopo anno,dalla Silver al quarto posto in A2, nonostante fosse sempre più difficile ripetersi e confermarsi. E ora, ad un anno di distanza, un altro turno di playoff che mette di fronte le sue due Fortitudo: Alessandro Piazza a 360 gradi alla vigilia di gara 1 degli Ottavi di finale playoff. 


Intanto un piccolo passo indietro, si è appena chiusa la tua quarta regular season con Agrigento: cosa ha reso questo il posto giusto per una permanenza così lunga?

Avevo cambiato sempre squadra, per un paio di volte anche nel corso della stagione, e questa si è rivelata subito la scelta perfetta. Quando sono arrivato c’era già un gruppo di italiani molto solido, che ci ha permesso di vincere subito la A2 Silver anche se – e quasi nessuno lo ricorda – avevamo un solo americano. Era un gruppo storico, come per certi versi lo è quello attuale, e la scelta della società, per quanto molto coraggiosa fosse, è stata quella giusta, puntando sull’americano migliore del campionato (Kwame Vaughn, ndr) per puntellare un ottimo gruppo di italiani: ne è nata una stagione fantastica, perfetta. L’anno successivo (chiuso con la finale gara 5 persa a Torino) è qualcosa che ancora non riusciamo a spiegarci, abbiamo giocato spensierati contro tutte le squadre, dominando alcune gare anche nettamente ed eliminando subito Verona che era la favorita. Siamo arrivati ad un passo dalla promozione partendo ottavi, non credo sia mai successo a qualcuno. Nella scorsa stagione abbiamo eliminato Mantova, ma perso in tre gare molto combattute e decise nel finale contro la Fortitudo, che ha sempre trovato le giocate decisive nei frangenti più importanti, ma affrontandola senza Chiarastella e dopo che io stesso avevo saltato quattro mesi della stagione. Quest’anno, per quanto sia sempre difficile migliorarsi, è arrivato il risultato più prestigioso nella storia della società, pur non avendo spesso vinto fuori e perdendo anche più di qualche partita nettamente, ma in casa abbiamo perso solo con Siena incompleti e nel finale con Biella, e per quanto fossimo una squadra profonda, forte ed esperta, avremmo messo la firma per un quarto posto eccezionale: il momento che conta, però, viene adesso”. 


Dopo una regular season con “sole” quattro vittorie fuori casa, un aspetto inconsueto se consideriamo la qualità ed il livello della squadra, giunte, però, sempre in snodi fondamentali della stagione. 

In casa non abbiamo sempre vinto in maniera comoda, ma spesso anche dopo partite estremamente equilibrate, fuori, invece, abbiamo faticato spesso, non tanto come risultati, ma anche per atteggiamento ed approccio a volte un po’ molle da parte di tutti, me compreso. E’ qualcosa che sinceramente faccio fatica a spiegarmi bene, ma allo stesso tempo, ad eccezione della trasferta di Agropoli che era la settima vittoria consecutiva di quel periodo, le altre sono state tutte partite spartiacque: le trasferte di Trapani e Ferentino ci hanno permesso di ottenere la qualificazione alla Coppa Italia, quella di Roma in casa dell’Eurobasket (a quasi tre mesi dall’ultima, ndr) di mettere al sicuro la qualificazione ed evitare di giocarcela con Trapani al ritorno, in un derby che magari avrebbe permesso loro di entrare ai playoff e noi no. Abbiamo avuto a volte delle brutte prestazioni, ma le vittorie sono state tutte fondamentali, quelle un po’ da dentro fuori che possono originare una striscia e siamo stati bravi a vincerle”. 


Partite in cui anche il tuo contributo offensivo è stato importante, pur senza snaturare l’indole a ispirare soprattutto i compagni: com’è cambiato e maturato il tuo stile (mai meno di 4 assist di media negli ultimi cinque anni), all’alba ormai dei 30 anni?

Il playmaker è il ruolo più bello, ma anche più difficile, perché non ti permette di perdere di vista le tue caratteristiche essenziali: essendo 1.75 devo giocare in maniera diversa da un play di 2.00, altrimenti un allenatore sceglierebbe sempre lui, quindi non ho mai perso l’indole a giocare soprattutto in velocità. Questa deve essere sempre la mia caratteristica costante, ma un buon playmaker è quello che riesce ad adattarsi e cambiar pelle a seconda dei compagni che ha e di come è costruita la squadra, essendo l’unico giocatore in grado di farlo: non può mai chiedere ad una guardia di avere come prima idea quella di passare la palla. L’obiettivo, quindi, è fare quello che la squadra richiede, senza snaturarsi: difficile ma molto stimolante, anche da far capire ai compagni. Buford (l’ala di questa stagione, classe ’94) è un giocatore potenzialmente da Eurolega, ma all’inizio era un rookie che tendenzialmente amava giocare molto all’americana, in isolamento e con la palla in mano. Non è stato semplice fargli capire che in Europa si gioca in maniera diversa, che fermare la palla permette alla difesa di riempire l’area, ma anche lo staff e un gruppo molto solido hanno fatto sì che la situazione migliorasse, a vantaggio di tutti, così come accade anche ai nostri lunghi, che siano perimetrali come Bell-Holter o più interni come Eatherton, di migliorare sempre nel corso dei playoff”. 


Playoff che, un anno dopo, ti rimettono di nuovo di fronte alla Fortitudo.

Non sono retorico, sono di Bologna, sono andato a vedere la Fortitudo fin da piccolo e ne sarò sempre tifoso, ho fatto parte dei 12 del roster l’anno dello scudetto, e ogni volta che posso la guardo in Tv o anche al Palazzo quando sono a Bologna, ma sono fuori casa da tanti anni e non è più come la prima esperienza fuori, quando il mio scopo era subito provare a tornarci per dimostrare di  poter giocare. Ora, a distanza di tanti anni e dopo tante maglie diverse, tranne che per la comunque bellissima parentesi con gli Eagles (DNA stagione 2012-13, esclusa dal campionato nel girone d’andata), ci ho fatto un po’ il callo ed è bello incontrarla di nuovo per il blasone che la società ha, al pari di altre squadre di A2. E poi non è la prima volta che la sfido in situazioni delicate, è già successo anche con la maglia di Teramo, quando persero sul nostro campo l’ultima partita che li condannò alla retrocessione in A2. Lo scorso anno è stato brutto e mi ha lasciato l’amaro in bocca non vincere neanche una partita in una serie combattuta e in cui siamo stati spesso anche in vantaggio, quindi sarà una motivazione ancor più forte per provare a batterli, ora che hanno anche i favori del pronostico. Proveremo a fare il migliore possibile per riuscire a tenergli testa: sarà difficile ma ci proveremo in tutte le maniere”. 


Col calore e la passione di un pubblico, quello di Agrigento, che sta crescendo sensibilmente dietro alla sua squadra e tu, pur nato a Bologna, hai giocato spesso al Sud (Brindisi, Reggio Calabria, Barcellona Pozzo di Gotto) e ti sei sempre trovato molto a tuo agio: piazze calde che ti hanno fatto crescere subito. 

Da questo punto di vista è stata molto importante la stagione di Reggio Calabria dopo l’esclusione degli Eagles, a Barcellona l’anno prima avevo giocato molto poco e avevo bisogno di una situazione anche in una categoria inferiore, che mi facesse ritrovare la mia dimensione, giocando tanti minuti e con la palla in mano. Fu un rischio, perché Reggio iniziò male, ma ero convinto che il roster fosse buono e potessimo far bene, infatti, anche per merito dell’arrivo di altri giocatori (Rugolo, Ricci, Sabatino) vincemmo una serie di partite in fila che mi dettero grande visibilità: è stato l’anno della mia carriera in cui ho segnato di più (13.6 di media), guadagnandomi la chiamata di Agrigento. Ma fu molto importante anche il primo anno a Brindisi, avevo 17 anni e ho giocato in una piazza molto calda e col palazzetto sempre pieno. Al Sud la gente vive come piace a me e la qualità della vita è alta, per cui sono assolutamente sempre favorevole quando mi si prospettano situazioni simili, meglio ancora se al mare: lì cambia un po’ tutto” 


Mare a parte, però, quali sono i fattori che spingono Alessandro Piazza ad accettare l’offerta di una squadra in Estate?

La cosa mi interessa di più è provare a vincere. Tranne in un paio di circostanze in cui sono partito da cambio del playmaker, sono ormai dodici anni che gioco ed ho sempre avuto l’opportunità di fare il titolare, per cui i requisiti essenziali sono un posto in cui si stia bene e la possibilità di vincere o comunque competere ad alti livelli. Ad Agrigento abbiamo sempre avuto la fortuna di poterlo fare, anche nel primo anno di Serie A2 quando nessuno ci considerava o puntava una lira su di noi: abbiamo giocato la Coppa Italia, eliminato Mantova e siamo stati sempre nella parte alta della classifica. Ora un turno di playoff con la Fortitudo, e per quanto non sia facile affrontare delle realtà con maggiore tradizione e basket vissuto alle spalle, ora siamo tutti concentrati solo su questo, sul fare bene in questi playoff. Poi a fine anno vedremo: se ci saranno le condizioni, saremo ben contenti di proseguire. Cioè che mi fa scattare la molla più di ogni altra cosa è un buon gruppo, un roster con delle qualità e provare a vincere. Meglio se con un palazzetto pieno e che brulichi di passione, anche a costo di avere addosso un po’ di pressione in più


Idee chiare e precise, tanto che il futuro post-agonistico è ancora molto lontano?

Sono tre anni che lo dico, ma mi piacerebbe cominciare il corso da allenatore, non ci sono mai riuscito adesso per vari motivi – prima la Finale, poi il matrimonio – ma spero di farlo, intanto per acquisire un titolo e magari iniziare con i giovani. Poi è sicuramente un mestiere molto difficile, sinceramente adesso mi piacerebbe rimanere nel mondo del basket, anche perché è l’unica cosa che so fare, ma per ora sono concentrato solo sul ruolo di giocatore”. 

Intervista di Donatello Viggiano

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E. Carchia

E. Carchia

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