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Serie A2 Est 26/02/2011, 14.16

«Uncino», vecchio cuore Tezenis. «Ne faccio 87: battiamo Imola»

Giampietro Panozzo storico tifoso della Scaligera Basket, ci dice la sua sulla storia e sul futuro della Scaligera Basket

Serie A2 Est

A 87 anni è sempre presente al PalaOlimpia, alle partite della Tezenis. Giampietro Panozzo festeggerà il suo compleanno sabato prossimo, augurandosi di festeggiarlo anche con il successo della squadra di Marcelletti contro l'Aget Imola alla ripresa del campionato. 
È uno dei pionieri della pallacanestro, che cominciò a giocare «dopo aver fatto il portiere di calcio dove ero stato chiamato da "Molena" Ligabò, essendo io sanzenato, dopo aver cominciato con il Verona». Erano i primi anni Quaranta, quelli della guerra, «la pallacanestro si giocava all'aperto, sui campi in cemento dell'Enal a San Zeno o, al chiuso, nella palestra della Gil, in fondo a corso Porta Nuova. C'era Andrea Piotto a coordinare, ma con lui ero sempre in contrasto, tanto che poi me sono andato», racconta Panozzo, chiamato alla Lanerossi Vicenza, in Prima divisione, «una categoria che può essere paragonata all'attuale Legadue», nella stagione 1947-'48 conclusa «col titolo di campione d'Italia. Giocavamo», ricorda, «all'interno del Palladio e ci allenava un ex pugile, Zamberlan. Nella finale, battemmo, in casa e in trasferta, la Gira Bologna, quella che sarebbe diventata Fortitudo e che ora è Ozzano Emilia. A Bologna, giocammo la finale nel campo situato all'interno del Salone della Borsa, in piazza Maggiore».
Era una pallacanestro «ben diversa dall'attuale anche se in allenamento si sgobbava forte. In campo, invece, si giocava solo di velocità e in contropiede. Gli allenatori non ti dicevano tante cose. Non c'erano i tagliafuori o schemi particolari o palle ragionate». 
Panozzo giocava da ala («allora i ruoli non erano definiti come adesso») e aveva messo su «un tiro a uncino niente male e con quello segnavo tanti punti, una quindicina a partita. Credo», fa presente, «che con i palloni di adesso, meno pesanti, di punti ne farei anche trenta. Allora i palloni avevano una circonferenza maggiore ed entravano appena nel ferro. Quel tiro mi valse il soprannome di "Uncino", due passi indietro, girata e canestro. È un gesto atletico che raramente si vede ancora». 
Giampietro Panozzo è un uomo eclettico. Ha lasciato il basket giocato «quando ho vinto un concorso in Ferrovia», ma «a lungo sono rimasto nell'ambiente come arbitro», ma intanto ha cominciato a sfruttare la sua bella voce («mi chiamavano Sinatra perché proponevo tutto il suo repertorio»), nei piani bar o nei teatri, anche al Filarmonico e al Nuovo, con la Big Band Città di Verona o con la Jazz Orchestra del maestro Roberto Cerpelloni. Ma mai ha dimenticato il primo amore. «A 55 anni Achille De Angelis mi convinse a giocare con i veterani contro la Germania, in Basso Acquar ed a Berlino: posso dire che fui il migliore in campo», ricorda Panozzo che vorrebbe correggere alcuni convincimenti storici. «L'Antonello Orlandi», sostiene, «è nata grazie ai giocatori, non fu fondata da Piotto. Abbiamo fatto anche la squadra del Dopolavoro ferroviario di Verona alle Officine di Porta Vescovo. Ed era lì che realizzavamo i canestri di ferro da piazzare poi nei campetti. E anche la squadra femminile di Verona la portai io alle finali di Roma, quando si classificò al quinto posto».
Panozzo ha sempre seguito la Scaligera Basket, «società che», sottolinea, «ha sempre portato grandi giocatori. I due più forti che abbia visto al palaOlimpia», dice, «sono Praja Dalipagic e Henry Williams. Ma tutte le squadre, Glaxo, Birex, Mash o Muller, hanno fatto divertire. In società ci sono grandi dirigenti, che hanno portato anche grandi allenatori. Poi c'è stato il patatrac, via Vicenzi è morto tutto. Ora, di nuovo con Vicenzi, speriamo rinasca quello che c'era allora, ci conto tanto perché la squadra mi pare che cresca sempre più. Seguo con attenzione la Tezenis. Sin dall'inizio della stagione ho una convinzione, confermata ancor di più dopo l'arrivo di Marcelletti: per farla completa manca ancora un lungo. L'attacco va bene, Porta ha salvato mezza squadra, Renzi va molto forte e se Gueye si controllasse di più... Però prendiamo troppi canestri perché concediamo troppi rimbalzi: manca un lungo che ne prenda di più. La squadra lotta sempre e, anche quando perde, non subisce tanti punti di scarto. Con un uomo in più farebbe tanto in più. Direi a Vicenzi di vendere più biscottini e prendere un altro giocatore di questo tipo. Battuta a parte, la salvezza con Marcelletti è sicura. Se continua così, anzi, non escludo che si possa fare un pensierino ai play off».

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E. Carchia

E. Carchia

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